Dunque domani torno a Copenaghen, luogo cult dei miei vent’anni.
Estate 1980, partiamo in tre e a Stoccarda parte il motore della macchina di mio cugino, ci vogliono tre giorni per avere quello nuovo e così viviamo accampati vicino alle mucche in una tenda montata così e così.
Poi arriviamo a Copenaghen ed è come essere nel Paese delle Meraviglie, con la particolarità di non avere una lira (o una corona) e quindi si razionava tutto, in pratica si mangiava solo la sera, ma non ci pesava per niente.
Clima fresco, il giorno partite su partite di calcio e la sera via a Tivoli dove…vabbeh, sembrava di essere in un luogo incantato, con queste bellissime ragazze bionde che ti guardavano ammirate perché eri moro, con un sacco di capelli e pure magro.
Al ritorno dissi che ero in grado di guidare dopo una notte di baldoria, mi addormentai in trenta minuti, sbattemmo nella foresta nera tedesca, facemmo un paio di testa-coda, ci mancò di poco un tir, rischiammo seriamente la vita e distrussi la Golf di mio cugino, ma la vacanza resta memorabile.
Giuro che mi ci sono volute un paio di settimane per riprendermi in Italia, per accorgermi che non eravamo più in Danimarca.
Due anni dopo cercammo di ripetere l’incanto ad Ibiza, più o meno nella stessa formazione e fu un fallimento: si viveva di notte e al secondo giorno avevo già voglia di tornare in Italia.
Ho quasi paura a tornarci a Copenaghen, ovviamente è tutto diverso, ho 53 anni, sono un’altra persona e fisicamente mi sento ancora parecchio acciaccato e forse non si dovrebbe mai rivedere i posti dove si è stati veramente felici.
Sarà perché a vent’anni “si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età”, ma è stato tutto bellissimo.

Tivoli è chiuso…lo aprono da fine aprile, ma è stato emozionante lo stesso.
Attraverso i cancelli, su quei vialetti, era come se vedessi passeggiare il ragazzo che ero allora, con tutti i miei sogni, la mia irruenza, le mie speranze.
Copenaghen continua ad essere bellissima, anche 34 anni dopo, senza capelli e qualche chilo in più.

L’avevamo rimessa nel verso giusto, stavamo dominando e l’Inter mi sembrava in difficoltà.
Poi prendiamo un contropiede, e ci può tranquillamente stare, e convalidano un gol nettamente irregolare: la partita è girata lì.
Si può discutere su una reazione abbastanza blanda, ma se a Rossi, Borja, Gomez (che logicamente era come se non ci fosse) aggiungi pure Cuadrado e Gonzalo, come caspita si fa a recuperare contro una squadra che si chiudeva benissimo, anche perché è la cosa che sa fare meglio.
Rompe molto le scatole perdere una partita così, in una giornata di campionato che ci nasconderà forse definitivamente il sogno Champions, ma io sinceramente ho poco da rimproverare alla Fiorentina.
Avrei messo una punta fin dall’inizio (e l’ho detto subito), ma quale punta?
Matri mi pare un po’ sfiduciato, di Gomez abbiamo detto e Matos era un rischio molto elevato da correre.
Resta sullo sfondo il problema Ilicic: la sua stagione è per ora da 5, ieri avrebbe dovuto fare la differenza (anche Vargas ha deluso tanto, ma altre volte no), era fresco e non ha combinato niente.
Non so quante altre prove d’appello avrà ancora da qui a maggio.

O la va o la spacca per Matteo Renzi e per il bene di tutti io mi auguro proprio che vada.
Ognuna delle due soluzioni aveva ampi margini negativi: farsi rosolare a fuoco lento dai giochetti della politica, piccoli passi di Letta compresi, o contraddire quello che aveva sempre detto e cioè di voler passare dagli elettori per un’eventuale scalata a Palazzo Chigi?
Ha scelto la seconda strada, convinto che con il “fare” ci si dimenticherà in fretta della teoria.
Già, ma “fare” cosa?
Ed è lì che Renzi si gioca tutto.
Deve smuovere davvero l’economia reale, non quella artificiale dello spread e della borsa, deve far partire l’idea della ripresa, ridare speranza, cercando di allontanare il pessimismo assoluto che domina (purtroppo con qualche ragione) ogni nostra azione quotidiana sociale.
Ce la farà a “fare”?
Ci conviene tifare per lui perchè le alternative sono scarse e molto pericolose.

E’ vero che la Roma avrebbe avuto due squalificati importanti che pareggiavano come minimo l’assenza di Cuadrado, ma io preferisco giocarmela col Napoli, che mi sembra meno “squadra” di noi, nel senso che vive soprattutto per l’attacco dove è obiettivamente straordinario.
E poi c’è il fattore ambientale, che qualcosa conta.
E a Roma il Napoli è visto come fumo negli occhi.
Non che la Fiorentina rimanga particolarmente simpatica, ma come minimo ci sarà un atteggiamento neutrale da parte di quelli che verranno solo a vedersi la partita.
Insomma, ce la giocheremo in tutto e per tutto e già mi immagino i fuochi di artificio dialettici di De Laurentiis nei giorni precedenti la finale.
Io me ne fregherei completamente, ma capisco che ognuno reagisce a modo suo e quindi ne vedremo delle belle.
Intanto noi siamo lì, altri con molta più spocchia e anche molti più soldi se la vedranno rosicando in televisione.

Un grande spettacolo, una città intera che spinge una squadra molto stanca, un po’ impaurita e senza almeno tre giocatori fondamentali, ma orgogliosa e con un portiere a cui in tanti, a cominciare da chi scrive, dobbiamo delle scuse.
Questa è una partita che entra nella storia e non solo perché è la prima finale dei Della Valle.
Entra nella storia per cosa è diventata la Fiorentina in questi diciotto mesi di Della Valle-Montella-Pradè-Macia, io non ricordo, almeno a Firenze, una crescita così tumultuosa e felice in uno spazio tanto breve.
Eravamo annientati nell’estate del 2012, per l’ultima partita di campionato contro il Cagliari bisognava quasi implorare alla gente di venire allo stadio e ora siamo così sfacciatamente belli e chi se ne frega delle tv nazionali, di dove ci mettono, se alla semifinale di Coppa Italia preferiscono i capelli di Balotelli o la vulcanica signora Bonucci.
Siamo speciali, fuori dal coro, non esattamente simpatici al resto d’Italia proprio perché convinti di “essere Firenze”, una condizione che va estesa anche a chi non vive qui quando si parla di Fiorentina.

E’ stata una serata molto particolare anche per me: la mattina avevo quasi deciso di mollare, non me la sentivo, avevo paura di non essere all’altezza dell’impegno, di non essere abbastanza lucido, mi sembrava di mancare di rispetto a chi ascolta e a chi lavora con me.
Poi mi sono detto: proviamoci, ma tenendo sempre in preallarme Tommaso e Giovanni e così ho cominciato con un pizzico di timore, che non so se si sia avvertito, fino ad arrivare ad una vera e propria crisi dopo cinque minuti.
A quel punto mi sono spaventato e ho chiesto a Sardelli di venire accanto a me tra lo stupore della tribuna stampa e la preoccupazione di chi mi vuole bene.
Invece poi sono andato avanti fino in fondo, e anzi nel secondo tempo mi sentivo più sciolto anche se poi il dopo partita non è stato facile, ma rifarei tutto perché ieri sera valeva veramente la pena esserci.

Vale per tutti, a cominciare da me…
Mai una semifinale di Coppa Italia aveva avuto tutto questo carico emotivo, forse nemmeno quella del 1996 contro l’Inter o forse sono io a ricordarmela diversamente.
E’ qualcosa di ancora più grande se rapportato all’appeal dell’avversario che non è certo di prima grandezza.
Qui c’è la voglia di non essere solo belli, di chiudere un percorso iniziato il primo agosto 2002, quando ci hanno oltraggiato in un modo che ancora ci offende, specialmente se confrontato ai favori fatti a diverse altre squadre, non solo quelle romane.
Alzare la Coppa all’Olimpico in una finale secca che comunque vada a finire l’altra partita sarà contro un avversario importante, di quelli con cui facciamo a sportellate in campionato.
In questo contesto chi va in campo è quasi secondario, mi pare che emerga invece lo spirito della città, quella voglia di essere sempre diversi, di dire: “comunque vada, nessuno ci metterà mai sotto”.
Anche per questo mi piacerebbe esserci e sono combattuto tra diversi stati d’animo, ma alla fine l’unica cosa che conta veramente è che ci sia la Fiorentina.
Con il cuore, certo, ma anche con l’intelligenza che Montella ci ha regalato in questi suoi primi diciotto mesi in viola.

E grazie a tutti voi per i messaggi di auguri.
Lo sentivo a Cagliari e Udine che non andava, troppi dolori, addirittura sabato scorso quando aspettavo a Roma ero pentito di essere andato in Sardegna, poi al Sant’Elia sono andato in trance agonistica e per tre ore tutto era scomparso.
E’ stata un’esperienza per me unica e ancora non siamo in fondo, ma c’è molto di peggio, lo so benissimo.
Il fatto è che sono proprio un uomo “normale” di quelli che hanno paura di tutto quello che è un problema fisico e i fantastici dottori e il personale straordinario di Villa Donatello devono fare pure gli psicologici per farmi stare un po’ più tranquillo.
La Fiorentina mi ha aiutato a passare due ore molto più serene, è stato bello vederla vincere in quel modo, con qualche affanno, ma meritatamente.
Questa è una squadra di cui ci si può fidare e Montella è stato bravissimo a tenere alta l’asticella della concentrazione prima della semifinale.
E’ stato strano vedere in tv il gol di Wolski, quanto mi sarebbe piaciuto essere lì a commentare una prodezza del genere, ma martedì spero proprio di esserci.

Un abbraccio particolare al Duca, ci sono cose ben peggiori delle mie: ti aspettiamo presto!

Questo mestiere ha i suoi vantaggi.
Per esempio quando il fantastico anestesista di Villa Donatello si dichiara tuo ascoltatore e ti convice a fare quella totale, dandoti ampie rassicurazioni che ti sveglierai.
Ed eccomi qui, quasi alle quattro del mattino, niente angosce e niente vino, solo grandi dolori, ma sollievo dopo due giorni da incubo.
Tra un po’ passerà, intanto stasera torna Sardelli in radiocronaca, se ce la faccio rientro con l’Udinese.
Un abbraccio a tutti.

Mi pare che Mario Gomez abbia assorbito bene lo spirito del tempo, lo spirito dei fiorentini.
La sua battuta con Montella è un piccolo gioiello di auto-ironia che dovrebbe contribuire a rinsaldare un rapporto un po’ sfilacciato dalla sfortuna che lo ha tenuto fuori, oltre a qualche errore di comunicazione che si sarebbe potuto evitare con un minimo di chiarezza in più.
Certamente lui si sente in debito con Firenze e con il popolo viola, non mi pare uno che se la butta dietro le spalle e sa che nei suoi confronti le attese sono enormi, soprattutto dopo l’infortunio di Rossi.
Vederlo in panchina contro l’Udinese martedì sera sarebbe già un successo.

Certo che un pareggio e due sconfitte contro chi è dalla parte destra della classifica non aiutano ad avere il morale alto, ma quella di ieri sera è stata una partita che ha lasciato qualche buona impressione e, soprattutto, è qualcosa di rimediabile.
Il nostro secondo tempo è stato di ottima fattura, soprattutto in relazione al campo estremamente pesante, poi non abbiamo concretizzato e questo è un vecchio discorso, anche se Matri ha dato veramente tutto.
Si può rimediare e andare in finale se ritroviamo Cuadrado, perché martedì prossimo ci mancheranno Borja (che ingenuità farsi ammonire in quel modo!) e Aquilani: abbiamo bisogno delle sue invenzioni, non dei suoi numeri ultimamente un po’ fini a se stessi.
Oggi torna in gruppo Mario Gomez (bravissimo Stefano Rossi a trovare la notizia del suo viaggio lampo a Monaco di ieri) ed è una boccata di ottimismo che ci voleva in giornate grigie come queste.

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