E’ stata un’ottima Fiorentina, se rapportata alla forza dell’avversario.

Il Napoli ha avuto più occasioni, Lafont è stato il migliore in campo, eppure i venti punti di differenza in classifica non si sono visti.

Hanno giocato col cuore e con la testa prendendo un punto che vale poco per la classifica è molto per il morale.

Credo che si possa essere soddisfatti

Qualcuno di voi lo ha davvero capito?

Si accettano spiegazioni di ogni tipo, a volte pare di vivere in una realtà parallela e invece siamo (per fortuna) in Italia, nel mondo occidentale  con i suoi cardini fondamentali: il libero pensiero e il libero arbitrio.

E comunque, per quanto mi sforzi e per quanto i francesi, salvo alcune eccezioni che cominciano da Frey, non mi rimangano particolarmente simpatici, non trovo motivazioni valide per essere richiamato dall’esercito, indossare la mimetica e andare sul fronte.

Neanche ripensando al furto di Lione nel settembre del 2008, la sera in cui venne annunciata, pensa un po’, la conferenza per la presentazione del nuovo stadio.

 

Mi ha molto colpito il tweet di Mario Calabresi che a sorpresa viene rimosso dalla poltronissima di direttore di Repubblica e che con orgoglio rivendica la bontà del suo lavoro, precisando che il calo delle copie sotto la sua guida è passato dal 14 al 7%.

Cioè, se ho capito bene, Repubblica vende ogni anno il 7% in meno rispetto ai dodici mesi precedenti e il direttore è soddisfatto?

Il problema, però, non è di Calabresi, che forse non era lucidissimo nella sua esternazione, ma della mia adorata carta stampata, che sta andando verso un più o meno lento inesorabile declino.

Leggere i giornali vergati di inchiostro e non su un tablet è per me ancora fonte gioia e di ristoro mentale, ma temo di essere ormai in netta minoranza e sarà un bel problema per le ipertrofiche redazioni dei più importanti quotidiani italiani: non mi pare una bella notizia per nessuno.

Siamo tornati all’antico: avremmo meritato di vincere contro una squadra nettamente inferiore e siamo qui a rammaricarci per le occasioni perse.

Nel primo tempo abbiamo giocato con  una grande prevedibilità anche perché non potevamo puntare sul contropiede, con Chiesa raddoppiato e svolte triplicato.

Il gran gol di Edmilson ha evitato la beffa, poi per tre volte potevamo passare in vantaggio, ma nessuna occasione è stata limpidissima.

Simeone meglio di Muriel, ma sono dettagli.

Chiederei una raccolta di firme per non vedere mai più in campo Pjaca: raramente ho visto un giocatore più irritante di lui, sembra sempre tocchi agli altri, perde tutti i palloni, non sarà certamente così però sembra davvero non impegnarsi.

Domenica grigia, speravamo veramente di meglio.

Oggi è un giorno importante per chi ama la Fiorentina.

Tutti, o quasi tutti, sapete dei miei rapporti non proprio straordinari con Batistuta, soprattutto nei suoi ultimi tre anni a Firenze, ma come ho sempre detto tra me e lui io, da tifoso, avrei sempre scelto lui anche se non aveva ragione.

Perché Gabriel Omar Batistuta è stato uno dei tre più grandi degli ultimi 50 anni viola: lui le partite le faceva vincere, io al massimo le raccontavo (e le racconto) più o meno bene.

Comunque sia, oggi ho scritto di lui sul Corriere Fiorentino e quindi, per gentile concessione del giornale, vi ripropongo l’articolo.

La sua grande forza è stata voler diventare Batistuta, il più grande a Firenze insieme ad Antognoni e Baggio, ma qui si va sui gusti personali su cui per definizione non si discute Perché se fosse dipeso solo dalle doti tecniche  che madre natura gli aveva regalato, sarebbe rimasto solo un buon centravanti e nulla più. E invece Gabriel Omar, che oggi compie 50 anni, e a cui vanno gli auguri di tutto il popolo viola, ha deciso nella sua testa di essere il più forte di tutti. Si è immolato alla causa con il corpo, e questo lo sanno tutti, come testimoniano le sue caviglie martoriate da cento, mille colpi, che a un certo punto hanno anche fatto pensare che non potesse più camminare. Non si è mai risparmiato, un’iniezione di antidolorifico e via:  in quanti ieri e soprattutto oggi seguirebbero il suo esempio? Molto più segreto è invece il suo carattere, probabilmente modificato in corsa una volta arrivato a Firenze a poco più di vent’anni. Etichettato come un bidone all’inizio (il paragone con Dertycia da queste parti non lo dimentica nessuno), quando ha cominciato a segnare ha capito con grande intelligenza che non doveva fermarsi, ma lavorare come e più di prima su se stesso, senza cedere ad alcuna lusinga. Eccolo quindi diventare sempre meno ragazzo e sempre più uomo e leader, complice anche la quaterna di figli maschi che Irina gli ha regalato. Un leader urticante all’esterno, che non faceva sconti e che proprio per questo era molto seguito nello spogliatoio. La sua maggiore difficoltà è stata nascondere le emozioni, essere freddo dopo i trionfi, pensare sempre a chi era e al ruolo che aveva. Venne smascherato in una sera dell’ottobre 2014, quando venne consacrato nella Hall of Fame viola. C’era il figlio più grande in platea e Gabriel si commosse parlando dell’amore che aveva ricevuto da Firenze e che sperava di avere in parte restituito, pur aprendosi pochissimo al mondo esterno, al contrario per esempio del suo grande amico Rui Costa.  Si è compresa in quel momento la grande fatica di essere e rimanere sempre Batistuta. Un gigante del pallone che ha dato veramente tutto, uscendo sfinito dalle battaglie in campo e fuori. Ci sono voluti anni perché ricominciasse ad interessarsi davvero al calcio, ma anche quando giocava non è che fosse così innamorato del pallone. Guardava pochissimo le partite in televisione, non gli piaceva parlarne e nella sua testa ha sempre pensato di svolgere un lavoro più che assecondare una passione. E siccome uno dei suoi concetti guida è sempre stato quello secondo cui il dovere veniva prima del piacere era normale l’impegno massimo tutti i giorni e ad ogni allenamento. Chi lo marcava nella partitella del giovedì diventava per lui uguale a Nesta, Baresi o Ferrara. Fuori dal campo ha avuto pochi amici, sempre gli stessi dal 1991, quelli che va puntualmente a trovare ogni volta che arriva a Firenze. Non si è mai capito fino in fondo quale fosse il vero sentimento che lo legava a Vittorio Cecchi Gori, il suo scopritore calcistico. Vittorione se ne innamorò osservando su videocassetta La Torre, che era già stato acquistato, e ordinò ai suoi dirigenti di prenderlo ad ogni costo. Dopo i primi anni di armonia assoluta cominciarono le prime crepe, ma anche se ci sono stati momenti difficili, come nell’estate del 1997 con Batistuta blindato in albergo a Roma, è facile immaginare che la riconoscenza verso il “suo” presidente non sia mai venuta meno. Con gli allenatori ha sempre avuto un  ottimo rapporto, con la sola eccezione di Lazaroni, che lo considerava una riserva. Ne ha collezionati sette in nove stagioni e nella sua classifica Ranieri, l’unico che lo cambiò per scelta tecnica in serie B, viene al primo posto. Insieme condividono la stessa riservatezza nella vita privata e un certo modo di intendere il calcio. In campo Batistuta è stato semplicemente straordinario e a 19 anni dal suo dolorosissimo addio bastano le cifre per raccontarlo ai più giovani: 207 gol in 332 partite, una media mostruosa, miglior realizzatore viola di sempre in serie A. Ha segnato reti memorabili a Wembley e al Camp Nou, quando il dito sul naso aveva un altro significato, ma anche all’Old Trafford, portando la Fiorentina in vantaggio contro il Manchester United. Ha cominciato a metterla dentro per la causa viola il 3 settembre 1991 a Cesena e ha smesso il 14 maggio 2000, con la tripletta al Venezia, quando già sapeva che sarebbe finita lì. In nove anni ha visto di tutto: fotogrammi di grandezza con la Coppa Italia del 1996 e la Supercoppa di Irina te amo e tristezze infinite come la retrocessione, ma almeno si è risparmiato il fallimento, che con lui in squadra non ci sarebbe stato. La prima volta da avversario ha pianto dopo aver segnato a Toldo, la seconda a Firenze non ha letteralmente toccato palla, sopraffatto dall’emozione di dover affrontare una parte di se stesso. E’ stato per almeno un paio di stagioni il miglior centravanti del mondo, solo che giocava nella squadra sbagliata per poter puntare al Pallone d’oro. Alla fine però quella è stata certamente la squadra giusta per il suo mondo.

Credo che un sogno così non ritorni mai più, mi dipingevo le mani e la faccia di…viola.

Una serata incredibile, in cui si è vista la Fiorentina disintegrare una delle squadre più forti d’Italia, almeno sulla carta.

Dopo un decennio sono tornato a dare sul Corriere  un 10 nelle pagelle, come era accaduto con Jovetic la sera della doppietta al Liverpool: Chiesa lo meritava.

Se devo scegliere un giocatore simbolo del trionfo di ieri sera, dico Mirallas, che ha giocato una gara mostruosa anche se non ha segnato.

Meglio l’Atalanta della Juve in semifinale, godiamo per tutta la giornata e poi torniamo sulla terra.

Lo ha chiesto Pioli ai giornalisti in sala stampa e la mia risposta sarebbe stata sì, mi sono divertito, ma solo perché abbiamo vinto.

Partita folle in cui abbiamo certificato il cambio di destinazione di questa squadra: non più forte in difesa e parecchio debole in attacco, ma in questo momento il suo esatto contrario.

Chiesa è più di un quarto di tutta la Fiorentina: sta crescendo in modo esponenziale ed è inutile farsi troppe domande sul futuro, che per lui sarà comunque fantastico.

Vorrei sottolineare il settimo gol di Benassi su azione, meglio del molto giustamente celebrato Veretout l’anno scorso, mentre in questa stagione il francese mi pare piuttosto in calo.

Male Pezzella e ancora Vitor Hugo, ancora ispirato Muriel che con Lafont ha riproposto il ciuffiano Ciribé, peccato per lo scavetto fuori misura, ma abbiamo vinto e alla fine va (più o meno) bene tutto.

Non puoi essere normale se nasci ebreo e non importa se, come nel mio caso, non esiste nessun vero legame religioso con la fede dei tuoi genitori perché si tratta di qualcosa di casuale.

Essere ebrei significa sentirsi diversi da subito, perché ti insegnano la grande sciocchezza (secondo me) di appartenere al popolo eletto, cioè essere qualcosa più degli altri, condizione che ovviamente non ti rende proprio simpatico agli occhi del mondo, ma questa cosa la capisci (se la capisci) solo un bel po’ di decenni dopo la tua venuta al mondo.

Ti insegnano che Israele è più e meglio di tutto e di tutti, che lì sono ganzi qualsiasi cosa facciano, compreso come trattano i palestinesi, e che il mondo ti è debitore per la tremenda tragedia (questa purtroppo terribilmente vera) della Shoah.

Insomma, esci a quattordici anni  dalla scuola ebraica con un lavaggio del cervello completo e sei pronto ad immolarti dialetticamente contro chiunque.

Poi, se hai qualche neurone che gira correttamente nel cervello, aggiusti con molta fatica il tiro capendo molto altro e cominciando ad avvertire la fatica di sentirsi diverso, quando invece ti senti assolutamente un italiano uguale agli altri.

Ascolti con fastidio i soliti stereotipi: gli ebrei si aiutano sempre tra loro (una balla totale), gli ebrei sono i più abili nel commercio (vera a metà e motivata dal fatto di essere quasi sempre in fuga e quindi dal doversi arrangiare), gli ebrei cercano sempre di sposarsi tra loro (questa è in gran parte vera per i credenti) e altro ancora.

Le prime volte controbatti, poi ti arrendi e lasci parlare, tanto sono luoghi comuni così radicati che combatterli è tempo perso e provi piuttosto a guerreggiare con quel senso di persecuzione che ti accompagna, e non potrebbe essere altrimenti, fin da quando capisci qualcosa.

A volte vinci e a volte perdi, è la vita.

Ecco, ho provato a spiegarvi cos’è un ebreo laico che da sempre sogna la creazione di due Stati (Israele e Palestina) a pochi giorni dalla Giornata della Memoria.

Forse non verrà perché è molto difficile, ma davvero sarebbe un gran colpo se arrivasse Gagliardini.

Non so se sia da grande squadra, o da presunta grande squadre come vorrebbe essere l’Inter, ma certamente è superiore a tutti i centrocampisti viola con l’eccezione di Veretout e con il solo Benassi che potrebbe valerlo in certi momenti.

Insomma, un grande rinforzo per il centrocampo.
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Quasi troppo bello per essere vero, tanto che lo danno come molto complicato, ma se fosse possibile arrivarci, farei veramente un grande sforzo per regalarci la possibilità di scalare la classifica.

 

Ci ho pensato a lungo ieri dopo la partita per cercare di ritrovare qualcosa di simile a quanto ci ha fatto vedere Muriel al Franchi.

L’unico paragone che mi è venuto in mente è stato con l’immenso Robertino Baggio e allora sono tornato a quei due gol di Milano e Napoli in slalom, gol che ho avuto la fortuna di raccontare in diretta quando ancora vedere le partite in televisione era qualcosa di inimmaginabile (anzi, per quello di San Siro c’era pure lo sciopero della Rai).

Solo che Robertino quelle due perle, forse più belle, ma certamente simili nello svolgimento dell’azione, ce le ha regalate in due gare diverse, a due anni di distanza e non quaranta minuti.

Ovviamente Baggio rimane Baggio e Muriel si spera che diventi qualcosa che ricorderemo a lungo, ma la giornata di ieri resta a suo modo storico.

Purtroppo solo per Muriel e non per il risultato, e neanche per la prestazione complessiva della squadra a cominciare dal reparto più affidabile, la difesa.

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