Cinquanta anni fa cominciava a Roma il campionato del secondo scudetto, con un gol preso dopo un minuto dal povero Taccola.

Racconteremo tutto quanto alla radio nel Pentasport con Ruben Lopes Pegna, che all’epoca dei fatti aveva (come oggi) sei anni più di me è quella stagione l’ha sofferta e gioita  da grande tifoso quale è stato.

Io ho dei ricordi vaghi, il più bello di tutti è quello dell’ultima col Varese con le vetrine viola, ma anche Ferrante che si taglia la chioma  alla Domenica Sportiva con Enzo Tortora.

Mezzo secolo dopo è ancora emozionante ripensare a quei giorni.

Quanti anni mi sento davvero?

Sicuramente meno di 58, che mi pare in assoluto un bel numero, anche se un po’ troppo vicino ai 60….

L’energia è la stessa dei tempi migliori, temprata dall’esperienza e dal relativizzare (finalmente) quello che mi sembrava spesso impossibile da affrontare o superare.

Più che altro mi pare incredibile che siano passati decenni da alcuni momenti che invece spuntano dentro di me come se fossero accaduti la scorsa settimana.

Per esempio 42 anni di radio, olre 15000 giorni, roba da non credere.

Se penso a quanto non sopportavo le attese, a quanto contassi le ore che mi separavano da una data, da un evento o da un appuntamento mi pare di raccontare di un’altra persona: quanto vivevo male e quanta energia, tempo e vita ho sprecato per cose e situazioni inutili e idiote.

So anche a chi devo in gran parte questo cambiamento e alla fine di un faticoso percorso durato più o meno mille giorni sono tornato al punto di partenza, cioè a quello che pensavo prima che la giostra cominciasse a girare vorticosamente: sono un uomo fortunato.

 

C’entra tutto: Mazzoleni, la sfortuna e anche l’incapacità di concretizzare la nostra superiorità nel secondo tempo.

Venti minuti bellissimi, però senza segnare e alla fine questo conta moltissimo.

Aggiungiamoci che quando prendiamo reti è come se ci avesse tradito la moglie e ci sgonfiamo perché colpiti allo stomaco non reagendo mai, almeno per un lasso di tempo un po’ troppo lungo.

Resta la prestazione, raramente così convincente a San Siro, e resta l’immagine di un Chiesa superlativo, ormai consacrato su livelli altissimi: giochiamo bene, a tratti molto bene.

Ottima l’uscita di Cognigni a fine gara, anche questo aiuta a compattare l’ambiente e se anche uno come Antognoni alla fine si arrabbia forse è il caso di porsi qualche domanda sulla direzione arbitrale, al di là delle prese per i  fondelli di Spalletti.

Sarà il passare del tempo, saranno le tempeste che ho felicemente attraversato negli ultimi tempi, oppure chi lo sa?

Il fatto è che rispetto a qualche anno fa sono diventato molto più sensibile a tutto e per questo mi ha quasi commosso l’abbraccio di Federico a Lorenzo, due fratelli che di cognome fanno Chiesa e che in tribuna avevano mamma, babbo (uno che aveva giocato discretamente a calcio) e sorella.

Non avevo mai visto qualcosa del genere e mi si è increspata la voce in radiocronaca, perché tutto è stato di una bellezza e di una spontaneità uniche.

Un po’ come la Fiorentina, che adesso non fa più discutere, ma sognare.

Ci stiamo dimenticando di parecchie cose perché questa squadra, questo gruppo nato sulla più assurda delle disgrazie, ci sta spingendo parecchio più in là.

E non ci viene nemmeno la voglia di chiederci dove stiamo andando.

La solita regola non scritta del calcio: sbagli più volte il due a zero e ti pareggiano.

Va così quasi sempre e a un certo punto ho pure pensato che poteva succedere di peggio, che avremmo addirittura perso, perchè dopo la rete di Caprari sembravamo imbambolati e invece poi ci siamo ripresi.

Complessivamente avremmo meritato di vincere e siamo stati superiori alla Sampdoria, che pure pareva in gran forma, per questo secondo me abbiamo lasciato due punti per la strada.

Giochiamo meglio dell’anno scorso e dobbiamo cercare la quadratura con i tre del centrocampo, dove Veretout sembra per fortuna già quello dell’anno scorso.

E anche in giro c’è molto più ottimismo, in attesa di Pjaca e Mirallas, che hanno i colpi per risolverci le situazioni in momenti complicati.

Partita quasi spartiacque per capire chi siamo e cosa vorremmo diventare.

In teoria partita da giocare con più spregiudicatezza e infatti siamo tutti lì in attesa di sapere se Piaca ce lo fanno vedere un po’ di più.

E a questo proposito mi pongo una domanda sperando di avere risposte dal campo: ma perché ad un mese dal loro arrivo a Firenze, e senza nessun infortunio conosciuto, lui è Mirallas “non sono ancora in condizione?”

Ho l’impressione che ci fossimo illusi un po’ troppo perché c’è troppa amarezza in giro: il Napoli non ha cambiato niente dall’anno scorso quando fece 91 punti, possibile che fossimo già alla loro altezza?

L’unica e vera perplessità è secondo me legata alla totale mancanza di reazione dopo aver preso il gol, ma fino a quel momento avevamo chiuso tutti gli spazi e siamo ripartiti almeno un paio di volte con una certa pericolosità.

Poi loro hanno Insigne (più altri tre fortissimi in attacco) e noi Simeone molto stanco e lì sta la differenza, ma se avessimo pareggiato non avremmo rubato proprio niente.

Aspettiamo con una certa impazienza Piaca sapendo che Eysseric non è il fantasma dell’anno scorso, anzi ieri è stato tra i migliori.

Genova è già un bel banco di prova per capire chi siamo e dove vogliamo arrivare.

 

Mi auguro che ci sia il coraggio per giocare una partita senza troppi calcoli perché ce lo possiamo permettere.

Il Napoli è più forte, ma in cerca del tempo giusto per passare da Sarri ad Ancelotti e soprattutto è vulnerabile in difesa.

Possiamo provare a vincerla senza troppi calcoli e sapendo che una sconfitta non darebbe troppi problemi: erano davvero diversi anni che non andavamo al San Paolo con questa leggerezza d’animo.

Ragazzi, calma,

Abbiamo passato questi dieci giorni dalla vittoria contro l’Udinese in fase emotivamente ascensionale.

Ci sentiamo sempre più forti, pesiamo i nostri giocatori e ci sembrano meglio di molti che fino ad un mese fa consideravamo arrivabili.

Penso per esempio al nostro tridente che nell’immaginario collettivo ha ormai superato quello del Napoli, quello che nello scorso campionato ha fruttato 91 punti arrivando ad un passo dallo scudetto.

Figuriamoci se non mi piacerebbe partecipare alla festa collettiva, però consiglio un po’ di prudenza, anche sulla valutazione economica dei giocatori.

Biraghi 12 milioni, Vitor Hugo 20, Benassi 25, Simeone 50, Chiesa 100, a me pare un po’ esagerato, perché poi devi trovare chi te li offre davvero quesi soldi, fermo restando che sarebbe fondamentale tenerseli per costruire finalmente qualcosa di duraturo.

Il campionato è un romanzo molto lungo, le prime pagine sono state bellissime, il resto va letto con la massima attenzione perchè le aspettative deluse sono quelle che fanno più male.

 

Sembra incredibile, ma si può vivere (meglio) anche a ritmi più bassi.

Arrivo da quattro giorni da favola e mi sento particolarmente ispirato sull’argomento.

E’ proprio vero che quello che non ti ammazza ti fa crescere, i detti comuni saranno pure intrisi di retorica, ma qualche verità la contengono.

Comunque sì, ho ormai definitivamente interiorizzato due verità assolute: non importa essere frenetici e/o angosciati per le problematiche giornaliere e (soprattutto) nessuno è indispensabile.

Vedi per esempio la nostra rassegna stampa alle 6 del mattino, quando l’ho pensata e poi costruita credevo che la mia presenza fosse fondamentale per chissà quanto.

E invece no, vanno benissimo pure da soli e io mi diverto con grande soddisfazione ad ascoltarli per poi intervenire alla fine: molto più rilassante….

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