Notalgia canaglia ieri sera con il Napoli (che scoppola!) ad Eindhoven e l’Udinese (che brava!) a Liverpool.
Frammenti della memoria di due vittorie indimenticabili, anche se in Inghilterra era come se non ci fossi perché era appena morto Alberto, e meno male che avevo con me Valentina che non si è mai resa conto abbastanza di aver vissuto in diretta un momento storico della Fiorentina.
Quella in Olanda è stata certamente meno prestigiosa, ma più bella in tutti i sensi: perché era decisiva e perché abbiamo dato un’autentica lezione di calcio, applauditi da tutti e con un Mutu stratosferico.
Ora l’Europa la vediamo in televisione e forse apprezziamo di più certe dolcezze del passato: io ci voglio tornare, il prima possibile.

Siamo pure stati sfortunati, perché le medie negli ultimi due anni erano state da giocatore normale che ogni tanto si ferma per qualche acciacco.
Non Xavier Zanetti (un mostro di continuità), insomma, ma neanche il povero Kroldrup della passata stagione, di cui ad un certo punto si erano perse le tracce.
Le cifre sono sconfortanti: quando il campionato riprenderà dopo la sosta, e sarà il 21 ottobre, in due mesi di torneo Alberto Aquilani avrà giocato appena dieci minuti.
Ottimi, per carità, con tanto di lancio “sbilenco” per Jovetic, ma un po’ poco per aiutare la Fiorentina che avrebbe invece un gran bisogno del suo migliore centrocampista per insierimento e tiro.
Si naviga a vista, e non può essere altrimenti perché con la salute non si scherza, però speriamo di avere già dato e di ritrovarcelo a disposizione per almeno tre quarti della parte restante della stagione.

Il mausoleo costruito per Rodolfo Graziani ad Affile, in provincia di Roma, sul quale dominano le scritte ‘Patria’ e ‘Onore’, capisaldi del fascismo. «Mai dormito tanto tranquillamente », scrisse Rodolfo Graziani in risposta a chi gli chiedeva se non avesse gli incubi dopo le mattanze che aveva ordinato, come quella di tutti i preti e i diaconi cristiani etiopi di Debra Libanos, fatti assassinare e sgozzare dalle truppe islamiche in divisa italiana. Dormono tranquilli anche quelli che hanno speso soldi pubblici per erigere in Ciociaria un sacrario a quel macellaio? Se è così non conoscono la storia.

Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto Henry Bernard Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: infatti il negazionismo «è, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio». Ha ragione. È una vergogna che il comune di Affile, dalle parti di Subiaco, abbia costruito un mausoleo per celebrare la memoria di quello che, secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, fu «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Ed è incredibile che la cosa abbia sollevato scandalizzate reazioni internazionali, con articoli sul New York Times o servizi della Bbc,ma non sia riuscita a sollevare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica nostrana. Segno che troppi italiani ignorano o continuano a rimuovere le nostre pesanti responsabilità coloniali.

Francesco Storace è arrivato a dettare all’Ansa una notizia intitolata «Non infangare Graziani» e a sostenere che «nel processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla Rsi». Falso. Il dizionario biografico Treccani spiega che il 2 maggio 1950 il maresciallo fu condannato a 19 anni di carcere e fu grazie ad una serie di condoni che ne scontò, vergognosamente, molti di meno.

È vero però che anche quella sentenza centrata sul «collaborazionismo militare col tedesco», era figlia di una cultura che ruotava purtroppo intorno al nostro ombelico (il fascismo, il Duce, Salò…) senza curarsi dei nostri misfatti in Africa. Una cultura che spinse addirittura Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti (un errore ulteriore che ci pesa addosso) a negare all’Etiopia l’estradizione di Graziani richiesta per l’uso dei gas vietati da tutte le convenzioni internazionali e per gli eccidi commessi e rivendicati. E più tardi consentì a Giulio Andreotti a incontrare l’anziano ufficiale, in nome della Ciociaria, senza porsi troppi problemi morali.
Allora, però, nella scia di decenni di esaltazione del «buon colono italiano» non erano ancora nitidi i contorni dei crimini di guerra. Gli approfondimenti storici che avrebbero inchiodato il viceré d’Etiopia mussoliniano al suo ruolo di spietato carnefice non erano ancora stati messi a fuoco. Ciò che meraviglia è che ancora oggi il nuovo mausoleo venga contestato ricordando le responsabilità di Graziani solo dentro la «nostra» storia. Perfino Nicola Zingaretti nel suo blog rinfaccia al maresciallo responsabilità soprattutto «casalinghe».

Per non dire dell’indecoroso sito web del Comune di Affile, dove si legge che l’uomo fu una «figura tra le più amate e più criticate, a torto o a ragione» del periodo fra le due guerre e un «interprete di avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose». Che «compì grandiosi lavori pubblici che ancor oggi testimoniano la volontà civilizzante dell’Italia». Che «seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato».

«Inflessibile rigore morale»? «Rodolfo Graziani tornò dall’Etiopia con centinaia di casse rubate e rapinate in giro per le chiese etiopi», racconta Del Boca. «Grazie a lui il più grande serbatoio illegale di quadri e pitture e crocefissi della chiesa etiope è in Italia». Certo, non fu il solo ad avere questo disprezzo per quella antichissima Chiesa cristiana fondata da San Frumenzio intorno al 350 d.C. Basti ricordare le parole, che i cattolici rileggono con imbarazzo, con cui il cardinale di Milano Ildefonso Schuster inaugurò il 26 febbraio 1937 il corso di mistica fascista una settimana dopo la spaventosa ecatombe di Addis Abeba: «Le legioni italiane rivendicano l’Etiopia alla civiltà e bandendone la schiavitù e la barbarie vogliono assicurare a quei popoli e all’intero civile consorzio il duplice vantaggio della cultura imperiale e della Fede cattolica ».

Fu lui, l’«eroe di Affile», a coordinare la deportazione dalla Cirenaica nel 1930 di centomila uomini, donne, vecchi, bambini costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai campi di concentramento allestiti nelle aree più inabitabili della Sirte. Diecimila di questi poveretti morirono in quel viaggio infernale. Altre decine di migliaia nei lager fascisti.

E fu ancora lui a scatenare nel ’37 la rappresaglia in Etiopia per vendicare l’attentato che gli avevano fatto i patrioti. Trentamila morti, secondo gli etiopi. L’inviato del Corriere, Ciro Poggiali, restò inorridito e scrisse nel diario: «Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada… Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente».

I reparti militari e le squadracce fasciste non ebbero pietà neppure per gli infanti. C’era sul posto anche un attore, Dante Galeazzi, che nel libro Il violino di Addis Abeba avrebbe raccontato con orrore: «Per tre giorni durò il caos. Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano».

Negli stessi giorni, accusando il clero etiope di essere dalla parte dei patrioti che si ribellavano alla conquista, Graziani ordinò al generale Pietro Maletti di decimare tutti, ma proprio tutti i preti e i diaconi di Debrà Libanòs, quello che era il cuore della chiesa etiope. Una strage orrenda, che secondo gli studiosi Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik autori de La repressione fascista in Etiopia vide il martirio di almeno 1.400 religiosi vittime d’un eccidio affidato, per evitare problemi di coscienza, ai reparti musulmani inquadrati nel nostro esercito.

Lui, il macellaio, quei problemi non li aveva: «Spesso mi sono esaminato la coscienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente ». Di più, se ne vantò telegrafando al generale Alessandro Pirzio Biroli: «Preti e monaci adesso filano che è una bellezza».

C’è chi dirà che eseguiva degli ordini. Che fu Mussolini il 27 ottobre 1935 a dirgli di usare il gas. Leggiamo come Hailé Selassié raccontò gli effetti di quei gas: si trattava di «strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini».

Saputo del monumento costato 127 mila euro e dedicato al maresciallo con una variante sull’iniziale progetto di erigere un mausoleo a tutti i morti di tutte le guerre, i discendenti dell’imperatore etiope, come ricorda il deputato Jean-Léonard Touadi autore di un’interrogazione parlamentare, hanno scritto a Napolitano sottolineando che quel mausoleo è un «incredibile insulto alla memoria di oltre un milione di vittime africane del genocidio», ma che «ancora più spaventosa» è l’assenza d’una reazione da parte dell’Italia.

Rodolfo Graziani «eseguiva solo degli ordini»? Anche Heinrich Himmler, anche Joseph Mengele, anche Max Simon che macellò gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema dicevano la stessa cosa. Ma nessuno ha mai speso soldi della Regione Lazio per erigere loro un infame mausoleo.

Gian Antonio Stella (Corriere.it)

Eh sì, passaggio importante avrebbe detto come spesso gli succedeva il mio vecchio amico Roberto Barry (uno dei pionieri della radiofonia fiorentina) e con ragione.
Se perdiamo lucidità e unità adesso, rischiamo di farci male, anche se la vocazione degli attuali dirigenti viola mi pare molto meno narcisista della precedente, molto più preoccupata del proprio orticello personale invece che del bene comune.
E’ chiaro che contro il Bologna bisogna vincere, ma senza passi indietro sul piano della mentalità: dobbiamo cioè giocare come abbiamo sempre fatto, dal Novara in Coppa Italia e fino a Milano.
Poi ci fermeremo per rifiatare e sarà quello il momento di tirare qualche conclusione e fare analisi più approfondite.
Bisogna reggere sul piano della fiducia, cercare di andare allo stadio come contro il Catania (era bello vedere il popolo dal campo), far sentire che siamo tutti dalla stessa parte.
Impresa non facile a Firenze, dove nel calcio come per ogni altra cosa per ogni idea che viene fuori ci sono almeno tre partiti diversi.

…come facciamo a segnare?
Abbiamo giocato di più dell’Inter, ma loro hanno avuto più occasioni e se Viviano è stato il migliore della Fiorentina forse la vittoria l’hanno pure meritata.
Restano due dubbi: Samuel poteva e doveva essere buttato fuori dopo il fallo su Fernandez per doppia ammonizione e Montella ha insistito troppo su Ljajic, che non ha neanche giocato male (meglio di Jovetic, tanto per capirsi), ma uno che sta davanti la deve buttare dentro.
Almeno una volta su due, soprattutto se ti capitano occasioni clamorose contro Juve e Inter.
Ed invece una volta non prende neanche la porta e nell’altra pensa di entrare dentro col pallone.
Le partite girano così: avremmo pareggiato in tre minuti ed avrebbero avuto paura.
L’Inter ha giocato da provinciale e noi da squadra che ha un più ampio respiro, ma in pratica senza Borja Valero e Jovetic, oltre a Rodriguez fuori giri (anche Roncaglia mi è piaciuto poco) e così è durissima, direi quasi impossibile.
Questo però è il momento di tenere duro, di non mollare e nonfarci del male da soli: la classifica è peggio di quello che noi siamo, però anche stavolta siamo usciti dal campo a testa alta.
A me non basta perché volevo dei punti, ma nella vita bisogna sapersi accontentare.

La vera notizia di questo scorcio del 2012 è che a Milano ci temono, più di quanto succedesse con Prandelli in panchina, anche perché rispetto ad allora è una piccola Inter.
Sono rimasti impressionati dalla nostra partita contro la Juventus e probabilmente ci aspetteranno stando dietro per poi ripartire veloci in contropiede.
E a noi va bene così, visto che è nel DNA di questa squadra impostare sempre la gara e non subire il gioco degli avversari: quando lo facciamo, come è avvenuto nel secondo tempo di Parma, sono dolori.
Sinceramente non è male girare per l’Italia con addosso questo abito elegante del bel gioco e della novità tecnica, però domani sera mi piacerebbe stare un po’ più su in classifica perché davanti vedo squadra che hanno speso poco e che hanno ottimizzato al massimo mentre a noi mancano almeno quattro punti, anche se è troppo presto per fare calcoli europei.

Come cominciare benissimo la giornata: esco da una delle mie pasticcerie di riferimento e vengo avvicinato da un distinto signore che mi parla del blog e poi mi dice di voler partecipare alla scommessa sui gol di Toni.
Benissimo, gli rispondo, c’è tempo fino al 15 ottobre e comunque non esiste un comitato che controlla, venga il giorno della colazione se perdo, e faccia la donazione alla Fondazione Borgonovo se vincete voi che credete ad almeno otto reti di Luca-gol.
Macché.
Il signore si fruga in tasca e mi consegna venti euro per la Fondazione, a prescindere: per me è incredibile in un mondo come questo in cui ci stiamo un po’ tutti imbarbarendo per via dei soldi e della paura che gli altri ci possano fregare.
Ed è anche motivo di orgoglio, perché vuol dire che la gente si fida di me e questo mi fa un piacere immenso.
Siccome adesso vado a fare il versamento vi ricordo gli estremi della Fondazione, tante volte dovessi vincere io…
Fondazione Stefano Borgonovo Onlus 

IBAN: IT 53 M 08329 51610 000000202000
BCC ALTA BRIANZA – FILIALE DI OGGIONO

Sono commosso dall’onestà di Klose.
“Ho toccato il pallone con la mano”, ha detto ieri sera all’arbitro, dopo che gli avevano convalidato il gol e proprio un secondo prima che glielo stessero per annullare (con ammonizione) per segnalazione del giudice di porta.
Ma quanto è bravo questo Klose, ma quanto è onesto e come è ammirevole nella sua integerrima e teutonica sportività.
Un plauso davvero sincero, anche perché non deve essere facile crescere con un fratello gemello che giocava qualche anno fa nel Bayern e che segnava reti decisive con cinque metri di fuorigioco e poi esultava come un pazzo, fregando tutti mentre un grassone norvegese faceva il palo della banda.

P.S.
Grazie a tutti per gli auguri, sto preparando una piccola sorpresa per stasera al Pentasport…
Su Klose aggiungo che non pretendevo certo che andasse dal pingue norvegese a dire che era in fuorigioco, ma vederlo esultare in quel modo, quando sapeva benissimo di essere cinque metri oltre la linea dell’ultimo uomo…
Comunque, se a voi sta bene e vi piace come si comportò a Monaco, io non ho problemi.

Qui stiamo giocando il miglior calcio della serie A.
Non so quanto potrà durare, perché molto dipenderà dalle condizioni di Pizarro e Borja Valero, e comunque abbiamo sempre da buttare nel mezzo Aquilani e anche Matias Fernandez, ma ieri sera abbiamo annientato sul piano del gioco la Juventus.
Sono molto preoccupato per i punti che non abbiamo fatto, per me sono già cinque tra Napoli, Parma e Juve.
E a quelli che dicono che allora saremmo in testa alla classifica io rispondo: e perché no?
Invece temo che ci toccherà rimpiangerli questi punti persi, ieri solo per sfortuna e per mancanza di attaccante vero (già sentita, lo so, però è così, e Toni mi sembra lontanissimo da una condizione atletica accettabile).
Oggi parlano tutti bene di noi, io starei attento a non perdermi nella dolcezza dei commenti, sarà perché ho ancora dentro il fiele di una grande incompiuta, ma ancora all’alba del giorno dopo non riesco ad essere completamente soddisfatto.
Dovevamo vincere, meritavamo di vincere, e stiamo studiando per diventare una grande squadra con un degno capitano.

Piccolo esercizio di memoria: vi ricordate dove eravate e cosa stavate facendo nelle ultime cinque Fiorentina-Juventus?
Faccio spesso questo esperimento per la pratita per me più importante dell’anno, andando anche più in là col tempo per capire a che punto sto con la memoria e per vivere di nuovo certe sensazioni.
Questo per spiegare che comunque vada a finire domani sera quella di domani sera sarà una partita snodo della stagione, una di quelle cose che segnano nel bene (speriamo) o nel male.
Ci vorrà il cuore caldo e la testa freddo e sarà una durissima battaglia perché mai ho visto in più di quaranta anni di lotta contro la Juve una squadra così “cattiva” e determinata di questa.
Neanche la prima di Lippi, che aveva in Baggio un sublime poeta che però un po’ si estraniava dalla lotta.
Qui no, qui picchiano tutti e giocano pure molto bene, ma noi siamo la Fiorentina e io ho visto negli anni settanta squadre molto scarse vincere contro i campioni, quando le differenze erano molto più ampie rispetto a domani sera.
Consiglio a questo proposito una bella visione del 4 a 1 del 1975, con un’occhiata alle due formazioni: coraggio che mancano ormai poche ore.

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