Perché fare gli ipocriti?

Il calcio da decenni non è più uno sport, o almeno non è solamente uno sport, ma molto di più.

E’ un’industria anomala, dove chi sbaglia paga pochissimo, dove non esistono le normali regole economiche e che infatti non a caso ha creato una voragine a livello di debito. Intanto però permette a decine di migliaia di persone di vivere col pallone (e noi giornalisti sportivi siamo tra quelli, tanto per essere chiari).

E’ qualcosa che assomiglia molto allo spettacolo e in questo momento ci sarebbe un gran bisogno di tornare a vedere le partite, di discutere su un rigore dato o non dato, sui furti della Juve.

Il calcio oppio dei popoli? In qualche misura sì e davvero sia benedetto quel Paese che non ha bisogno di eroi, ma in questo momento serve tutto pur di uscire dalla depressione che ci sta avvolgendo.

Inutile sottolineare come debbano essere salvaguardati tutti i protocolli legati alla salute, ma se la serie A se lo potesse permettere non troverei così immorale il fatto che a giugno si torni a vedere il campionato.

Qualcuno cominci a pensare a cosa possiamo o non possiamo fare dal 4 maggio in poi.

Con una certa velocità, perché poi andrà comunicato e interiorizzato da noi che stiamo facendo fatica ad attraversare il deserto della quarantena.

Sarà possibile viaggiare da un Comune all’altro?

Si potrà andare in altre Regioni al di là delle esigenze lavorative?

Qualcuno decida, grazie.

Avere una gran memoria è una fortuna e un problema.

Una fortuna perché obiettivamente mi ha permesso di cavarmela diverse volte nella vita, aggrappandomi a date e circostanze che hanno spesso stupito l’interlocutore.

Un problema, perché poi quando si accumulano le inevitabili ferite dell’esistenza tu ricordi benissimo cosa facevi uno, due, cinque, dieci anni fa quello stesso giorno e in quello stesso periodo e quindi torni a soffrire.

Ebbene, questi quaranta giorni così difficili hanno provocato nella mia testa una specie di bolla d’aria, un tempo sospeso che non avevo mai provato e che mi porta ad avere una specie di straniamento nei confronti della vita precedente.

Non vedo da oltre cinque settimane i miei figli e a casa mi comporto com’è giusto che sia con mia moglie, visto che sono un potenziale importatore dello stramaledetto virus: ogni giorno penso e faccio le stesse cose e non mi non era mai successo.

Mi sono quindi sorpreso a non avere più quella scansione esatta di ricordi o almeno non averla più con la stessa martellante frequenza di prima: è come se galleggiassi in un’orbita lontana.

Nonostante questa diversa dimensione della mia esistenza, penso e spero di conservare un briciolo di raziocinio e quindi mi considero fortunato perché posso lavorare molto e tenere il cervello impegnato.

In attesa di tornare sulla Terra, pedalo con grinta in questo assurdo presente.

Chi ha di più dovrebbe dare di più, o almeno entrate nell’ordine di idee di farlo.

Ottantamila euro loro di l’anno di reddito mi sembrano una cifra con cui si possa vivere più che bene, per questo non mi pre scandaloso fissare un contributo progressivo per chi prende più di quella cifra.

Oltretutto la proposta è limitata a due anni, non è per sempre, per questo non capisco la levata generale di scudi contro questa idea.

Temo che in molti non si siano ancora resi conto di cosa stiamo vivendo e di cosa ci aspetta.

Me ne sto accorgendo solo ora che la vita sta faticosamente riprendendo il suo corso, nell’incedere quotidiano delle nostre ultime paure.

Mi sto accorgendo che dovrò fare a meno di Rialtopulos, come lo chiamavo al telefono ed è una mancanza vera, come quella di Manuela, solo che ho dieci anni di più e molte cicatrici che nel frattempo si sono depositate dentro di me.

E sto capendo solo adesso anche di essere stato “scelto” da Alessandro come interfaccia di quel mondo radiotelevisivo che lui contemplava, annusava più o meno da lontano,  ma che certo non amava certo come Stadio e la carta stampata.

Vivo tutto questo con un senso di gratitudine postuma nei suoi confronti, come qualcosa che mi era sfuggito nei 29 anni di collaborazione alla radio. E’ difficile tra maschi adulti scambiarsi manifestazioni di affetto, figuriamoci tra due come noi che tendevamo ad essere leader delle nostre tribù, però quell’affetto c’era tutto.

Adesso mi dovrò abituare ad una vita lavorativa senza di lui e alla fine mi adatterò, ma quanta tristezza solo a pensarci.

È morto stasera Alessandro Rialti e io sono più solo nel mondo del giornalismo.

Lo immagino insieme a Manuela a scherzare sulla Fiorentina e a controllare quello che faccio.

Che periodo terribile.

Cosa state riguardando di più in televisione?

Calcio o vecchi film?

Wimbledon o serie americane?

Fiorello o talk show?

Forza ragazzi e ragazze, è dura, ma ce la dobbiamo fare

Una volta Panatta definì John Mc Enroe in modo straordinario: “E’ uno strano tipo, che pensa di essere Mc Enroe”.

Ecco, Giancarlo Antognoni è l’esatto contrario, nel senso che non hai mai pensato davvero di essere Antognoni, con tutto quello che il personaggio rappresenta nelle nostre vite.

Ne fosse appena consapevole, non sarebbe così.

Ad ogni compleanno si ripete il rito degli omaggi, che sono sinceri perché nessuno, ma proprio nessuno, in 48 anni di presenza nel mondo del calcio lo ha mai visto o sentito atteggiarsi come se, appunto, fosse Antognoni, cioè la storia della Fiorentina e uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi che però, secondo me, non ha mai espresso completamente le sue doti straordinarie.

Non sentirsi Antognoni è una dote naturale, esattamente come la sua corsa a testa alta col pallone tra i piedi: entrambe sono rarissime.

Chi ha una coscienza e una testa pensante in questi giorni immagino che stia facendo i conti se stesso.

Non siamo mai stati così vicino alla morte: ci sfiora, ci minaccia, la vediamo in televisione, la leggiamo sui giornali e non è qualcosa di lontano perché purtroppo si tocca e ci tocca.

Abbiamo molto più tempo per pensare, per ricordare ciò che abbiamo fatto, le persone a cui abbiamo procurato dolore e chi ce ne ha dato e che ancora non abbiamo perdonato e che forse non perdoneremo mai.

Non mi piace il buonismo da quattro soldi, per questo non credo affatto che tutti dopo saremo diversi perché non sarà così, chi è una carogna, chi non ha cervello, continuerà ad essere così, anche senza il virus.

E però consiglio a tutti uno spietato regolamento di conti con il proprio passato, con la coscienza a dirigere le operazioni: penso che possa venire fuori qualcosa di interessante.

Ho sempre pensato che ci volesse molto tatto e mota educazione per entrare nelle case, nelle macchine e nella vita di altri attraverso quel magnifico strumento che è la radio.

Da un mese in qua ce ne vuole ancora di più, perché la gente che ascolta sta male: non esiste concittadino che viva peggio rispetto a febbraio e temo che aprile sarà ancora più duro.

Negli ultimi anni ho pensato meno a “come fare” radio, approfittando di quanto avevo costruito e cioè una squadra che funzionava molto bene e che semmai aveva bisogno di stimoli, non di impostazione di base.

Ma sì, confessiamolo in questo blog che è il mio Facebook, Instagram e altro che non ho mai avuto e che pensò mai avrò: mi ero un po’ impigrito.

Questa tragedia mi ha risvegliato e mi sono sentito ancora più responsabile di quello che stiamo facendo.

Comincio a pensare alla programmazione sotto la doccia poco dopo le 5 del mattino, col gettito dell’acqua calda, che adoro, arrivano idee da assecondare o da scartare.

Ho ritrovato una passione mai scomparsa, ma in qualche modo appannata dalle multiformi vicende della mia vita privata e mi piace pensare di fare davvero compagnia a chi è in difficoltà.

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