E’ tornato il solito Prandelli: in campana, ma cortese e abbastanza disponibile, com’è nella sua natura.
Non doveva dare anticipazioni sulla formazione ed invece ha fatto capire che se Blasi sta bene gioca, altrimenti va in campo Pazienza.
Lui ha fatto un passo indietro, adesso tocca noi che facciamo informazioni.
Qualcosa abbiamo sbagliato anche noi, ora ripartiamo da zero, anzi da meno sedici.
Io ad esempio non mi devo più far prendere dalla strizza da retrocessione durante la radiocronaca ed essere anche più lucido anche in caso (infausto) di rovescio.
Per stasera è giusto quello che ha detto Prandelli: “puntiamo a non prendere gol”.
Giusto, perché tanto uno glielo possiamo fare in qualsiasi momento e male che vada torniamo dal Friuli con un punto.
Mi preoccupa molto Di Natale e Muntari, per la tradizione che ha contro di noi.
Ma siamo più forti, basta non avere fretta.

Domani salirò in macchina, inserirò il comodo navigatore (sulle strade sono una catastrofe) e partirò per Udine insieme a due giovani “discepoli”.
Venticinque anni fa mi trovai alle due di notte alla stazione con Rinaldo (il boss) e un altro amico per prendere il treno per Bologna, poi Venezia ed infine Udine, dove arrivammo alle dieci del mattino.
Le coincidenze successive ci avrebbero condotto allo stadio alle 12.30, un po’ tardi per me.
Sapete com’è: ero un po’ paranoico con la puntualità e gli orari. Dopo sono peggiorato.
Fuori il termometro segnava meno quindici gradi, un freddo secco che ti entrava nelle ossa.
Quando ritirai l’accredito mi fecero una domanda decisiva per il mio futuro: “avete anche chiesto il telefono per la radiocronaca?”.
Ma quale telefono, che ce ne fregava a noi della radiocronaca.
Noi andavamo lì solo per le interviste del dopopartita e poi chi volevi che stesse a sentire una radiocronaca su Radio Blu?
Il problema fu che nel campionato successivo mi ricordai di quella domanda e da lì iniziò l’avventura, ma questa è un’altra storia.
Dunque, meno quindici gradi e almeno tremila viola al “Friuli” inciucchiti dal freddo e dai tanti grappini che gli ospitali padroni di casa offrivano senza soste.
Non mi ricordo mai se segnò prima Graziani e poi Bertoni o viceversa, e non ho neanche voglia di andare a controllare, tanto non importa.
Certo è che fra i due gol realizzò il pareggio Carletto Muraro e che alla fine eravamo matematicamente Campioni d’inverno con due punti di vantaggio sulla Juve.
Al decimo del secondo tempo non ce la facevamo veramente più per il freddo e chiedemmo asilo (concesso) nella cabina riscaldata di Sandro Ciotti, che era la seconda voce (Ameri trasmetteva Napoli-Juve).
Avevo ventuno anni, una fidanzata che odiava il calcio, trecentomila lire in banca, quindici cambiali ancora da pagare per la mia A112 Abarth, nessuna idea su quello che avrei fatto da grande ed ero felice.

Non esiste al mondo una categoria più permalosa dei giornalisti.
Molti di noi pensano (pensiamo) di essere dei Moravia o dei Cassola potenziali, che solo il destino cinico e baro ha costretto a scrivere di Montolivo e Liverani.
Siccome è da trent’anni che provo a fare questo mestiere, ho assistito ad una evoluzione per me impensabile quando nel 1976 cominciai a prendere i tabellini della Rondinella per Il Tirreno, sperando solo di scrivere un giorno qualche articolo.
Il giornalista della carta stampata ha scoperto la popolarità, che prima era solo di tre o quattro grandi firme e a Firenze di nessuno, perché nessuno conosceva la faccia di Pegolotti o di Goggioli.
La scoperta è stata devastante, l’edicolante o il pizzicagnolo che ti avevano visto in tv o ascoltato in radio ha fatto il resto, trasformando il giornalista in una piccola star (se a livello regionale) o in uomo spettacolo, rotto ad ogni sperienza e pronto a qualsiasi cosa per una platea televisiva nazionale.
Sinceramente devo dire di appartenere a questo circo mediatico, anzi di averlo in gran parte costruito a livello fiorentino perché, per almeno dieci anni non c’è mai stato nessuno che si occupasse radiofonicamente di Fiorentina.
Non solo: nel corso del tempo ho lanciato ragazzi e ragazze che hanno occupato spazi sempre più ampi.
Non esiste categoria più rancorosa dei giornalisti.
Una categoria dove un torto patito dieci anni fa è ancora la bussola che guida i rapporti tra le persone.
Una categoria dove i clan e le conventicole si fronteggiano a volte con punte di veleno che confinano con l’odio fisico.
A tutto questo va aggiunto che nel giornalismo sportivo non abbonda proprio una gran preparazione culturale (ultimamente è stato assunto come caporedattore un signore che ha dei seri problemi a districarsi con l’acca del verbo avere…).
Però i giornalisti sono (siamo) l’interfaccia per raccontare il mondo e lo possiamo fare bene o male, ricordandosi che questo è un mestiere estremamente individuale, dove le responsabilità uno se le deve prendere sempre e comunque perché altrimenti va a fare un’altra cosa.
Per questo non mi piace il corporativismo della categoria (molto di facciata, ve lo assicuro), ma non mi piace neanche la piega che sta prendendo la storia di Prandelli, che stimo addirittura più come uomo che come allenatore.
Perché è troppo facile scatenare i tifosi contro i giornalisti, rischiando magari che qualcuno con tre neuroni nel cervello tiri un paio di schiaffi a chi ritiene responsabile dei mali della Fiorentina.
Tutti i tifosi sono dalla parte di Prandelli, lo sarei anch’io se fossi solo un tifoso e lo sono pure da giornalista.
Solo che mi piacerebbe sapere chi c’è dall’altra parte.

Non conta il come, ma solo il risultato, e poi confermo quanto ho detto ieri sera a Rtv 38: per cinque sesti della partita la Fiorentina ha meritato di vincere una gara piuttosto brutta.
Per un quarto d’ora invece ci hanno messo ai paletti.
Abbiamo avuto fortuna, però se pareggiavamo non era giusto per l’andamento complessivo dell’incontro.
La “svista” di Pieri su Toni è stata colossale e non si può non applicare il buon senso in un’azione come quella, a tempo scaduto e dopo dieci falli subiti dal bomber.
Se pensassi, se pensassimo alla prevenzione verso la Fiorentina, sarebbe meglio smetterla qui perché non si può combattere con i mulini al vento.
Tifo straordinario, una partecipazione commovente e un amplesso continuo con Prandelli: giusto così.
Fray grandioso, Mutu una scoperta per l’agonismo, Potenza in questo momento meglio di Ufo, Toni decoroso e una difesa da brividi, più per qualcosa che sembra bloccare psicologicamente i due centrali che altro.
Non mi aspettavo che Prandelli disertasse la sala stampa a fine gara, forse sarebbe ora di chiuderla questa polemica con i giornalisti che non giova a nessuno.
A questo proposito, sono andato per curiosità a rileggermi quello che avevo scritto a proposito delle ambizioni viola il 29 agosto scorso, quando il campionato doveva ancora iniziare.
Ve lo ripropongo integralmente, perché quando ci sono delle responsabilità da prendere non mi tiro mai indietro e non avrei quindi alcuna difficoltà in futuro a dissentire con Prandelli.
Ma non mi piace quando si spara nel mucchio, quando si dice “i giornalisti”, ognuno risponda di quello che ha scritto o detto.
Se avete un po’ pazienza rileggetevi queste righe e poi, semmai, mi fate sapere.

Giorni decisivi
Bravo Pestuggia nel Pentasport di ieri a ricordare a quale giornata dello scorso campionato la Fiorentina raggiunse la fatidica quota diciannove.
Era la nona, quindi quasi a metà girone di andata e sarà davvero il caso, come già avevo scritto, di sintonizzarsi subito sulle frequenze di Prandelli, perché la passata stagione fu straordinaria in positivo e potrebbe anche darsi (incrociamo le dita) che ora si fatichi un po’ di più.
Credo che nessuno di noi abbia ancora interiorizzato completamente cosa voglia dire partire da questa voragine di punti in meno: non vorrei che ci si cominciasse a pensare sul serio solo dopo un mese di campionato, magari in una situazione psicologicamente molto pesante.
Per questo i prossimi dieci giorni sarenno decisivi per il futuro viola.
E’ nei prossimi allenamenti infatti che Prandelli metterà la benzina per una partenza che non potrà che essere a tutto gas.
Io comunque, e lo dico ora a scanso di equivoci, mi fido

Prandelli è un grande allenatore, probabilmente il migliore con Spalletti, Lippi e Capello in Italia.
Credo che lo sfogo di questo pomeriggio, indirizzato soprattutto verso i giornalisti, faccia parte di una strategia precisa, qualcosa del tipo “Quella sporca ultima meta”.
Insomma, noi siamo la Fiorentina, un manipolo di uomini che sfida il mondo e proprio da questo uno contro tutti traiamo un’energia inesauribile che ci porterà a raggiungere l’obiettivo.
Sinceramente non ho visto accanimento verso la squadra da parte dei media, però bisogna intendersi: se volete che (relativamente a Livorno-Fiorentina) io parli bene delle prove di Ufo, Jorgensen, Dainelli, Gamberini, Pasqual, Donadel e Blasi avete sbagliato indirizzo.
Io rivendico il diritto/dovere di criticare, senza cattiveria, ma anche senza il ricatto di non poter dire niente perché altrimenti “sono contro la Fiorentina”.
Ci vuole una giusta via di mezzo, che non sempre è facile trovare.
Esempio lampante Golden Gol di domenica e parlo ovviamente a titolo personale.
Credo di aver detto cose normali, ho difeso la campagna acquisti, il lavoro di Prandelli, ma ho anche messo in risalto la prestazione per me scarsa di alcuni elementi.
Però ero talmente arrabbiato per la sconfitta e preoccupato per la classifica da avere un’aria truce, un atteggiamento che può aver ingenerato l’idea che ce l’avessi con tutti: squadra, Prandelli e società.
Io, che ho salutato normalmente Prandelli dopo ognuna delle ultime tre sconfitte, starò più attento nel modo di porgere i concetti, però non vorrei che si arrivasse ad una contrapposizione stampa-Fiorentina che causerebbe solo disastri (ognuno è però responsabile di quello che dice e quello che fa, figuriamoci se proprio io mi metto a difendere corporativamente la categoria…)

Io non ho mai scritto o pensato che faremo la fine del 2002.
Ho solo detto che non possiamo e vogliamo permetterci giustificazioni extra campo per prestazioni incolori, come facemmo allora per mesi, precipitando nel baratro.
Mi sembra chiaro il concetto: qui nessuno sta col fiato addosso al tecnico o ai giocatori, ma non siamo stati noi giornalisti a tirare fuori la storia della penalizzazione nel dopo gara di Livorno.
Lo ha fatto Prandelli e poi in parte Toni.
Detto questo, pensiamo a fare quadrato, perchè la rosa di quest’anno è davvero più forte di quella dell’anno scorso.
L’avevo già ricordato in radio ed in televisione, ma forse a qualcuno è sfuggito.
E se poi penso ai rigori decisivi falliti in campionato e all’infortunio di Frey a metà campionato, mi viene da pensare che quella dell’anno passato sia stata una stagione certamente buona per la dea bendata, ma non poi così sfacciatamente fortunata.
Non facciamone insomma un feticcio alla rovescia e ribadisco il concetto: le potenzialità della rosa viola sono da almeno 65 punti.
Ma Ufo deve svegliarsi, Jorgensen ricominciare a saltare l’uomo, Blasi liberarsi della paura del cartellino, i due centrali stare più accorti, Pasqual non voler dimostrare niente a nessuno, Liverani rischiare qualcosa in verticale e Toni entarre in forma.
Non sono variabili da poco,ma la stoffa è quella buona, ed il sarto ottimo.

Attenzione, qui si rischia di ripetere psicologicamente il 2001/02.
Cinque anni fa era sempre colpa degli stipendi che non arrivavano, delle precarie condizioni mentali di VCG, della cessione di Toldo e Rui Costa.
Mai di quella banda di maledetti mercenari che con un organico da tranquilla metà classifica ci hanno fatto prima retrocedere e poi, senza i 60 miliardi della televisione, fallire.
Adesso è colpa della penalizzazione, che costringe i giocatori a chissà quali tortuosi percorsi mentali per arrivare a presentarsi belli concentrati in campo.
L’ho sentito negli spogliatoi di Livorno questo fantasma aggirarsi nell’aria e non va bene, non va assolutamente bene.
Facciamo così: voi (e per voi intendo squadra e Prandelli) fate i 65 punti che sono tranquillamente alla vostra portata, e che sarebbero poi 9 in meno della fantastica passata stagione, e non vi preoccupate di altro.
Ma cominciamo a farli i punti, perché anche senza questo maledetto handicap saremmo ultimi lo stesso e, tanto per ricordarlo, raramente era successo che la Fiorentina perdesse tre partite di seguito (già, siamo stati pure eliminati dalla Coppa Italia, dove pure si partiva tutti alla pari…)

Mi piacerebbe conoscere gli emolumenti percepiti da Guido Rossi come commissario della FIGC e poi lo stipendio che prenderà come presidente di Telecom.
Basterebbe questo mero aspetto materiale per far capire a tutti che è impossibile sovrapporre le due cariche.
Faccio un esempio personale: sarebbe come se dicessi di sì a quella radio che da anni mi propone di dirigere la propria redazione sportiva e poi, alle 18.05, cominciassi tranquillamente a condurre il Pentasport.
Dice: ma qui non si tratta di due concorrenti, sono realtà economicamente diverse.
Peggio ancora, perché qui le due identità in qualche modo interagiscono: Telecom ha rapporti di affari con il mondo del calcio (basta pensare al recente contratto con la Fiorentina) e non si venga a dire che un conto è la Lega e un altro la Federazione, perché a uno come Galliani una distinzione del genere non l’avremmo mai (giustamente) concessa.
Quindi Guido Rossi exit, mi sembra inevitabile, ed il prima possibile.

Ottimo risultato, il due a zero del Livorno in Coppa Uefa.
Adesso tocca a noi e davvero non esisteva davvero miglior condizione psicologica e fisica per affrontare questo derby.
A questo punto il pareggio non va bene, sono due punti persi perché all’Ardenza bisogna osare, anche sul piano dell’atteggiamento psicologico.
Voglio dire che possiamo anche rischiare un cartellino in più piuttosto che soccombere come sempre di fronte alla maggiore grinta del Livorno.
Sotto molti punti di vista, soprattutto quello della maturità, dopodomani conta più di sabato scorso, quando avevamo di fronte qualcuno più forte.
Cerchiamo di non sprecarla, questa grande occasione.

Un quesito ben più lacerante di quello della scelta tra Liverani e Montolivo: fanno bene gli affidatari di Maria a non voler restituire (termine orrendo) la bambina di dieci anni alle autorità della Bielorussia che vogliono riportarla nel proprio Paese?
Ho sempre resistito al pressing di mia moglie, a cui sarebbe piaciuto avere un figlio in affidamento: l’ho fatto per puro egoismo, perché immaginavo quanto sarebbe stato straziante il momento dell’addio e non credo che esista allenamento mentale adeguato per vivere bene certe emozioni negative.
Ho conosciuto per interposta persona storie strazianti di orfanotrofi di Paesi dell’Est, del Sudamerica, in cui non stentavo a credere che una volta entrato lì dentro ti venisse voglia di portartene via due, tre, quattro, tutti, se fosse stato possibile.
Non a caso diversi genitori adottivi sono partiti dall’Italia con l’idea di avere un figlio e se ne sono tornati a casa con due o tre.
E però questa di Maria è una storia a suo modo diversa, atroce: si parla di violenze sessuali su una bambina di dieci anni, sul rischio che possa tornare a vivere quell’infermo.
Con il cuore siamo tutti con gli affidatari (volutamente non ho mai scritto “genitori affidatari”), ma poi bisogna pure ragionare ed ipotizzare che se passa il caso di Maria, se cioè rimane in Italia con chi adesso la nasconde, mille altri padri e madri che come me non sopportano il distacco dopo l’affidamento potrebbero fare lo stesso.
Senza contare che il caso rischia di bloccare 550 adozioni di bambini bielorussi e gettare nella disperazione altrettante famiglie da mesi, forse anni in trepidazione.
Insomma, nel nome di Maria io non so davvero quale sia la cosa giusta da fare, ma vorrei solo che non si speculasse sulla pelle di questa bambina, che ha un anno meno di mia figlia Valentina che proprio oggi va felicemente in prima media.

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