Improvviso fiorire di laterali sinistri nella Fiorentina.
Dopo l’ottimo pasqual di Torino, il superbo Vargas di Bucarest e c’è Gobbi, affidabilissimo, ai box.
Uno dei tre però va ceduto, perché non siamo l’Inter e anche sul piano ambientale la vicenda sarebbe curiosa.
Perché appena quello che va in campo rende un po’ meno delle aspettative subito nascerebbero le controindicazioni perchè si pensa che sarebbe stato più giusto mettere dentro uno degli altri due.
Chi cedere è un bel problema e a questo escluderei Vargas, su cui è stato investito moltissimo.
Lasciamo decidere al mercato e vediamo quali offerte arrivano per Gobbi e Pasqual, salvo poi ovviamente dispiacerci appena se ne vanno.
Ma tre in quel ruolo sono davvero troppi.

Guardate un po’ l’ora di questo post…
Tre ore di sonno, gelo fuori, partenza per Firenze, sperando che la coincidenza funzioni.
E va bene, per una volta forse fare il giornalista non e’ meglio che lavorare, come diceva saggiamente Missiroli, ma essere tifoso della Fiorentina qualche soddisfazione qualcosa regala.
Insomma, ormai siamo al quarto anno buono, mi sembra si possa dire, visto che la stagione sta prendendo le caratteristiche consuete: battiamo quelle piu’ deboli (e la Steaua e’ davvero scarsa) e abbiamo difficolta’ con chi e’ piu’ forte e non sono molte.
Ieri sera, finalmente il primo Vargas vero per novanta minuti, ma per favore non venitemi a dire che ci si deve cospargere il capo di cenere o altre amenita’ del genere.
Qui si giudica partita per partita e rivendico, nell’analisi critica, l’ovvio ricorso all’incoerenza.
Molto bene pure Montolivo e Gilardino e’ straordinario, molto frenato invece Mutu.
Non rileggo e pubblico, correndo dentro un bruttissimo taxi romeno.

Ero e sono prevenuto, l’ultima volta qui in Romania sono stato da cani, con un viaggio di ritorno da incubo per un’intossicazione alimentare.
Bucarest non e’ Bistrita, ma la prima cosa che mi e’ successa e’ stata la rottura della carta sim che qui (la mia) non prende.
Viaggio molto lungo e pensieri che vagano, come faccio spesso, sulle differenze tra la mia vita di allora e quella di oggi, oltre ai bilanci rispetto all’ultima volta che sono stato qui.
E’ cambiato tutto nella mia vita: ho due figli in piu’ (io che ero contro la paternita’…), sono morte persone a cui ero affezionato, ho cambiato televisione, giornale e la mia amata Radio Blu e’ stata venduta.
Insomma, per uno come me conservatore nello spirito e che e’ istintivamente contrario ai cambiamenti, una rivoluzione copernicana.
Sono stato tradito da persone che credevo affidabili, e’ probabile che abbia dato qualche delusione.
E la Fiorentina? Morta e risorta, meno divertente come ambiente e molto piu’ seria del 1996.
Intanto sulle televisioni romene continuano a scorrere le immagini di Mutu, ripreso in tutte le pose, lui e’ sorridente, spero che sia sereno dentro.
Domani abbiamo bisogno soprattutto di lui.

1990/91

Il mio primo contatto con Mario Cecchi Gori risale all’aprile del 1990. La Fiorentina doveva giocare una partita decisiva per la salvezza contro l’Inter a Milano e si parlava sempre più insistentemente di un interesse del produttore per l’acquisto della società. Chiamai Roma e gli chiesi se gli sarebbe piaciuto seguire in diretta la radiocronaca. Mi sorprese il fatto che in un paio di minuti potessi parlare con uno dei più importanti uomini di cinema al mondo, ma evidentemente la parola Fiorentina apriva porte altrimenti sprangate a tanti aspiranti attori o registi. Mi rispose gentilmente di no, perché non voleva dare l’impressione di forzare i tempi di una trattativa che ancora non decollava. Due settimane prima a Roma, a pochi minuti dall’inizio della gara con i giallorossi, Mario Cecchi Gori aveva avuto un fitto colloquio “a cielo apertoâ€? con Flavio Pontello, un incontro che era stato definito dal Conte “un puro atto di cortesia verso una persona squisitaâ€?. Seppi del passaggio di proprietà della Fiorentina due giorni prima dell’annuncio ufficiale, ma avevo giurato alla mia fonte, l’avvocato Lapo Puccini, che non avrei detto nulla e rinunciai allo scoop. Tutti aspettavamo Cecchi Gori come un liberatore e non a caso venne immediatamente insignito della carica di “Magnifico Messereâ€? al calcio storico fiorentino. Fu un grande uomo ed un presidente sfortunato, con un difetto indipendente dalla sua volontà…

TELEBULGARIA
Nella stagione precedente avevo ricevuto per la prima volta offerte di lavoro da parte di una radio concorrente. Il gruppo Poli, proprietario di Rete 37, aveva intenzione di allargarsi nella radiofonia e voleva che andassi a trasmettere da loro. Non ascoltai nemmeno la proposta, ma la cosa fece molto arrabbiare Rinaldo, che in un soprassalto d’orgoglio comprò uno spazio a Tvr-Teleitalia per trasmettere il Pentasport in contemporanea televisiva. Addio dunque alle telefonate di Isler il sabato sera, alle tanto contestate pagelle e a “Calcio Parlatoâ€?. Mi dispiaceva molto lasciare Rete 37, ma capivo che non potevo fare tutto e così cominciammo la nuova avventura.
Quando oggi rivedo le cassette di quei tre anni di trasmissione, provo qualcosa a metà tra la vergogna e la tenerezza. Non avevamo immagini e così le uniche due telecamere dell’emittente inquadravano per novanta minuti degli stoccafissi che rivolgevano domande ad un solo ospite, parlando ogni tanto di tattica. A Pestuggia si erano intanto affiancati il fedelissimo Luis Laserpe e Ruben Lopes Pegna e così provai per la prima volta il brivido di dirigere una mini-redazione.

ORFANI DI BAGGIO
La prima fregatura calcistica di Cecchi Gori fu Borgonovo, strapagato al Milan dell’amico Berlusconi e tornato a Firenze completamente diverso dal giocatore rapido di due anni prima. La seconda fu Lacatus, che aveva segnato un paio di reti con la Romania ai Mondiali, ma che a Firenze si distinse soprattutto per le frequentazioni di tutti i night club nella zona del senese, dove abitava. In campionato, la prima pesantissima maglia numero dieci venne indossata da Zironelli, un giocatore normale bersagliato dalla sfortuna. In campo e fuori comandava Dunga, mentre Lazaroni cercava a fatica di capire come diavolo si giocasse in Italia. Su di lui pesava un grosso equivoco: aveva sì allenato la Nazionale del suo Paese, ma alzi la mano chi si ricorda, a parte forse Zagalo, il nome di un tecnico brasiliano. Credo che tra qualche anno anche Scolari, l’ultimo C.T vittorioso ai Mondiali, sarà dimenticato. Insomma, stare seduto sulla panchina del Brasile non voleva certo dire essere degli strateghi straordinari ed infatti Lazaroni deluse un po’ tutti. E se a novembre non fossero arrivati Orlando e Fuser, la Fiorentina sarebbe probabilmente retrocessa con due anni di anticipo.

UN SOGNO
Nell’ottobre del 1990 si avverò un sogno: giocare allo stadio, davanti a quarantamila persone. Debbo tutto questo a Carlo Conti, che mi inserì nella lista dei Vip (o presunti tali), che avrebbero affrontato la Nazionale cantanti di Morandi e Ramazzotti. Quel giorno mi svegliai alle cinque del mattino già in preda di una fortissima emozione. E’ incredibile salire le scalette del sottopassaggio del Franchi e trovare tutta quella gente sugli spalti. Ovviamente la mia presenza passò del tutto inosservata, però fu bello sentire annunciare il nome dallo speaker, come se fossi uno vero. Passati i primi momenti di smarrimento, mi ambientai bene. Anzi, fin troppo bene, perché ad un certo punto, allargando le braccia, rimproverai platealmente Antognoni, reo secondo me di non avermi passato correttamente il pallone. Mi ero chiaramente montato la testa e venni giustamente fischiato impietosamente dalla Maratona. Quando rividi l’azione, mi vergognai di me stesso: il passaggio era perfetto, ero io che sembravo filmato alla moviola.

PRIME CONTESTAZIONI
Ero piacevolmente abituato ad un consenso generale. I tifosi gradivano le mie radiocronache e pazienza se qualche volta i giocatori, imbeccati da mogli, fidanzate e amici, si arrabbiavano. Tutto rimaneva nei limiti della normalità e del rapporto civile. Quell’anno invece qualcosa cominciò a guastarsi, a causa delle critiche che rivolgevo a Lazaroni e al suo modo di giocare. Poiché sono sempre stato poco diplomatico, ci misi appena un paio di mesi prima di sbottare in un «tanto si sa che è Dunga a fare la squadra! Ormai il capitano ha un suo vero e proprio clan». Avevo i miei bravi informatori nello spogliatoio e c’era del vero in ciò che dicevo, ma logicamente tutto questo non poteva che mandare su tutte le furie il gruppo di Dunga, che cominciò a farmi la guerra.
Un pomeriggio di dicembre mi arrivò una telefonata di avvertimento di Borgonovo, con cui avevo ottimi rapporti. «I tifosi sono inferociti con te – mi disse – se non la smetti con le critiche a certi giocatori, specialmente a Nappi e Salvatori, qualche testa calda ha giurato di fartela pagare. Forse è meglio se ti dai una calmata». Rimasi di stucco e mi attaccai al telefono per capire quanta verità ci fosse nel “consiglioâ€? di Borgonovo (che fra l’altro non faceva più un gol neanche per sbaglio).
Dodici anni dopo posso dire che me la presi troppo, perché dovevo capire subito o quasi che si trattava di un modo neanche troppo originale per condizionarmi, ma era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere ed essere attaccati non è mai piacevole. Continuai a dire quello che pensavo, perdendo il saluto di Dunga e subendo un paio di rifiuti di Lazaroni a venire ospite al Pentasport. Dormii lo stesso la notte ed imparai la lezione.

La partita che cercavamo, che volevamo: cinici, ottima circolazione del pallone e con quei due lì davanti che mi ricordano come efficacia la premiata ditta Baggio-Borgonovo.
Mi spiace molto per il Torino, ridotto come raramente mi era capitato di vedere nella sua pur tormentosa recente storia e confesso di aver avuto la tentazione di comprare la maglia rievocativa dello scudetto del 1976, ma poi mi sono detto che non era il caso di esagerare.
Aveva quindi (ancora una volta) ragione Prandelli, quando si dimostrava certo dei progressi raggiunti dalla squadra.
Resta comunque il fatto che perdere non piace a nessuno e che se non hai due campioni davanti tutta la produzione di gioco che fai resta un’operazione academica.
E ora partenza per Bucarest, trasferta che proprio non gradisco in ricordo dei patimenti fisici di Bistrita e trasferta che ha pure poco fascino calcistico.
Però in Uefa bisogna andarci, a testa alta…

Ma che v’aspettavate dopo dopo la vergogna di agosto?
Sì, lo so che stavolta è ancora più clamorosa, perché la gara della Juve non conta niente e l’altra volta non potevano certo saperlo prima del quattro a zero di Torino, ma vedrete che giovedì ci spiattelleranno i loro ottimi dati di ascolto.
Il problema è il sistema misto, cioè ne’ carne ne’ pesce, ma un ibrido dove si continua ad assumere quasi sempre per raccomandazione politica (e tra poco ci sarà una new entry che conosco pure io), ma con la pubblicità che conta economicamente più del canone, che ancora non si riesce a capire il perché si paghi.
Una seconda vergogna che discrimina i tifosi della Fiorentina, palesemente di serie B per questi geni che decidono (ma non per De Luca, che a Radio Blu ha fatto capire di non essere d’accordo).
Temo che scrivere alla Raj sia inutile, ma può servire per sfogarsi un po’.

Ormai non frequento più i giocatori viola perchè ogni età ha i suoi tempi e sarà un anno che non vado in sala stampa a causa dei mille impegni extra calcio.
Ricordo ancora la prima volta che intervistai un calciatore della Fiorenina. Avevo sedici anni, era Ennio Pellgrini, ero il direttore (quando si dice la modestia…) del giornalino scolastico e provai un’emozione fortissima.
E poi l’anno con Pecci al Pentasport, con lui che mi massacrava di continuo con le sue battute che io, permaloso come sempre, dovevo subire in silenzio perché non avevo la forza di controbattere.
Adesso potrebbero essere davvero tutti miei figli, a parte Jorgensen, ma questa realtà mi permette di guardare un po’ più lontano.
Posso cioè cercare di intuire, nei rari casi in cui passo un po’ di tempo insieme a loro, la sostanza di questi ragazzi forunati e ricchissimi, che hanno il mondo ai propri piedi e che magari cercano lo stesso un equilibrio.
Stasera ad esempio, alla consegna del Premio Banchi, ho passato un’ora con Kuzmanovic, che in verità mi era già sembrato molto sveglio fin dalla prima intervista, ma era stata una roba di tre minuti due anni fa.
E anche questa volta l’impressione è stata ottima, Kuz è uno che non se la tira per niente, molto veloce di pensiero e disponibile al dialogo.
Questo ragazzo, insomma, con la testa c’è, adesso aspettiamo ulteriori miglioramenti in campo.

SCIOPERO
Il 28 gennaio 1990 andò in scena il primo sciopero calcistico della storia. Organizzato dai tifosi viola, aveva l’obiettivo di spiegare ai Pontello due cose semplici semplici: Baggio doveva rimanere e loro se ne dovevano andare. La clamorosa iniziativa ebbe un successo al di là delle aspettative ed in Fiesole non si presentò nessuno. Rimasero tutti al freddo fuori dello stadio ad ascoltare su Radio Blu la radiocronaca di Fiorentina-Napoli, che perdemmo grazie anche alle sciagurate scelte di Giorgi. In un’intervista esclusiva a fine partita, Claudio Pontello mi disse che il messaggio era arrivato e che loro non avrebbero mai venduto Baggio. Anzi, per lui era pronto il rinnovo di contratto ad un miliardo netto all’anno.

SENZA ALLENATORE
Una delle scene più grottesche della storia viola ante Cecchi Gori venne vissuta ad Auxerre, in una notte di marzo del 1990. I Pontello erano ormai completamente nel pallone, travolti dall’affare Baggio e decisi a lucrare il più possibile dalla vendita del campione. Il presidente Lorenzo Righetti, un galantuomo col dono della diplomazia, non aveva peso specifico nelle decisioni che altri prendevano per lui. Con Giorgi in guerra con il mondo che non capiva le sue geniali intuizioni tattiche, l’uomo forte viola era diventato Nardino Previdi, un robusto direttore sportivo originario di Sassuolo, abituato a regalare imbarazzanti forme di formaggio ai giornalisti più quotati.
Ad Auxerre la Fiorentina si presentò forte del solito uno a zero strappato a Perugia ed in piena zona retrocessione. I tifosi da mesi avevano consumato lo strappo con il contestatissimo Giorgi, che almeno il 70% dei giocatori non seguiva più, a cominciare da Baggio e Dunga. Il giorno prima della gara Previdi, pressato dai giornalisti, assicurò che quella era l’ultima volta che avremmo visto il tecnico in panchina, perché dopo Auxerre sarebbe stato sostituito. Mezz’ora prima del fischio di inizio lo stesso Previdi fece circolare in tribuna stampa la voce che i giocatori avevano platealmente sfiduciato Giorgi e che quindi l’allenatore non si sarebbe presentato in campo. La gestione tecnica era stata affidata per quella gara a Battistini e Dunga. Detti la notizia per primo all’inizio del collegamento e rimasi di sale quando vidi spuntare Giorgi dal sottopassaggio. I viola passarono ancora una volta il turno, ma i Pontello e Giorgi furono contestati lo stesso dai tifosi presenti in Francia. Il giorno successivo Previdi si rimangiò le dichiarazioni di due giorni prima e smentì di aver mai parlato di un esonero di Giorgi. Fu verbalmente linciato da Manuela Righini e Luca Calamai e chiuse lì in pratica il suo rapporto con Firenze.

LO DEVO SCRIVERE SUI MURI
…che non vado alla Juventus? Era in buonafede oppure no Baggio quando rilasciò questa dichiarazione nell’aprile del ’90? Credo di sì. In quei giorni Robertino tentò davvero di sfilarsi da un gioco più grande di lui, organizzando perfino cene carbonare con Mario Cecchi Gori, che si diceva stesse per comprare la Fiorentina. Certamente mirava anche ai suoi interessi e avrebbe chiesto ai nuovi padroni lo stesso ingaggio che gli garantiva la Juve, però sono convinto che ci abbia provato. Al ritorno da una trasferta a Roma mi capitò di rientrare a Firenze in macchina con Dunga e Baggio: ciò che ascoltai in quelle due ore di viaggio era la conferma della volontà di non tradire la promessa fatta dal ragazzo d’oro del calcio italiano ai suoi amici viola. Ma fu tutto impossibile e quei giorni di primavera furono vissuti in un clima di crescente frenesia.

SALVEZZA E TELEFONINO
Era arrivato Graziani al posto di Giorgi e la Fiorentina aveva strappato a Brema un’incredibile qualificazione per la finale Uefa contro la Juve. In campionato una brutta sconfitta con l’Inter complicò la corsa per rimanere in serie A. Fu a San Siro che fece il suo esordio ufficiale un marchingegno che ci avrebbe cambiato la vita: sua maestà il telefonino. Rinaldo era stato uno dei mille italiani che si erano prenotati per averlo subito e nella sala stampa di Milano mi presentai davanti a Trapattoni, allenatore dei nerazzurri, con questo strano “cosoâ€? in mano.
«Cosa l’è che l’è?», mi chiese sospettoso il Trap
«No, niente mister, una specie di microfono e registratore… Lei risponda alle mie domande, vada avanti tranquillo», risposi, preoccupato che arrivasse qualcuno della Lega ad impedirmi l’intervista in diretta. Cominciava una nuova epoca, era arrivato quel famoso telefono senza fili sognato fin dal 1987, e adesso anche in trasferta potevamo trasmettere da tutte le parti dello stadio. Ad essere sinceri non avevamo saltato neanche una radiocronaca, ma quando verrà il mio giorno sarei curioso di sapere quanti anni di vita ho perso per star dietro al modo di trasmettere sempre e ovunque e per cercare di acquisire i mitici diritti radiofonici locali.
Chiudemmo il campionato vincendo quattro a uno al Franchi contro l’Atalanta e in qualche modo ci salvammo. Baggio segnò la quarta rete e in molti tememmo che quello fosse il suo ultimo gol in maglia viola. Purtroppo avevamo ragione, ma non c’era tempo per pensarci troppo su, perché si stava avvicinando il momento della verità: la finale Uefa contro la Juventus, la nostra rivincita dopo lo scudetto rubato nel 1982.

LADRI
Commentai la partita di andata a Torino casualmente accanto ad Angelo Caroli, inviato de La Stampa ed ex grande bianconero. Le sue parole alla fine del primo tempo furono: «è incredibile come la Fiorentina non sia in vantaggio di almeno due reti». Aveva ragione, perché avevamo dato spettacolo. Il risultato era di uno a uno per le reti di Galia e Buso, ma Baggio si era presentato due volte solo davanti a Tacconi, fallendo in entrambe le occasioni, lui che quelle reti le segna anche bendato. Non mi è mai passato per la testa che l’abbia fatto apposta perché in procinto di andare alla Juve, ma qualche imbecille ci ha pensato davvero. L’arbitraggio dello spagnolo Soriano Aladren, da me ribattezzato negli ultimi quindici minuti di radiocronaca Soriano A-ladron, fu a dir poco scandaloso nell’assegnazione dei falli, ma il peggio doveva ancora venire.
Nel secondo tempo la Juve segnò un gol viziato da un enorme fallo di Casiraghi su Pin, ma Aladron convalidò lo stesso ed il simpatico Casiraghi disse a Pin: «non te la prendere, sai com’è… Noi siamo la Juve e tutto ci è permesso». Poi fece la frittata Landucci su un tiro al rallentatore di De Agostini e lì in pratica perdemmo la Coppa Uefa. Mentre le squadre rientravano negli spogliatoi Pin urlò ai microfoni Rai un “LADRI!!â€?, che fotografava al meglio la situazione. La telecronaca di Ennio Vitanza, poi, fu a dir poco scandalosa. Nonostante ci fossero in finale due squadre italiane, sembrava che la Fiorentina fosse una formazione tedesca o francese. Tre giorni dopo quella partita mi sposai, e confesso che i veleni e la rabbia di quella notte erano ancora pienamente in circolo.

AVELLINO
A raccontarlo adesso c’è da non crederci. Siccome in semifinale un tifoso (idiota) della Fiorentina era andato a rompere le scatole al portiere del Werder Brema, ci fecero giocare la gara di ritorno in campo neutro. Ci poteva anche stare, applicando rigidamente le regole Uefa, ma quello che fece cascare le braccia fu la scelta della città. Non Roma o al limite Napoli, dove la tifoseria è storicamente anti-juventina, ma Avellino, cioè una delle città più bianconere del mondo. Come a Cagliari otto anni prima preparammo male la sfida: dovevamo recuperare due reti e c’erano state squalifiche importanti per le improvvide dichiarazioni di alcuni viola. Ma soprattutto navigavamo a vista in mezzo al ciclone Baggio. Robertino mi aveva confidato che se ne sarebbe andato alla Juve ed ero rassegnato, speravo però che ci fosse un suo ultimo acuto che ci facesse vincere la Coppa Uefa.
La partita fu molto brutta, colpimmo un palo, giocammo buona parte in undici contro dieci, ma non costruimmo mai azioni davvero pericolose. Negli spogliatoi si respirava un’aria da fine impero: Graziani sapeva di essere sostituito dal brasiliano Lazaroni, sponsorizzato da Dunga, mentre Baggio se ne stava triste in silenzio in un angolo lontano dai compagni. Era il 16 maggio, la stessa data di Cagliari, e ancora una volta la Juve ci aveva fregato, esattamente otto anni dopo. E poi in giro per l’Italia si chiedono come mai a Firenze ce l’abbiamo tanto con la Vecchia Signora…

CIAO ROBERTINO
Il giorno dopo Avellino annunciarono quello che ormai in molti sapevamo: Baggio era stato venduto alla Juve ed aveva già firmato il contratto. Unica (magra) consolazione: come segno di rispetto verso i tifosi viola, non aveva voluto indossare la sciarpa bianconera. Per cercare di fare uscire bene il suo assistito, il procuratore Caliendo si permise di organizzare una conferenza stampa nella sede della Fiorentina all’insaputa dei Pontello, quasi a confermare che era lui in quei giorni il padrone della situazione. Nel pomeriggio successivo, furono gli stessi Pontello a chiamare i giornalisti e fuori, in piazza Savonarola, si radunarono almeno seicento persone. Prima di entrare dentro la sede mi sorpresi insieme a Rinaldo a saltare al grido di «… chi non salta un Pontello è, chi non salta un Pontello è», ma il nostro compito era un altro. Avevamo infatti deciso di trasmettere in diretta la conferenza stampa di Claudio Pontello, spedito allo sbaraglio dalla sua famiglia. Fummo, lo confesso, un po’ truffaldini con chi ci chiedeva cosa diavolo fosse quell’affare nero che Rinaldo teneva in mano vicino alla bocca di chi parlava, ma realizzammo un gran colpo.
Tutta Firenze era infatti sintonizzata su Radio Blu, e quando Claudio Pontello dichiarò bellicoso: «noi comunque rimarremo alla guida della Fiorentina anche per i prossimi anni», udimmo scoppiare da fuori il finimondo. Dentro la sede rimasero tutti senza parole perché non si aspettavano che qualcuno potesse aver sentito la dichiarazione di sfida di Pontello, mentre io facevo finta di niente. La città si rivoltò e ci furono episodi da guerriglia urbana: la polizia dovette intervenire e, incredibilmente, le signore-bene di Firenze dettero “asiloâ€? ai tifosi più esasperati. Tutti volevano che i Pontello vendessero la società, magari al grande produttore europeo Mario Cecchi Gori (il figlio non lo conosceva nessuno, tranne le lettrici di Novella 2000 che tutto sapevano dei suoi amori). Radio Blu finì sulle prime pagine di tutti i giornali ed il Corriere della Sera ci accusò addirittura di aver provocato gli scontri con la nostra diretta. Venne nei nostri studi la Digos e ci chiese la registrazione della cassetta proprio il giorno in cui la Nazionale si radunava a Coverciano, in mezzo agli insulti dei tifosi viola a cui davvero avevano fatto di tutto. Niente comunque in confronto a quello che avrebbero patito dodici anni dopo.

Io sono un tifoso accanito del Torino, ovviamente dopo la Fiorentina.
Ricordo a memoria la formazione dell’ultimo scudetto, cioè di quando fecero quella fantastica rimonta sulla Juve nel 1976, sarà perché avevo sedici anni o perché la squadra era veramente bellissima da vedere: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici.
Ricordo che a casa mia da bambino era appesa una foto del grande Torino, che deve aver segnato l’epoca dei miei genitori (entrambi del 1938), pur non essendo stato nessuno dei due un tifoso granata.
E mi ricordo pure di quando dettero in televisione la notizia della morte di Meroni e, insomma, mi iscriverei tranquillamente ad un Toro Club.
Se poi fosse necessario per la loro salvezza e non comportasse niente per la nostra classifica, sarei pure disposto a perdere la partita, come credo che ogni buon tifoso del Torino abbia pensato nello scorso maggio.
Ricordo sofferenze notevoli negli spareggi salvezza e promozione giocati da squadre assolutamente non all’altezza di un passato scintillante e un’arrabbiatura colossale per la finale persa contro l’Ajax in Coppa Uefa, mi pare nel 1992.
Però domenica abbiamo bisogno dei tre punti: dobbiamo vincere, ma mi dispiaccerà un po’.

57134 commenti, che divisi per 1096 giorni fanno circa 52 commenti al giorno: me l’avessero detto il primo dicembre del 2005 non ci avrei mai creduto.
Mi spiegava la scorsa settimana un intenditore di statistiche internettiane come Andrea Trapani che come numero di pagine lette questo blog naviga intorno al posto n. 1500 in Italia, siti compresi.
Lo ritengo un successo clamoroso, ma vi devo confessare che da un po’ di tempo mi mancano alcuni amici di vecchia data con cui avevo iniziato a dialogare.
Penso a Chiara, Il capitano del mare e anche Perfida albione e Innamorati pazzi, che scrivono molto meno.
Ci sono ancora o se ne sono andati?
Confesso anche che non ho mica preso tanta dimestichezza col mezzo, nel senso che non ho un’idea precisa di cosa far passare e cosa no.
In linea di massima comunque viene fuori la mia anima libertaria e passo quasi tutto.
Cancello le parolacce o quasi, e quelle che leggete sono frutto della mia distrazione o stanchezza.
Elenco in ordine decrescente delle cose che mi fanno più infuriare: i consigli ad occuparmi solo di calcio, l’idea che se dico qualcosa è perché ho un tornaconto, essere messo nella massa con gli altri giornalisti (non perché mi ritenga migliora, più semplicemente perché credo che ognuno debba rispondere in proprio di quello che fa e quello che dice).
Non mi arrabbioinvece se mi danno del comunista o del berlusconiano, mi sono indignato, più che imbufalito, davanti alle accuse di razzismo.
E’ diventato un impegno, questo sì, e capisco che rispondere una volta sì e due no ai vostri post non aiuti, ma siccome da tre anni qui ci sono solo banner di solidarietà e non a pagamento (oh ragazzi, di offerte ne sono arrivate, magari potrei valutare se incassare e devolvere in beneficienza), rivendico la possibilità di essere stanco e quindi poco lucido per controbattere e/o dialogare con voi.
In compenso, ogni post passato è stato letto dal sottoscritto, che è l’unico ad avere la facoltà di accedere alla sezione dei messaggi.
I dati dicono che ogni giorno almeno tremila persone diverse vengono a vedere cosa succede da queste parti. Tra loro ci sono pure quelle brave persone dall’io ipertrofico che mi hanno querelato penalmente (ma con uno di loro mi sono chiarito e ora le cose vanno meglio) oppure misteriosamente denunciato all’ordine dei giornalisti perché, mentre fanno i paladini della libertà di informazione, si sono sentiti colpiti sul personale da qualche critica o rilievo che tra l’altro a volte neanche li riguardava.
A parte loro, ringrazio tutti gli altri, cioè voi, per dedicare un po’ del vostro tempo a parlare con me.
E ringrazio soprattutto due persone che sono editori concorrenti tra di loro e che con me si sono dimostrate di una correttezza esemplare.
Una è Saverio Pestuggia, che è il mandante morale e pratico del blog, l’altro è Andrea Pasquinucci che avendo compreso lo spirito con cui ho affrontato e affronto questa avventura da tre anni si è preso in carico del tutto gratuitamente la parte telematica (si dirà così?) e tecnica di queste paginate che state leggendo, spero con un minimo di interesse.

« Pagina precedentePagina successiva »