Dainelli che continua ad allenarsi a parte, Gamberini che ha saltato un paio di sedute a Marbella: non sarebbe il caso di pensare ad un medio rinforzo per il ruolo di centrale?
Un mestierante che non costi una fortuna e che non costringa uno dei tre ad andare in campo anche se acciaccato, col rischio di peggiorare, e di molto, la situazione.
Non abbiamo più difensori capaci come era Ufo di adattarsi e Da Costa è da tempo un corpo estraneo e non mi risulta che in Spagna abbia compiuto significativi passi avanti per essere considerato di più da Prandelli.
Fra l’altro, siccome la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, qui va a finire che le nostre criticità a livello infortunistico si concentrino proprio lì in mezzo alla difesa.
Mi viene in mente un Loria, però in questo mi rimetto in tutto e per tutto a Corvino.
Solo che forse bisognerebbe pensarci.

Ribadisco il concetto: non è mica colpa di Conto Tv che compra, ma di tutto il sistema televisivo che non investe sulla Fiorentina.
Lo fa invece Crispino ed evidentemente i suoi conti tornano, perché altrimenti avrebbe già lasciato perdere.
Se conviene a lui, possibile che gli altri geni che governano Mediaset e la Sette non ci abbiano neanche pensato?
La Raj ormai non la considero neanche più, anche se aveva l’occasione per riscattarsi dopo quello che era successo un mese fa a Bucarest.
E così arriva un’altra bastonata per tutti i tifosi ed io capisco la rabbia di chi si sente ancora una volta preso in giro.
Quanto a Radio Blu, non so proprio cosa succederà.
Se cioè faremo la nostra radiocronaca o se la racconteremo in modo diverso, come è avvenuto a Praga, dove comunque abbiamo fornito un servizio a chi non può permettersi il calcio a pagamento.
Certamente saremo lì fin dal martedì pomeriggio per i nostri reportage che racconteranno l’evento.

1992/93
Le notizie che arrivavano da Roma erano curiose, ma per il momento non preoccupanti. Sembrava che Vittorino volesse occuparsi sempre di più della Fiorentina, anche perché rivendicava (giustamente) il merito di aver scoperto Batistuta. Per noi che eravamo stati abituati ad avere a che fare con quattro, cinque, sei Pontello, non era poi un gran problema. Anzi, questo Vittorio Cecchi Gori non solo divertiva, ma prometteva di farci scrivere e parlare tanto. Fu di Vittorino l’idea della presentazione all’americana della squadra in piazza Santa Croce, con inevitabile bagno di folla. Vennero ingaggiati alcune star cinematografiche di conclamata fede laziale o romanista, a presentare Gianni Minà, che almeno, in quanto tifoso granata, era gemellato con noi. In mezzo alle solite banalità, venne promessa una Fiorentina brillante, che avrebbe puntato come minimo all’Europa. Molto defilato sotto il palco stava un amico di Vittorio dei tempi del liceo, Luciano Luna, un personaggio che avevo conosciuto ad aprile, di ritorno dalla sua prima missione calcistica. Era infatti stato in Germania a “valutareâ€? Effenberg, all’epoca in corsa con Stoichkov per vestire la maglia viola. «Sono solo un uomo di cinema – mi disse – e sono andato a Monaco per fare un piacere a Vittorio. State tranquilli, non mi occuperò mai di calcio». Infatti.

CHE CE NE FACCIAMO DI DUNGA?
La domanda, che presupponeva già la risposta, venne rivolta da Vittorio prima al babbo Mario e poi al tecnico Radice. Il brasiliano, annusando l’aria prima di tutti, aveva già capito che con il rampollo Cecchi Gori tra i piedi le cose sarebbero cambiate, anche e soprattutto per la sua leadership, fino a quel momento indiscussa. Per questo Dunga non perdeva occasione per lanciare frecciate al vice presidente. Oltretutto si era clamorosamente sbagliato su Batistuta e adesso si trovava in chiara difficoltà.
A Vittorino Dunga non piaceva neanche tecnicamente, innamorato com’era dei talenti geniali e discontinui alla Massimo Orlando, e così in pochi mesi riuscì a convincere il tecnico che il vecchio capitano era ormai un peso per la squadra. Effenberg, Di Mauro, Iachini, Dell’Oglio e Laudrup potevano bastare per fare una grande Fiorentina. Dunga fu umiliato, mandato ad allenarsi in Primavera, alla prima occasione spedito a Pescara e dato per finito. Nemmeno due anni dopo avrebbe alzato, da capitano del Brasile, la Coppa del Mondo.

TUTTI A CANALE DIECI
Nell’estate una buona notizia aveva scombussolato le vacanze di quella pattuglia di disperati ormai non più giovanissimi che si muoveva nel torbido mondo dell’emittenza privata locale: i Cecchi Gori avevano comprato, strapagandola, Canale Dieci e volevano costruire una super televisione. Come ai tempi dello sbarco fiorentino di Repubblica cominciò una corsa ad entrare che lasciò sul campo diverse vittime. Ero molto meno motivato di quattro anni prima, ma decisi lo stesso di partecipare alla gara. Stavolta partivo avvantaggiato dal fatto che Mario ascoltasse le mie radiocronache ed in teoria non avrebbero dovuto esserci dei Sandrelli di mezzo. Su suggerimento di Ugo Poggi, che avevo conosciuto ai tempi della Rondinella, presi appuntamento in sede con un signore sconosciuto, tal Paolo Cardini. In dieci minuti Cardini mi liquidò, mostrandomi le domande di impiego o collaborazione arrivate fino a quel giorno: voleva che capissi quanto sarebbe stato difficile aiutarmi. C’erano tutti, ma proprio tutti i volti televisivi e le voci radiofoniche regionali che chiedevano di tentare la nuova avventura. Ed è per questo che qualche anno dopo mi veniva da ridere, o da piangere, sentendo le stesse persone rivendicare rabbiosamente la «nostra autonomia professionale, perché questa è una televisione libera», lasciando malignamente capire quanto invece Canale Dieci fosse legata a certe logiche padronali. Certo, come no, peccato solo non poterle mostrare adesso certe raccomandazioni e certe richieste.
Canale Dieci comunque non partì per tutta la stagione e le cose cominciarono a smuoversi solo nell’agosto 1993. Fu allora che il braccio destro di Luna, Paolo Fanetti, fece il mio nome all’imperatore (così era chiamato Lucianone nostro da chi gli lavorava accanto) per le telecronache.

ALL’ATTACCO, ALL’ATTACCO
Radice capì alla svelta che bisognava rispondere non ad uno, ma a due presidenti e che il secondo, Vittorino, avendo la fissa degli attaccanti, era molto più pericoloso del primo. Per questo non forzò troppo la preparazione e schierò subito una formazione votata all’offensiva, con dentro tutti insieme Batistuta, Baiano, Orlando, Effenberg e Laudrup. Un azzardo già tentato con successo da De Sisti nove anni prima, ma con una squadra nettamente più forte. Ecco, se allo splendido impianto della stagione 83/84 fosse stato aggiunto Batistuta, quasi sicuramente quella Fiorentina avrebbe vinto lo scudetto, ma qui siamo, me ne rendo conto, al fantacalcio. Più concretamente, la squadra di Radice passava da vittorie eclatanti (sette a uno contro l’Ancona) a sconfitte clamorose (tre a sette contro il Milan), l’importante era non esaltarsi o deprimersi troppo. Su una cosa però il tecnico era intransigente: non voleva intromissioni dirigenziali nello spogliatoio e sulla formazione. Figuriamoci con uno come Vittorio, che poteva vantare addirittura un passato calcistico nelle giovanili della Lazio. Non ci volle molto a far salire la tensione tra i due.

MILANO
Per l’ultimo periodo della mia borsa di studio avevo chiesto ed ottenuto di andare a Panorama a Milano, che ho sempre preferito a Roma come città. L’inizio dell’avventura a Segrate fu quasi choccante, perché a Firenze conoscevo quasi tutti i giornalisti e quindi sia a La Nazione che all’Ansa non avevo avuto problemi di ambientamento. A Panorama invece mi misero nella redazione di economia, dove per almeno una settimana non parlai con nessuno, limitandomi ai saluti formali la mattina e la sera. Siccome mi annoiavo a morte, e non potevo certo stare a leggere tutto il giorno, iniziai a contattare via telefono i clienti fiorentini per la pubblicità alla radio e questo incuriosì i compagni di stanza, che cominciarono ad interessarsi alle mie attività collaterali. La situazione si sbloccò definitivamente quando scoprirono che mi ricordavo a memoria gli scudetti e le formazioni di molte squadre, a partire dal 1966. Cominciai a scrivere di economia e di costume, scoprendo finalmente come mai a Panorama siano così documentati su tutto. Il segreto è l’archivio della Mondadori, semplicemente formidabile: tu chiedi qualcosa e dal sottosuolo ti arrivano le notizie più disparate sull’argomento, che si tratti di tiro con l’arco o delle adozioni a distanza.
Ogni venerdì pomeriggio partivo di volata per arrivare in tempo a condurre il Pentasport radiotelevisivo in un crescendo di stress e di stanchezza. Alla fine dei quattro mesi mi chiesero se volevo rimanere come collaboratore di Panorama a Milano, ma avrei dovuto mollare tutto e vivere come quei trentenni che vagavano nell’open space di Segrate, sperando ogni settimana di piazzare il proprio pezzo. Meglio, molto meglio Firenze, per un provinciale come me.

IL DANNO
Il 3 gennaio 1993 la Fiorentina aveva perso in casa forse immeritatamente contro l’Atalanta e stavamo un po’ stancamente aspettando nel dopo partita che si presentasse Radice per spiegare l’inaspettata sconfitta. Dopo una quarantina di minuti qualcuno cominciò ad insospettirsi ed il resto della storia la conoscono tutti, compreso il furioso tentativo di Vittorino di entrare nello spogliatoio per un tentativo di processo sommario, il successivo licenziamento di Radice e le minacce di “farci fare la fine del Bolognaâ€?. Magari ci fossimo fermati lì… Mario Cecchi Gori aveva ascoltato la partita a casa grazie al solito collegamento con Radio Blu e quindi rimaneva solo lo sciagurato figlio a presidiare il campo.
Andammo tutti al Savoy in una serata tragicomica, che si concluse alle una di notte. Vittorio cercava il conforto dei giornalisti per le sue tesi quanto meno originali: «non capisce nulla, Radice non capisce nulla. La cosa migliore sarebbe prendere Chiarugi dalla Primavera e mandarlo in panchina: con i miei consigli tecnici possiamo ancora lottare per lo scudetto, con Radice invece non si va nemmeno in Uefa. Anzi, forse è meglio se l’allenatore lo faccio direttamente io, ma non lo posso fare per i regolamenti… Vabbeh, ci mandiamo Chiarugi e poi gli suggerisco io la formazione».
Non so gli altri, ma io tacqui colpevolmente di fronte a queste farneticazioni. Un po’ perché pensavo che fosse lo sfogo delirante del momento ed un po’ perché, con il fatto che la radiocronaca era trasmessa di straforo, mi conveniva non contraddirlo troppo. Rimasi così in silenzio e d’altra parte, anche se avessi replicato, sarebbe forse servito a qualcosa? Penso proprio di no, e comunque un tecnico vero alla fine lo presero lo stesso. Stavolta, senza che nessuno mi avesse chiesto niente, tornava a Firenze Aldo Agroppi. In pratica un opinionista di Radio Blu era diventato allenatore della Fiorentina: se me lo avessero raccontato qualche anno prima, non ci avrei mai creduto.

CONFUSIONE
Mi ero innamorato, e fin qui niente di male, se non fosse che ero già sposato da più di due anni con colei che avevo sempre considerato l’unica vera donna della mia vita. Andai così via di casa e mi ritrovai in un seminterrato molto pittoresco a due passi da Ponte Vecchio. Vivevo senza più punti fermi, in un caos totale, non molto dissimile a quello in cui era precipitata la Fiorentina. Casasco con i suoi non incantava più nessuno, Agroppi aveva perso il piglio decisionista della sua prima stagione in viola, Mario Cecchi Gori stava sempre peggio di salute. Rimaneva solo Vittorio, che parlava, parlava, parlava. La squadra cominciò a pagare atleticamente una preparazione leggera, qualcuno come Orlando entrò in depressione, altri come Laudrup e soprattutto Effenberg se ne fregavano di tutto e di tutti. In campo e fuori.
Pare che il tedesco prendesse ordini solo dalla moglie Martina e che per rifarsi delle angherie subite in famiglia fosse molto sensibile al fascino delle donne italiane. Come per esempio a Bergamo dove, si dice, prima della decisiva gara contro l’Atalanta, Effenberg realizzò nella notte una splendida doppietta con le compiacenti cameriere dell’albergo del ritiro viola. Poi in campo sbagliò un gol già fatto ed io esplosi con una frase che ancora oggi tanti tifosi ricordano: «me lo mangerei questo tedesco». Le ultime notizie dalla Germania davano Effenberg in fuga d’amore con la moglie di Strunz, un cognome che doveva ricordargli qualcosa della sua breve esperienza italiana.

E’ un neologismo che mi è venuto di getto nel Pentasport domenicale, quando rispondevo alle domande dei tifosi, e che ho riproposto stamani sul Corriere.
Sì, a cominciare da Prandelli, la Fiorentina si sta montolivizzando.
Cioè crede nelle proprie possibilità e adesso non si nasconde più.
Quella battuta del tecnico sugli spiccioli da giocare sullo scudetto viola è uno spartiacque per l’ambiente.
Ieri gli è andato dietro Gamberini, rispondendo ad una domanda dell’ottimo Sardelli (a proposito, sta facendo un lavoro grandioso a Marbella e ci informa tutti a qualsiasi ora del giorno e del pomeriggio, anche oggi con al Befana è regolarmente in onda).
Sembrerebbe una cosa da niente ed invece c’è dietro la consapevolezza di voler fare l’ultimo salto, quello che ci metterebbe alla pari cone le altre tre, o quattro, se vogliamo infilarci anche la Roma.
L’unico dubbio che mi rimane è legato alla città, a quella cristallizzazione di qualsiasi progetto che è ormai diventata la routine del fare politico.
Se i Della Valle rimangono, come probabilissimo, da soli, continueranno a seguire Prandelli e i giocatori nelle loro e nostre ambizioni?

Alberto Gilardino è veramente una gran brava persona: educato, disponibile, fuori dal campo non incarna neanche minimamente lo stereotipo del calciatore che noi tutti abbiamo contribuito a creare con la nostra voglia di costruire idoli.
Dentro il campo è cattivissimo, in senso tecnico, gioca a calcio meglio di Batistuta e Toni, anche se deve dimostrare di essere all’altezza di questi due eccezionali cannonieri (Batistuta più di Toni, per me il paragone non si pone).
La domanda che mi facevo ascoltandolo ieri da Marbella era come diavolo (?!) avessimo fatto a prendere uno così, pagandolo tra l’altro meno di Bojinov.
E non è che arrivasse da promessa incompiuta perché ha già vinto Mondiale, Champions e Mondiale per club.
Una grande intuizione, un lavoro eccellente da parte di tutti: complimenti.

Siamo tutti molto grati ad Osvaldo per i suoi gol, che resteranno comunque nella storia viola.
Pochi, ma molto buoni, anche i due di Livorno, dove la Fiorentina perdeva sempre.
Però, se Prandelli lo sposta tatticamente a punta centrale, come ha fatto questo pomeriggio nelle dichiarazioni da Marbella (a proposito, consentitemi un piccolo moto d’orgoglio: tra tutte le televisioni e le radio fiorentine ce n’è una sola presente laggiù col proprio inviato…), beh, secondo me Osvaldo ha sprecato una grande occasione.
Perché nella Fiorentina di Prandelli un centravanti come lui è proprio atipico e bisognerebbe davvero cambiare gioco per esaltarne le caratteristiche.
Ha imparato poco Osvaldo da questi diciotto mesi con Prandelli, e ogni volta che va in campo sembra che giochi una partita per conto suo, come se gli altri dieci non contassero.
Peccato perché poteva essere una seconda punta importante, ma una seconda punta (lo fa pure Mutu, anche se non sempre) è al servizio della squadra e non viceversa.
Ho l’impressione che partirà Pazzini non solo per l’usura del suo rapporto con Firenze, ma anche perché la sua cessione porterebbe una plusvalenza in bilancio molto forte, visto che è qui dal 2005 e che il suo costo, al contrario di quello di Osvaldo, dovrebbe essere stato quasi del tutto ammortizzato.
Ma se dipendesse solo da una scelta tecnica di Prandelli non sarei mica tanto sicuro su chi lascerebbe Firenze.

Una delle poche cose che ho imparato nella prima metà della mia vita (sono un’ottimista e mi voglio talmente bene che non mi dispiacciono le teorie berlusconiane su quanto staremo in tutto su questa Terra..) è non crearsi delle aspettative troppo grandi.
In questo senso, nel 2009 che è appena iniziato, siamo messi benissimo.
Tutti ci aspettiamo un peggioramento delle nostri condizioni attuali, specialmente a livello economico.
Non so se psicologicamente abbiamo toccato il fondo, ma certamente ci siamo molto vicini.
Non mi stupirei quindi che esattamente tra 365 giorni dicessimo: “Beh, non è mica andata troppo male, o almeno è andata meglio di quanto mi aspettassi!”.
Un augurio davvero di cuore a tutti voi, soprattutto per la salute, che è poi la cosa più importante che abbiamo.

SENZA INFAMIA E SENZA LODE
Gigi Radice non era più quello di diciotto anni prima, cioè l’uomo tutta energia capace di costruire una bellissima squadra nella stagione 1973/74. Non era però il solo ad essere cambiato dai tempi della sua prima esperienza fiorentina, basta pensare all’intero ambiente del calcio, sempre più preso d’assalto da radio e televisioni. E Radice, al contrario del suo amico Trapattoni, non si poteva certo definire un grande comunicatore. Appena seduto sulla panchina viola, il tecnico brianzolo fu abbastanza saggio da capire che non occorrevano rivoluzioni, ma solo maggiore disciplina dentro e fuori dal campo. Rifece in pratica la preparazione e mantenne la Fiorentina sempre qualche punto sopra la zona retrocessione. La difesa era appena passabile, con le amnesie di Malusci, la grinta di Faccenda ed il rendimento costante di Pioli. Carobbi non valeva l’ultimo Di Chiara, che nel frattempo aveva conquistato la Nazionale. A centrocampo Maiellaro deluse anche i suoi più accaniti estimatori e finì addirittura in panchina, mentre Orlando venne paragonato un po’ troppo presto a Baggio. Iachini e soprattutto Dunga rimanevano l’anima di una squadra che se non avesse trovato Batistuta avrebbe faticato non poco a salvarsi. In attacco Borgonovo era ormai solo la controfigura dell’ottimo attaccante che tre anni prima duettava con Baggio, e del Branca fiorentino si ricordano solo le approfondite letture de “Il Sole 24 oreâ€? e i consigli di borsa dispensati ai compagni. Le sue azioni migliori furono quelle comprate in Piazza Affari e così fu sbolognato in tutta fretta all’Udinese.

NASCE L’AMORE
Gigi Radice può comunque vantare un record destinato a durare per chissà quanto tempo: è l’unico allenatore viola che in tre partite a Firenze ha battuto per tre volte la Juventus e sempre per due a zero. Ed il successo del 26 gennaio 1992 coincise anche con il primo “congiungimentoâ€? quasi carnale tra Batistuta e la Fiesole. Al settimo del primo tempo, Bati si infilò alla grande su un cross senza troppe pretese di Carobbi e colpì di testa, lasciando di sasso Tacconi. Quello, credo, fu davvero l’inizio di tutto, perché una rete alla Juve non si dimentica mai, tanto che qualcuno si ricorda ancora oggi di un gol di Tendi ai bianconeri… Poi Gabriel segnò cinque reti nelle successive gare in trasferta e cominciò a volare sempre più in alto, senza fermarsi più.

BOMBER BARTOLELLI
Mario Bartolelli, ipotetico bomber della primavera viola, in fondo è servito a qualcosa. Tutti noi calciatori falliti nel vederlo in allenamento ed in partita abbiamo infatti pensato che se c’era lui nella Fiorentina, un giorno o l’altro sarebbe toccato pure a noi giocare in serie A. Certo una differenza sostanziale esisteva, perché noi, comuni mortali, un babbo potentissimo, dirigente del gruppo Cecchi Gori, non ce lo avevamo. In verità, non è che il povero Bartolelli abbia combinato chissà quali disastri, ma solo perché in prima squadra ha giocato per fortuna appena quattro minuti. In compenso, nella Primavera viola di Mimmo Caso, che nel febbraio 1992 vinse nonostante lui il torneo di Viareggio, Bartolelli era un titolare inamovibile. Quelli veri come Banchelli e Beltrammi si alternavano in panchina, salvo entrare quando la faccenda diventava imbarazzante. E nell’anno della retrocessione chi c’era nelle ultime partite come riserva di Batistuta e Baiano? Ma l’ormai sempre meno giovane Bartolelli, e chi altrimenti? Mentre Casasco bisbigliava ai cronisti che «quel ragazzo era utilizzato troppo poco. Ditelo e scrivetelo, perbacco». Ah, se gli avessimo dato più fiducia!

VITTORINO, VITTORINO
Avevo intanto cominciato a conoscere Vittorio Cecchi Gori. A quei tempi se lo filavano davvero in pochi perché il personaggio numero uno era Mario, carismatico e “fiorentinoâ€? nell’anima. Al secondo posto veniva la signora Valeria, e se proprio si voleva scendere di generazione, era meglio soffermarsi sulla signora Rita Rusic, bellissima. A Firenze mi ero inventato una postazione volante all’ingresso della tribuna d’onore, dove Vittorio arrivava ad un quarto d’ora dal fischio di inizio. Sentendolo parlare in romanesco, la prima volta che lo intervistai gli chiesi ingenuamente se «un giorno o l’altro la Fiorentina sarebbe diventata una passione, come lo è da cinquanta anni per i suoi genitori». Mi incenerì con lo sguardo e mi disse che lui era nato a Firenze, che stravedeva da sempre per i viola e poi tutte quelle cose che avrei sentito ripetere tristemente dieci anni più tardi. Essendo l’unico o quasi che lo avvicinava, cominciò con me ad alzare il tiro delle sue dichiarazioni. Un giorno dette quattro in pagella ai giornalisti di Repubblica, un altro se la prese con chi gli voleva portare via Orlando, che lui considerava come una specie di figlio putativo. Insomma, con Vittorio non ci si annoiava mai. Se mi avessero detto che ci avrebbe rovinato, non ci avrei creduto perché mi sembrava, quello sì, un po’ sopra le righe, ma assolutamente incapace di fare del male. Mi consolo pensando che tanti altri come me hanno sbagliato giudizio.

“Quando sarà che l’uomo potrà imparare, a vivere senza ammazzare e il vento si poserà…”.
Ogni volta che Guccini canta Auschwitz è sempre un brivido, specialmente per quelli come me cresciuti in un certo modo, con certe immagini, portandosi dentro fino ai quattordici/quindici anni verità assolute su Israele, verità che per altri bambini della comunità ebraica magari reggono ancora oggi, ma che nel mio caso si sono invece sgretolate negli anni delle superiori.
Perchè non esiste un torto e una ragione assoluta nella follia palestinese, in questo ammazzarsi da decenni senza che nessuno provi ad insegnare con convinzione una vera cultura della pace.
Io l’ho sempre fatta semplice: due Stati, la restituzione dei territori occupati, la fondamentale esigenza del riconoscimento dello Stato di Israele, ma purtroppo non è così facile.
Perché la cultura dell’odio sta contaminando una generazione dopo l’altra: atroce la rappresentazione del soldato di vent’anni catturato, senza parole i bombardamenti israeliani di ieri.
Qualcosa che, come sempre, mi fa sentire in colpa, come ebreo (non praticante, ma non importa).
Quando finirà?

Ho passato un Natale meraviglioso, stando a casa e non facendo assolutamente niente: stacco assoluto e, siccome mi piace quasi tutto del mio lavoro, a me bastano due giorni per ricaricare le pile.
Approfittando di una congiunzione astrale favorevole (nessuno dei figli malato, due giorni di ferie strappati in ufficio, sosta del campionato) avevo pensato che, visto anche il possibile e auspicabile lungo cammino Uefa della Fiorentina, sarei potuto andare a sciare dall’ultimo dell’anno alla Befana.
Niente: impossibile trovare le due doppie a qualsiasi livello di albergo nella nostra zona adorata, cioè la Val Badia.
Tutto occupato, non entra uno spillo.
Ora, partiamo dal presupposto che io rientri nel 15%, o forse sono anche meno, di persone fortunate che per ora non si accorgono della crisi e che Berlusconi sarebbe orgoglioso della famiglia Guetta per il livello quasi vergognoso di consumismo che abbiamo raggiunto (mi vengono i brividi se penso alla 850 dei vent’anni o alle tante vacanze in tenda a Torre del Lago…), però mi chiedo davvero quanto questa crisi sia un fatto psicologico e quanto invece una realtà.
Probabilmente si sta sempre più allargando la forbice tra chi sta bene e chi fatica ad arrivare alla terza/quarta settimana del mese, e quelli che se la passano più che decentemente non si fanno mancare niente.
Meno che mai durante le feste.

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