Dunque Mutu lo rivedremo (forse) contro il Bologna, ma è più facile in casa con la Lazio.
E Frey me lo danno arruolabile, però non è detto, perché basta un movimento falso e magari non rischia.
Dico la verità: mi preoccupa più Sebastien di Adrian, perché il rumeno si sa che prima o poi si dovrà operare e poi tutto dovrebbe tornare come prima.
Ma il ginocchio del francese è quello fracassato dal quel gentiluomo di Zalayeta, che non si è mai degnato di scusarsi, e questa ricaduta non è per niente un buon segno.
Abbiamo un bisogno terribile di tutti e due, specialmente in un momento come questo, senza di loro il tasso di qualità è sceso precipitosamente.
Sono queste le vere preoccupazioni della stagione, non le partenze dell’umorale Osvaldo e del pur ottimo Pazzini.

1993/94

L’inizio con Canale Dieci fu molto cinematografico. Venni convocato da Luna, che mi chiese di preparargli un “soggetto” per presentare le avversarie della Fiorentina: città, storia della squadra, tanto colore, interviste al sindaco e ai personaggi. Nessun accenno alle spese da sostenere, ma si capiva che non rappresentavano un problema. Era una rivoluzione copernicana rispetto ai miei primi dieci anni in televisione, basta pensare che nelle ultime tre stagioni non ero mai riuscito ad ottenere da Tvr lo straccio di una telecamera che venisse a riprendere un’intervista… Scrissi una specie di sceneggiatura, consegnai il manoscritto e venni invitato per una cena a Radda in Chianti, dove incontrai per la prima volta Paolo Fanetti, una delle persone migliori conosciute in nove anni di vita nel gruppo Cecchi Gori. Non ho mai saputo se Luna si sia accorto che non capivo niente di tutte le sue disquisizioni sui campi larghi e campi stretti da utilizzare per quei fantastici reportage che, per fortuna delle casse di Canale Dieci, rimasero solo nella testa di Lucianone nostro. Dissi sì a tutti gli accorgimenti tecnici suggeriti, chiedendomi se ero stato convocato come giornalista o ipotetico aiuto regista. A dirigere la televisione per fortuna non venne ingaggiato Mario Monicelli, ma Filippo Grassia, un nome di rilevanza nazionale, che aveva guidato il Guerin Sportivo e la redazione sportiva de La Stampa: un grande professionista, capace di stare sette ore in video senza mai fermarsi. Cominciava una nuova avventura.

RITIRO BOLLENTE
Dopo il dolore della retrocessione, il primo dei quattro consecutivi ritiri a Roccaporena (luogo ideale per la penitenza) si presentò delicatissimo. Per commentare la classica uscita stagionale contro i dilettanti del posto mandai allo sbaraglio il giovane Selvi ed il povero Francesco non riuscì nemmeno a finire la telecronaca a causa delle intemperanze dei tifosi alle sue spalle. Batistuta non c’era perché impegnato con la Nazionale, in compenso erano arrivati in viola Bruno, Tedesco, Campolo e Di Sole, e soprattutto Robbiati e Toldo, all’inizio in ballottaggio con Scalabrelli. Laudrup se ne era andato in prestito al Milan, mentre Effenberg venne trattenuto contro la sua volontà, quasi come punizione per il comportamento tenuto nei mesi precedenti. Non c’erano confronti con le altre squadre di serie B, anche se Baiano si fece male subito e restò fuori per sei mesi. Uno dei migliori fu Carnasciali, che nonostante la serie B continuò ad essere convocato in Nazionale: un buon difensore da inserire tra i non molti uomini con la testa sulle spalle conosciuti in oltre vent’anni di calcio. Il nuovo allenatore Ranieri fu bravo a gestire l’ambiente, tenendo sempre ben pigiato il pedale del freno. Questo atteggiamento gli costò l’amore dei tifosi più caldi, che avrebbero preferito un tecnico più sanguigno, ma con Ranieri la Fiorentina ottenne i migliori risultati degli ultimi trentacinque anni.

SIMPATICO QUESTO TOLDO
Il primo impatto con Toldo fu subito positivo. Arrivai apposta a Roccaporena per intervistarlo e mi trovai di fronte ad una pertica lunga quasi due metri, dalla faccia simpaticissima. Scoprii che non possedeva il telefonino e questa storia diventò fra noi un tormentone durato almeno due anni. Solo alla prima convocazione in Nazionale, Toldo si arrese alla dittatura del cellulare. All’inizio del nostro rapporto mi ero messo in testa di farlo diventare per forza una star della televisione, perché la sua simpatia era veramente contagiosa, e nella stagione successiva lo costrinsi a girare con Cois uno spot per i prodotti ufficiali della Fiorentina. Gli ho rotto per mesi le scatole con la storia che doveva laurearsi, o almeno diplomarsi all’Isef, perché intuivo che non avrebbe avuto grandi problemi nello studio: ha frequentato per un po’ di tempo e poi ha lasciato perdere. Peccato. Non si è mai arrabbiato quando l’ho criticato, semmai si è messo a spiegarmi pazientemente perché su quel pallone era proprio impossibile arrivarci. Non è mai cambiato da quando l’ho conosciuto la prima volta e quel gran cuore viola di Luciano Dati mi ha raccontato che Toldo è stato l’unico a chiedergli se aveva bisogno di un aiuto economico nell’anno in cui alla Fiorentina pagavano un mese sì e quattro no. Si impegna molto nel sociale, ma evita di farlo sapere per una forma di pudore ereditata dai genitori. Ci sono tanti minimi episodi che fanno di Francesco un giocatore fuori dai classici stereotipi del campione viziato. L’ultimo è avvenuto un’ora e mezzo prima del derby Inter-Milan. Suona il mio cellulare ed è lui dal pullman che chiede a bassa voce, per non essere ascoltato dai compagni, se mi era arrivata la sua maglia con dedica per un bambino a cui avevo promesso il regalo. So che ha Firenze nel cuore: sarò pure un inguaribile romantico, ma mi piacerebbe che giocasse da noi l’ultima stagione della sua splendida carriera.

VOGLIO CONOSCERE GUETTA
Richiesta più che legittima, rivolta polemicamente da Ranieri ai quei pochi giornalisti presenti ad un amichevole a Viareggio. Era successo che in una delle tante “prove tecniche di trasmissione”, Luna decidesse di riprendere l’amichevole della Fiorentina a Livorno, una partita che non sarebbe stata trasmessa, ma vista solo dalla squadra in una seduta di allenamento a porte chiuse. In pratica, mi esibivo per pochi intimi. Potevo quindi tranquillamente evitare di criticare, ed invece finii per raccontare la partita alla mia maniera, che piacesse o meno. Fu grande la Righini nel rispondere a Ranieri che «Guetta è il radiocronista più seguito a Firenze ed in questa stagione, con la squadra in B, lo sarà ancora di più». Grazie ancora, Manuela.

GUARDA CHE NON SIAMO IN SERIE A
Fantastico il mio approccio alla serie cadetta. La Fiorentina esordisce a Palermo ed io decido di non dare da studio i risultati della B, interpretando così al meglio il sentimento dei tifosi, che si sentivano ancora (giustamente) in serie A. Al decimo minuto chiedo il riepilogo dagli altri campi della massima serie e nessuno ha ancora segnato. Vado avanti con la radiocronaca, segna Banchelli e rendo ancora la linea alla regia per sapere se qualcuno in serie A è andato in gol. Niente. Al venticinquesimo minuto comincio a parlare di evento storico, perché non mi ricordavo un campionato in cui la prima rete si facesse attendere così a lungo. Finalmente, al trentacinquesimo del primo tempo vengo soccorso da una voce misericordiosa al cellulare di Luca Speciale: «dite a David che la serie A è partita con mezz’ora di ritardo rispetto alla B, forse era un po’ difficile che qualcuno riuscisse a fare gol…».
Uno dei pochi a darci una mano in quei mesi di Purgatorio calcistico fu il grande Paolo Beldì, che inventò da zero una trasmissione destinata ad avere un successo enorme: “Quelli che il calcio…”. Insospettabilmente tifoso viola, ma di quelli veramente malati per la propria squadra, Beldì infilò la Fiorentina dappertutto, con tormentoni particolarmente apprezzati dai tifosi, tipo mettere l’inno di Narciso Parigi ogni volta che Batistuta e compagni segnavano. E anche quello fu un modo per spiegare al mondo che non eravamo spariti dal calcio che conta.

Vado a mangiare nel solito ristorante e mi dicono che stavolta per entrare devo pagare il biglietto.
Immagino che ci sia un vip a tavola ed infatti nel tavolo accanto al mio c’è una tavolata che ospita il “mio” giornalista Carnasciali e Antognoni.
Battute e prese di giro con Daniele, saluto cordiale con Giancarlo e poi, contravvenendo al mio orgoglio, rompo il ghiaccio e gli chiedo “qualcuno mi dice che sei ancora arrabbiato con me, ma è vero?”.
In verità lo avevo già chiamato per il Corriere sulla storia del capitano e mi aveva risposto cortesemente, quindi sapevo che le cose non stavano come qualche vipera aveva voluto far credere.
E qui devo spiegare il mio stato d’animo: quando ci pensavo, mi sentivo a disagio a stare in questo stato di guerriglia con Antognoni e non potrebbe essere altrimenti per chi ama la Fiorentina e ha più di quarant’anni.
Da ragazzo vedevo col mio amico Maurizio Passanti le partite della Nazionale con la foto/icona di Giancarlo in viola appiccicata con lo scotch sul televisore e nella finale con la Germania del 1982 io tifavo per il pareggio perché ci sarebbe la ripetizione e lui avrebbe giocato (quando inquadrarono Bergomi mi scappò una delle poche bestemmie della mia vita, ma Maurizio, di solito molto attento a queste cose, me la passò per l’eccezionalità del momento…).
Tutto questo per dire che per me Antognoni non è Batistuta, cioè i nostri contrasti sono stati al 90% causati da incomprensioni e soprattutto da cose riportate male a lui.
Al contrario, il divino Gabriel, ribadisco il migliore che abbia visto a Firenze, ha proprio nel suo dna mettere all’indice le persone che non siano prone ai suoi voleri.
E poi comunque Antognoni è l’immagine della mia gioventù, l’unico buono che abbiamo avuto in squadra per almeno otto anni, il campione per cui delirare da ragazzi.
Vorrei lasciarvi nel dubbio su come sia andata a finire, ma devo farmi pedonare le mancate risposte degli ultimi cinque giorni e allora vi dico che nessuno dei due si ricordava più quale fosse l’origine dell’ultimo screzio.
Ad un certo punto gli ho anche detto imprudentemente: “ma dai Giancarlo, tra poco siamo nonni e ci mettiamo ancora a fare queste cose…”.
Lui si è messo a ridere e mi ha detto di parlare per me, che però sarei pure sei anni più giovane, ma è anche vero che fisicamente lui continua a strabattere molti quarantenni compreso il sottoscritto.
Comunque è andata bene, e io sono molto soddisfatto.

Scrivo solo ora e mi spiace: sembra incredibile ma nell’evolutissima Milano non ho trovato la domenica mattina un internet point a cui agganciarmi per esprimere il mio pensiero.
Che è questo (l’ho appena detto tra l’altra a Rtv 38): avremmo meritato il pareggio, Rosetti ha arbitrato con sudditanza psicologica, sono preoccupato dall’assenza dei tre fuoriclasse viola.
Due sono out per infortunio, il terzo sta rifiatando dopo quattro mesi straordinari.
Stanno crescendo Montolivo (molto), Jovetic, Vargas e Comotto, mentre fatica Kuz, che forse non sta benissimo fisicamente, ma senza quei tre è durissima.
La classifica è bruttina, però non così tragica, come è chiaro che sia alla fine del girone di andata.
Certo che se perdiamo la terza di fila a Torino le cose si complicheranno maledettamente, in tutti i sensi.
Converrà accantonare le polemiche per i prossimi sei giorni e chiamare a raccolta il popolo viola.
Per i processi, sommari o completi, riparliamone tra una settimana.

Sono un ebreo laico, nel senso che non frequento, non osservo e rimango iscritto alla Comunità di Firenze solo per spirito di appartenenza, per quello che ha rappresentato fino ai miei 14 anni.
Ho sempre avuto la convinzione che il mio appartenere a questa religione sia solo frutto del caso: sono nato da genitori ebrei e stop.
Credo nella creazione dello Stato Palestinese, che dovrebbe subito riconoscere lo Stato d’Israele e penso che per ancora molti anni non tornerò laggiù, dove sono stato l’ultima volta nel 1977, perché la guerra durerà purtroppo a lungo.
C’è una cosa che, da ebreo, ho sempre invidiato ai cattolici: la confessione.
Qualcosa che coincide quasi sempre con l’espiazione della colpa commessa.
Tu vai lì, parli, dici tutto al prete e riparti.
Ovviamente la faccio molto e troppo semplice, però, anche se si fa di tutto per non risentirne, siamo tutti figli della nostra educazione.
Ed in quella ebraica c’è, immanente, il senso di colpa fortissimo.
Cioè, se hai sbagliato sono cavoli tuoi e della tua coscienza.
E così ho trovato insopportabile vedere ieri sera da Santoro i bambini palestinesi trasportati in ospedale feriti o forse morti: mi sono sentito in colpa, molto più che in altre terribili immagini con cui ci bombardano dalla televisione.
Mi sono sentito in colpa da ebreo, perché trovo insopportabile quello che sta succedendo, anche se ovviamente non c’entro per niente.
Poi però ho trovato insopportabile la faziosità con cui Santoro ha costruito la sua trasmissione e ho tifato, lo confesso, perché Lucia Annunziata se ne andasse, cosa che ha puntualmente fatto.
Si è così risparmiata il comizio delirante e senza interruzioni di un quarto d’ora del cuoco di Gaza che lavora in Italia e che ha fatto capire che se invece di cucinare in qualche casa fosse laggiù, se ne starebbe tranquillamente a fabbricare e lanciare razzi contro gli israeliani.
Bambini compresi.
Pessima televisione.

Il rigore battuto da Vieri contro i Rangers grida ancora vendetta per come lui si è presentato al tiro, però è indubbio che il suo rendimento sia stato al di sopra delle aspettative di tanti e delle mie.
Ora con Bonazzoli speriamo che la cosa si ripeta, anche se ciò che dobbiamo maggiormente sperare è che di Bonazzoli non ci sia mai bisogno, perché vorrebbe dire che Gilardino e Mutu bastano e avanzano per l’attacco viola.
A me, tanto per essere chiari, Bonazzoli non è mai piaciuto, però è una questione di gusti.
Certamente Pazzini gioca al calcio molto meglio di Bonazzoli, e quindi sul piano strettamente tecnico la Fiorentina ci ha certamente perso, ma potrebbe essere che lui sia più “funzionale” al progetto di Prandelli, che immagino abbia dato l’avallo all’operazione.
Vediamo un po’ se ha ragione come spesso succede (non sempre, comunque) Pantaleo Corvino.

Riepiloghiamo: avevo scritto altre cose, ma c’è stato un problema sul server che ha cancellato l’aggiornamento su Pazzini alla Samp e tutti i vostri precedenti messaggi sull’argomento.
Questo per spiegare che è vero che sono un po’ bollito, ma non fino a questo punto…

Sì, io metterei Pazzini perchè se appena appena riusciamo a fare qualche cross decente, magari con Comotto e Vargas, la difesa del Milan, che ha un’età media sui 35 anni, va in bambola sui colpi di testa.
Lo metterei anche perché lui più di Jovetic è abituato a giocare partite come quella di San Siro e conoscendo Giampaolo non sarei affatto preoccupato di una sua eventuale distrazione in chiave mercato.
Lo metterei perché forse al Milan lo sottovalutano, impegnati come sono ad esorcizzare il fantasma di Gilardino e anche perché lui a San iro ha già segnato un gran gol contro l’Inter quattro anni fa.
Poi forse mi sbaglio, e Jovetic gioca la partita della vita, io però lo metterei dentro dal primo minuto.

CAPOCLASSE
Non sono mai diventato giornalista a tempo pieno, ma ho in compenso traghettato verso la professione un discreto numero di aspiranti cronisti. Come direbbe Sandro Picchi, uno dei pochi che mi abbia davvero insegnato qualcosa, anch’io “ho fatto i miei danniâ€?. Ho così scoperto nel tempo una vena da talent scout che non avrei mai immaginato di possedere. Il primo vero “discepoloâ€? fu Luca Speciale, che nel giugno del 1992 si dichiarò “pronto a lavare i pavimenti per terraâ€? pur di entrare nella redazione di Radio Blu. Nessuno gli ha mai dato in mano lo spazzolone ed il cencio, ma piuttosto qualche consiglio ed una fiducia totale, ripagata fino a quando non gli ho fatto incontrare qualcuno più importante di me. Mi è andata molto meglio con Francesco Selvi, una specie di fratello minore, che non mi ha mai deluso. Speciale e Selvi, sono stati regolarmente assunti e adesso lavorano in una televisione nazionale. Poi ci sono i più sfortunati, cioè quelli che sono arrivati troppo tardi sulla scena e che hanno trovato tutte le caselle occupate. Penso ad un talento come Niccolò Ceccarini, ad Ilaria Masini, a Leonardo Bardazzi, a Valentina Conte, ad Ernesto Poesio. Tutti ragazzi che in un Paese normale, con regole di accesso alla professione normali, farebbero “normalmenteâ€? i giornalisti e che invece si sbattono ogni giorno per raccattare alla fine del mese, sette, ottocento euro, quando va bene. Il fatto è che non esistono vie di mezzo: se sei assunto tutto ti è dovuto, altrimenti sei veramente sulla strada e devi addirittura ringraziare chi ti fa scrivere articoli e condurre trasmissioni pagandoti cifre ridicole. A pensarci bene non è del tutto esatto affermare, come ho fatto in precedenza, che il giornalismo è un mestiere da puttane, perché almeno le signore in questione incassano per i loro servizi cifre molto più consistenti.

FRAMMENTI DI UN DISASTRO
Il frullatore della memoria ha selezionato nel tempo alcune fotografie del primo crollo viola. Il gol di Branca dopo nove secondi ad Udine. Una radiocronaca trasmessa da Ancona con trentanove di febbre. Le reti in fuorigioco di Savicevic a Milano. L’ammonizione di Batistuta per aver esultato dopo il gol di Fiorentina-Brescia e poco dopo la sua espulsione. La partita a porte chiuse a Verona contro il Cagliari, vinta in rimonta col batticuore. La prima rete contro di Baggio a Torino e il susseguente esonero di Agroppi. Il dolore e la stanchezza di Mario Cecchi Gori a Bergamo, dopo la sconfitta fatale. Gli inutili tentativi del Torino di farci segnare in una partita che con dirigenti più scaltri poteva essere “giocataâ€? meglio. Ed infine il giorno che ogni fiorentino non potrà mai dimenticare: il 6 giugno 1993. La retrocessione.
Quel pomeriggio mi fece una gran pena vedere Mario e Valeria Cecchi Gori andarsene via dallo stadio scortati dalla polizia, neanche fossero stati dei delinquenti. Lui era bianco come un cencio ed impaurito, lei piangeva. Sono sicuro che nessun tifoso avrebbe mai alzato un dito contro di loro, al massimo ci sarebbe stata qualche fischio. Quella domenica c’era spazio solo per il dolore di essere finiti in B, un dolore quasi fisico, che ognuno viveva a modo suo. Tornai a casa distrutto, mi buttai sul divano e dissi a Letizia che era tutto finito, che con la Fiorentina in B anche le mie radiocronache e le mie trasmissioni non avevano più senso. Distrattamente mi misi a guardare le immagini della domenica e solo allora mi resi conto del bel regalo di Carnevale e della Roma: avevano graziato l’Udinese, mandandoci con loro massima goduria all’inferno.

TU SSSPARA
Il lunedì dopo la retrocessione mi invitarono al “Processo del lunedìâ€? e per uno strano gioco di rifiuti e veti incrociati mi ritrovai ad essere l’unico giornalista fiorentino presente in studio. Mentre ero a mangiare nella mensa della Rai, si avvicinò Biscardi. «Tu sei Guetta, vero? Bene, non avere paura, tu ssspara tutto quello che ti vieni in mente. Ricordati che rappresenti Firenze!!». Figuriamoci se mi lasciavo scappare l’occasione. Ero incavolato nero per la B e per niente emozionato per il fatto di andare in prima serata in tutta Italia. Feci il diavolo a quattro con punte di populismo perfino imbarazzanti. Urlai a piena voce che volevo rivedere alla moviola il tiro moscio di Carnevale a porta vuota e, naturalmente, non venni accontentato. Polemizzai pesantemente con il presidente del Cagliari Cellino e sbottai in un roboante «siete tutti d’accordo!», che mi fece sentire per un attimo un arruffapopolo televisivo collocabile a metà strada tra Sgarbi e Vittorio Cecchi Gori. A fine trasmissione, ero esausto e nemmeno feci caso ai complimenti di Biscardi. Niente in confronto alle ovazioni fiorentine del giorno dopo. Ero in tribunale per la prima udienza della separazione e mi ritrovai a firmare autografi, mentre l’avvocato cercava di darmi gli ultimi suggerimenti qualche minuto prima del combattimento che si sarebbe tenuto senza esclusione di colpi davanti al giudice Sebastiano Puliga, lo stesso che otto anni più tardi si sarebbe occupato del fallimento della Fiorentina.

Non era mai accaduto in casa nei tre anni in mezzo di Prandelli di perdere così, da una squadra nettamente più debole.
Cosa sia successo è difficile da spiegare, forse troppa sicurezza, certamente la mancata accensione di alcuni talenti viola, a cominciare da Mutu.
Inqualificabile Osvaldo, fuori condizione Kuz, senza mai un’idea Donadel, incerottati Gamberini e Frey (ma perché non convocare un altro centrale come Da Costa), ad intermittenza Melo, imbarazzante Kroldrup, alla fine i migliori sono stati Comotto e soprattutto il tanto vituperato Santana.
Una botta che fa molto male e che bisognerà riassorbire in fretta per non farci prendere dalle frenesie disfattiste del “tutto sbagliato, tutto da rifare”.
E’ soprattutto su questo che dovranno lavorare in settimana Corvino e Prandelli.

Domani il mandante morale di questo blog, Savero Pestuggia, compie cinquanta anni.
E’ tra le quattro/cinque persone a cui mi sentirei di affidare la conduzione degli affari di casa Guetta in caso di prematura dipartita del sottoscritto e credo che questo basti a spiegare l’assoluta fiducia che ho nei suoi confronti e l’amicizia che ci lega da oltre venticinque anni.
Ho conosciuto prima il babbo, il grande Rocco, da cui Saverio ha ereditato il codice etico, così raro da trovare oggi in circolazione.
Telefonavo a casa Pestuggia nel 1978 per avere i tabellini della Rondinella che poi mettevo sul Tirreno.
Più tardi ho incrociato Saverio a Calcio Più, dove lui faceva tutto e non gli davano niente.
Una pessima abitudine, che gli è rimasta più o meno addosso per trent’anni, e che con violanews non è certo migliorata…
Per nove anni siamo stati Radio Blu, nel senso che c’eravamo solo noi due a fare il Pentasport, due volte alla settimana.
Ci siamo divertiti, lui ha vissuto da amico silente e giudizioso le mie numerose peripezie sentimentali, magari pensando a quanto fosse fortunato ad essere molto più tranquillo di me.
Abbiamo infatti due caratteri completamente differenti: io mi accendo facilmente (ora meno, ma insomma…), lui è un riflessivo, uno che prima di litigare ci pensa dieci volte e poi non ne fa di niente e che quando si inalbera vuol dire che siamo ben oltre la soglia di sopportazione.
Gli voglio molto bene, ma non vado a casa sua da almeno dieci anni per via dei sette gatti che lui adora, così come tutti gli animali, tranne i facoceri, che effettivamente non trovo troppo simpatici.
Credo che si sia entrati in rotta di collisione non più di tre volte, di cui una a causa delle nostre consorti (quella mia dell’epoca, che era anche una delle migliori amiche della tuttora in carica signora Pestuggia) e questa mi pare una cifra significativa per due che si frequentano e lavorano insieme da una vita.
A volte ho come la sensazione di essere troppo impetuoso con lui e ripenso ancora con un brivido a quando tentai invano con tutte le armi dialettiche che avevo a disposizione di convincerlo ad assumere come giornalista a tempo pieno a violanews un comune conoscente, una persona che poi si è dimostrata per entrambi molto falsa.
Visto che domani di auguri ne riceverà tanti, perché cinquanta anni sono davvero importanti, stavolta ho voluto giocare di anticipo.

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