Non esiste nessun collegamento tra il dramma di Astori e l’atto teppistico di quei sedicenti tifosi viola.
Così come non esiste collegamento tra i pochi neuroni che girano a giorni alterni nella testa di questi idioti.
Resta comunque la profonda amarezza per un fatto gravissimo e assurdo avvenuto a nemmeno venti giorni della morte di Davide.
Forse era il caso di ritirare la squadra dal Viareggio per dare un segnale ancora più forte di distacco da qualsiasi forma di violenza.

A me pare che il clima sia davvero cambiato e questo silenzio è benefico per tutti.
Certo, aiutano le vittorie, ma è come se ci fosse stata una presa di coscienza profonda, come se capissimo che ci sono cose molto più importanti delle nostre polemiche.
La mia è una sensazione a pelle, ma spero proprio di aver ragione per il bene della Fiorentina e di chi la ama.

Passata l’onda emotiva che ci ha avvolti per i 90 minuti col Benevento, ieri, almeno per me, era come se prendessimo coscienza che in quella posizione Davide non c’è più e neanche purtroppo ci sarà.
Abbiamo giocato da grande squadra, sul piano emotivo e psicologico Pioli ha fatto un lavoro davvero eccellente: vittoria meritata senza se e senza ma.
Ci è andata bene perché abbiamo sprecato tanto e pareggiare sarebbe stata una beffa: pur senza istruire processi frettolosi sarà bene verificiare la tenuta di Simeone a certi livelli.
A me pare un po’ sfiduciato e purtroppo ci sono le cifre a raccontarci di una situazione che va al di là della nostra simpatia e del suo indubitabile impegno.
Il momento più bello è stato quando Chiesa si è avventato sul dischetto per battere il rigore, un gesto da calciatore di grande personalità, anche se ha solo vent’anni.

Sarà un pomeriggio imprevedibile, non esiste nessuna certezza sul come i ragazzi viola affronteranno la prima vera partita dopo la tragedia.
Non mi aspetto e non prevedo niente e qualsiasi analisi non potrà essere solo tecnica.
Manca qualsiasi precedente specifico, non si può immaginare cosa stia succedendo nella testa e nello stomaco dei giocatori stamani quando scenderanno dalle proprie camere e andranno a fare colazione esattamente come due settimane fa ad Udine.
C’è solo da sperare che trovino la forza per giocare a calcio nel modo migliore che sentono.

Parlano come se fosse stato un incontro di lavoro, come se non fossero stati loro, come se quei morti e quelle ferite insanabili non ci fossero mai stati.
Siamo una Nazione senza memoria, che rimanda i fascisti in Parlamento a pochi anni dalla fine della dittatura, che da tempo ascolta i vecchi assassini riciclati a maestri di pensiero.
Sono abbastanza adulto per ricordarmi in quale clima vivevamo quegli anni dal 1974 al 1980: ogni giorno un morto, a ogni telegiornale un attentato.
Non esistono responsabilità politiche, ma individuali, uomini e donne che hanno deliberatamente scelto di farci guerra ed era come con l’ISIS: loro erano organizzati e armati, noi avevamo solo paura ed eravamo rassegnati al peggio.
Ammazzavano innocenti, decidevano nel loro delirio chi era meritevole di vivere e chi no, se andava bene gambizzavano, termine orrendo.
Quaranta anni dopo, i familiari della scorta di Moro oggi accendono la televisione e vedono Gallinari, Franceschini, Faranda, Moretti borghesemente ritratti nelle loro case a regalarci la loro verità.
Sorridono, ammiccano, sono perfino in alcuni casi eleganti nel loro eloquio.
Certo, hanno scontato la loro pena, approfittando della clemenza di quello stesso Stato che un tempo volevano distruggere, ma una Nazione degna di questo nome dovrebbe avere il senso della vergogna e condannarli al silenzio assoluto.

A dieci giorni di distanza lo dobbiamo fare, portandoci dentro il ricordo di una persona speciale e anche di giorni così eccezionali da rendersene conto solo quando il tempo spazzerà via l’attualità e il momento presente lascerà spazio solo alla profondità del sentire.
Cosa succederà non saprei proprio prevederlo, se cioè davvero la morte di Davide sarà uno spartiacque tra ciò che siamo stati negli ultimi due anni e ciò che invece vorrei che fossimo: una sola comunità calcistica in cui dividerci sulle questioni tecniche, polemizzando su tutto, ma senza mai coltivare il preconcetto e l’astio.
Molto dovranno fare i Della Valle, ma con tempi che sanno solo loro e soprattutto con la loro sensibilità.
Nessuna pressione, sarebbe triste e pericoloso, rischieremmo di tornare a dove eravamo il 3 marzo scorso, con l’enorme differenza di non avere più il capitano a garantire per tutti.

Non voglio cercare altre parole, sarebbe inutile.
Per questo, come molto raramente è accaduto in questi dodici anni di blog, vi propongo quanto ho scritto ieri per il Corriere Fiorentino.

Una partita così non si può preparare come le altre, una partita così la si vive e basta, secondo quello che senti dentro. Per una volta quindi è inutile studiare l’avversario, immaginare la disposizione tattica di una squadra che tra l’altro non è proprio così conosciuta nei suoi protagonisti. Non può essere una radiocronaca normale e infatti non lo è stata per niente, a cominciare dal gol viola descritto come se fosse stato segnato nella partitella del giovedì e non in una gara di campionato. Un tono così dimesso per le reti della Fiorentina l’avevo usato solo il 6 giugno 1993, quando raccontai dell’inutile 6 a 2 al Foggia, con Carnevale che a Roma regalava la salvezza all’Udinese. O forse anche nella stagione della vergogna, il 2001/2002, con quelle ultime partite in cui c’era da implorare che cambiassero almeno i colori della maglia per non avere nulla a che fare con quello scempio. Magari fossero ancora questioni calcistiche, che bello se la causa di tanta tristezza fosse “solo” una retrocessione. Mentre salivo le scale per andare nella solita postazione, mi ripetevo che dovevo seguire un solo comandamento: essere misurato. Capire che stavo entrando con la radio, mezzo povero e meraviglioso, nelle case, nelle macchine e nella vita delle persone e che quindi tutto doveva essere in linea con lo stato d’animo della città e di tutto il popolo viola. Raccontare come accade da 35 anni la Fiorentina, svolgendo il meglio possibile il proprio lavoro, sapendo però che questa volta il risultato non conterà niente. Non cadere nella retorica e con Davide Astori è molto difficile perché ti viene da raccontare quello che pensavi di lui e ti accorgi che è tutto positivo, tutto bello. Vieni coinvolto dal clima del Franchi e hai il groppo in gola quando vedi due signori di cinquanta anni a dieci metri da te piangere come bambini al momento dell’ingresso in campo delle squadre, ma non cedere alle lacrime e continuare a parlare, parlare… Il minuto di silenzio è moltiplicato almeno per cinque, tutto si svolge in un’atmosfera surreale e quasi ti sembra di disturbare il pubblico nel continuare a descrivere quello che succede. Pare di essere in biblioteca quando ti sorprendono a parlare a voce troppo alta, ma qui come fai a tacere? Comincia la partita ed è un po’ come ritrovare la strada di casa: riconosci le tue cose che sarebbero poi racconto di cosa succede quando il pallone viaggia da una parte all’altra del campo, ma dura pochissimo: esattamente 12 minuti e 59 secondi. Al tredicesimo del primo tempo il mondo si ferma, vorresti osservare e applaudire in silenzio la maestosa coreografia della Fiesole, commuoverti con l’arbitro e i giocatori, partecipare da spettatore ad un momento che resterà nella storia e invece lo devi raccontare e lì trattenere le lacrime è più difficile, ma in qualche modo ce la fai. Trenta secondi dopo Simeone si mangia il gol e allora rientri in partita anche te, o almeno ci provi. Poi arriva la rete di Vitor Hugo, che gioca nella posizione di Davide, che segna un gol alla Astori con la maglia 31 (cioè un 13 rovesciato), pare più o meno alle 13, anche se non sei sicuro dell’ora. Racconti tutto in maniera confidenziale, quasi fossimo tutti invitati ad un cenacolo tra amici e sia la radiocronaca della tua Fiorentina. Alla fine sei stremato e capisci benissimo perché i giocatori si accascino a terra, neanche fossero a Città del Messico dopo il triplice fischio di Italia-Germania 4 a 3. Hanno dato tutto e tu hai cercato di descriverlo, con un’emozione mai provata.

Mi ha smosso qualcosa dentro e niente sarà come prima, lo scrivo il giorno dopo, non pretendendo certo che altri la pensino come me.
Non so cosa succederà al prossimo Fiorentina-Juventus, ma riesco a riconoscere le emozioni, e quella dei bianconeri che entrano tra gli applausi viola nella Chiesa di Piazza Santa Croce è tra le più forti degli ultimi anni, più ancora di quando vidi il Milan schierato al gran completo al Franchi per Stefano.
Il saluto ai tifosi viola di Buffon con gli occhi lucidi è qualcosa che va al di là del calcio, è la fratellanza nello sport e dunque nella vita.
Sono stati semplicemente meravigliosi: non era un atto dovuto e nessuno avrebbe avuto qualcosa da obiettare se si fosse presentato solo un dirigente rimasto in Italia.
Qualche volta ho esagerato anch’io, per la rabbia di Cagliari e Avellino, ma da ieri sono ancora più convinto che siano solo avversari, i più forti e dunque i peggiori, ma mai nemici.
E se qualcuno allo stadio continuerà con i cori idioti, avrò pietà per loro.

Vanno trovate le parole giuste, i toni giusti e non è facile.
Passata l’emotività dei primi momenti è come se ci rendessimo conto con la sua assenza di cosa sia veramente successo, e sarà così soprattutto domenica, prima, durante e dopo la partita.
Mi hanno colpito le manifestazioni di affetto degli altri tifosi, soprattutto degli juventini: esiste una parte sana nel calcio, ed è la maggioranza, in cui l’altro è l’avversario e mai il nemico da abbattere.
Speriamo serva per il futuro.
Ho pensato fin da domenica che questa tragedia sia come il fallimento del 2002, che fu poi in chiave calcistica, quindi per questo molto meno grave, la riedizione dell’alluvione del 1966, che sia insomma qualcosa che unisca tutti, indistintamente.
Era questo il pensiero di Davide Astori, uno che si batteva da dentro lo spogliatoio, in campo e davanti a telecamere e taccuini perché la Fiorentina ripartisse e trovasse slancio tra la propria gente.
Non è retorica pensare che gli piacerebbe moltissimo un nuovo rinascimento viola, a cui lui insieme ai grandi del passato, compreso Mario Ciuffi, darà la sua benedizione dall’altra parte del cielo, sempre sperando che da quelle parti qualcosa esista veramente.

Tutti noi ricorderemo tra vent’anni cosa stavamo facendo quando abbiamo saputo.
E questo vale più di mille altri commenti a spiegare quello che è successo oggi.
La vita si dice che sia una roulette: ecco, oggi mi piacerebbe che avessero chiuso il casinò e che la pallina smettesse di girare.
Ciao Davide.

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