Non so come andrà a finire e ho vietato la riproposizione dei gol delle vittorie storiche perché negli anni scorsi ci abbiamo costruito sopra fin troppe illusioni.
E’ però interessante notare come l’attesa sia tornata quella di un tempo, perché per esempio l’anno scorso non era mica così.
Reduci sette mesi prima dalla più umiliante tra le sconfitte, non c’era mica tanta voglia di andare a vivere la partita dell’anno.
In verità la discesa verso un’attesa più normale era già cominciata nell’ultima stagione di Prandelli e nella prima di Mihajlovic, complice pure il forte ridimensionamento della Juve e il nostro lento e costante dissolvimento.
Adesso no, adesso è ripartita la caccia al biglietto, mi hanno già chiamato una decina di amici e conoscenti per sentire se per caso avessi la possibilità ecc…
Stavolta porto allo stadio Cosimo, in collo a Valentina: sarà il suo primo Fiorentina-Juve, spero indimenticabile.

Eccomi qui, con clamoroso ritardo dovuto alla giornata strapiena ed estremamente soddisfacente: da un certo punto in poi consideri un successo ogni momento che i tuoi figli adolescenti decidono di passare con te.
Dunque Wembley, Jovetice Savic.
Ho un ricordo struggente del vecchio Wembley, il 27 ottobre 1999, la rete di Bati ed io sdraiato che urlo come un pazzo vicino al telefono e Luis Laserpe che parla non so come col poliziotto tifoso dell’Arsenal per evitare guai.
In quello nuovo sembra di essere a teatro, causa tempi delle figlie sono entrato agli inni nazionali, esperienza nuova per me, resa ancora più straniante dal non dover fare la radiocronaca.
Grande tifo degli inglesi, molto più patriottici di noi, e partita interessante.
Ho provato a vedere l’effetto che mi faceva Jovetic a cinque mesi dall’addio: zero assoluto.
Come se appartenesse alla preistoria viola o fosse statosolo di passaggio.
E’ sempre bravo, ma quante pause…
Savic è stato tra i pochi a salvarsi dal disastro difensivo e in Nazionale mi pare abbia molta più personalità, nel senso che suggerisce ai compagni, urla, fa un po’ il Gonzalo Rodriguez della situazione.
Domani si torna in Italia con la convinzione che Londra sia veramente l’unico posto all’estero dove (forse) riuscirei a sopravvivere.

Sono a Londra con Valentina e Camilla e ieri sera ho avuto l’ottima idea di andare a vedere “Let it be” al Savoy Theatre, un’immersione incredibile negli anni sessanta, che ho conosciuto solo da bambino.
Premessa dolorosa, ma necessaria: io e l’inglese siamo due cose completamente diverse, che temo non si incontreranno mai nonostante un vergognoso 20 rimediato, anzi diciamo pure rubato, a Scienze Politiche quasi trent’anni fa.
Lo dico per spiegare che capivo un decimo delle parole, che le mie figlie (per fortuna!) sapevano molto meglio di me.
Ciò nonostante è stato molto divertente, coinvolgente, i cloni sono bravissimi e non a caso fanno il pienone da mesi: pareva di avere gli originali e in mezzo a tanti over 50 e 60 c’erano parecchi giovani impazziti per Let it be, Yesterday e tutto il resto.
In questo gli inglesi, penosi nei bagni e nella loro assurda assenza dei bidet (ma come si lavano, dopo?), sono imbattibili e i Beatles, per me ovviamente, più di tutti, per il sound che uno sprovedduto della musica come il sottoscritto riesce ad assorbire.
Loro, gli inglesi, hanno i Beatles, noi i Pooh, che pure mi sono molto piaciuti nei decenni scorsi, ma che sono obiettivamente un’altra cosa.
E stasera Wembley, per vedere se una volta tanto Jovetic gioca…

Prima di tutto, una spiegazione: la storia della registrazione è cancellata e anche tutto quello che ha trascinato dietro, ognuno faccia come gli pare: qui non si registra nessuno.

Vediamo ora come va a finire la storia della squalifica del campo del Milan, che obiettivamente è squilibrata rispetto ad altre situazioni (penso ai cori dello Juventus Stadium, alle bombe carta dell’Olimpico, per esempio), ma gli idioti anti-meridionali erano già stati avvertiti da altre sanzioni.
L’ho già detto e non cambio idea, non si va allo stadio come se fosse un porto franco, un posto dove ci è concesso sfogare i nostri istinti peggiori.
Se non passa la linea dura, avranno vinto quelli che pensano sia possibile ricattare società e appassionati e sono pure disposto a rinunciare ad un po’ di goliardia pur di assaporare il gusto di vedere nello stadio un luogo civile dove appassionarmi, arrabbiarmi, godere e soffrire.
Vediamo se si rimangiano tutto oppure no.

Vale in tutti i campi della vita e quindi anche nel calcio.
Passiamo stagioni a lamentarci sulla poca attenzione di Prandelli verso i calciatori viola (“è gobbo”, “la vuol fare pagare a Della Valle”, ecc) e adesso molti sono preoccupati/arrabbiati per via del fatto che qualcuno si potrebbe far male prima della Juve.
Io continuo ad essere molto nazionalista quando vedo la maglia azzurra e davvero non riesco a pensare ad Abete o Carraro, ma a Riva, Mazzoila, Rivera, De Sisti, Antognoni, Mexico 70 e Spagna 82, più il rigore di Grosso.
Per questo sento di più la partita della Nazionale se in campo ci vanno Aquilani, Pasqual e soprattutto Rossi: mi piace aggiornare la classifica delle presenze e quella dei gol viola in azzurro.
Vedo e sento che molti la pensano diversamente e non so più se sono nella maggioranza o meno, ma non me ne preoccupo troppo.

Eravamo poco solidi, ma poco brillanti e la brillantezza a questa squadra l’avrebbero dovuta dare Rossi, Aquilani e soprattutto Cuadrado, tutti al di sotto della sufficienza.
Mi preoccupa sorattutto il colombiano, che ha avuto un problema alla spalla e che dovrebbe essere non troppo condizionato, in fondo è rimasto fuori poco eppure ha perso quella magnifica imprevedibilità che era uno dei nostri segreti.
Hanno invece retto molto bene i difensori, con Neto assoluto protagonista, quasi sempre più convinto ad ogni parata.
Un discorso a parte va fatto su Pizarro, che da uomo squadra sembra sia diventato uno di quelli che porta il pallone ai campini e che non lo vuole passare a nessuno perché, appunto, il pallone è suo: mi pare che sia la prima volta in cui viene cambiato per pura scelta tecnica.
Eviterei accuratamente di guardare la classifica, ora non ha senso e ci facciamo solo del male.
Il campionato è davvero molto lungo e non manca moltissimo al rientro di Mario Gomez, che ieri c’è terribilmente mancato.

Dopo la prima trasferta in aereo con i giornalisti a Lecce nel 2005, Cesare Prandelli decise che poteva bastare così, che lo scambio di battute tra calciatori e cronisti non andava bene e che quindi da quel momento ognuno sarebbe andato per la propria strada, intesa come viaggio per raggiungere le varie città.
E così è stato più o meno fino a questa trasferta in Ucraina, dove i più fortunati tra noi hanno avuto la possibilità di trasferirsi insieme alla squadra.
Essendo ormai un veterano di certe situazioni mi posso permettere paragoni col passato, un raffronto da cui il gruppo Montella esce alla grande perché davvero il clima che si respirava era di quelli buoni.
Tutta gente, almeno all’apparenza, con la testa sulle spalle, molto educati, consapevoli che per fare bene il calciatore è giusto tenere un comportamento normale.
Ricordo cazzeggi di vario genere, battute pesanti con il personale femminile a bordo, in qualche caso pure atteggiamenti da primadonna che venivano tollerati solo in nome della popolarità del personaggio.
Ovviamente i contatti con i giornalisti si sono limitati alla formalità del saluto, perché questo è il calcio di oggi e d’altra parte, tranne Pasqual, io non conosco personalmente nessuno degli attuali componenti della rosa.

Serata certamente da ricordare: per la prestazione gagliarda della squadra, con alcune punte di eccellenza, per il freddo pazzesco e per il fatto di essere rimasti a digiuno in pratica per dodici ore.
Non che mi faccia male, per carità, ma la fame è davvero una gran brutta bestia e se con il cuore e la testa da un lato “giocavo” Dnipro-Fiorentina, dall’altro con alcuni neuroni andavo ad immaginare (vai a sapere perché) il risotto alla parmigiana: non c’era un venditore di niente, neanche di porcherie, nel raggio di due chilometri e la tribuna stampa dava solo acqua o pessimo caffé.
Città da dimenticare, sotto quasi tutti i punti di vista.
Meno male che ci ha riscaldato la Fiorentina, con il veterano ed il ragazzino a dominare.
Sedici anni di differenza tra Ambrosini e Matos (avevo torto, lo ha messo e ha fatto benissimo), ma il campo livella tutto, lì conta solo quello che fai e che sei.
Era durissima da giocare per via del campo, del nevischio e anche della forza fisica del Dnipro, che ci ha messo meno testa e alla fine pure meno cuore.
Una serata ottima pure per Neto, dopo il brivido iniziale, e per Compper, mentre Gonzalo ed il “ballerino” Borja, che danzava là dove molti faticavano a rimanere in piedi, si sono confermati tra i leader, mentre il secondo tempo di Pizarro è stato parecchio deludente.
Una bellissima vittoria che ci fa molto bene per il morale e per avere meno problemi in Europa.

Non mi sembra cambiata molto la vita in questa città-paesone rispetto a dodici anni fa.
Buffa la vita e il calcio: sono venuto tre volte in Ucraina e appena una in più negli Stati Uniti.
Se uno si impegna parecchio potrebbe anche trovare qualcosa di interessante nelle chiese, nel fiume, nel mix tra vecchio regime sovietico e tentativo di modernità che ha lasciato le cose a metà, cosa “molto pittoresca” per chi viene da fuori, ma non proprio comodissima per chi ci deve convivere ogni giorno.
Ad inizio ottobre ci sono già i segni dell’inverno italiano, l’illuminazione è un optionale, le strade sono buie e già deserte verso le undici e su tutto quello che anima le rapaci fantasie maschili mi pare che si sia fatto un bel salto in avanti e che la dignità abbia preso il posto della disperazione che costringeva una gioventù molto attraente a vendersi per quattro soldi. Meno male.
Poi c’è la partita, spigolosa e piena di curve, da affrontare con una rabbia ed una concentrazione che non sarà facile trovare dopo le botte di Milano e di lunedì sera.
Sono l’unico tra i colleghi ad avere parecchi dubbi sul fatto che Matos giochi titolare fin dall’inizio, è solo una sensazione a pelle, ma mi pare che sia un po’ troppo: il Dnipro, specialmente in casa, non è il Pacos Ferreira.

Dubito che i tifosi dell’Ajax siano razzisti, non fosse altro che per la loro forte affinità con la comunità ebraica olandese, e infatti ogni tanto si vedono bandiere israeliane in mezzo alle loro bianche e rosse.
Dunque i soliti fischi a Balotelli non hanno certamente (almeno stavolta) matrici che vanno al di là del calcio.
A me pare che si sia imboccata una china molto pericolosa: il ragazzo è sinceramente insopportabile e fatico a scrivere queste cose perché non più tardi di quindici mesi fa vedevo in Balotelli non solo un ottimo potenziale attaccante, al contrario del mio amico Piero Ceccatelli, ma speravo che fosse uno stimolo per promuovere valori etici importanti.
Invece è incontrollabile, convinto di essere il depositario del giusto, incurante delle conseguenze dei suoi gesti, vedi il dito al naso che fa spesso e che uno come Batistuta si è permesso una volta sola nella vita, ma a ragione (lo avevano sbeffeggiato in Spagna e lui al Camp Nou fece un gol da favola, altro che il solito rigore).
E comunque, quando viene a Firenze, va eventualmente solo fischiato: chi si rimette a fare i buu vuol dire che non ha proprio capito niente.

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