Il mestiere di direttore
Oggi mi sono alzato con un pizzico in più di presunzione addosso, tutti i giornalisti ce l’hanno, non credete mai ai falsi modesti.
Questa mattina esagero e provo a raccontarvi il mio modo di intendere il mestiere di direttore che svolgo ormai da più di 25 anni, da quando cioè il Pentasport da essere una trasmissione a due voci (il sottoscritto e Saverio) è diventato polifonico.
Cominciamo col dire che non ho mai preso ordini da nessuno e ho sempre sbagliato di testa mia, il che non è certo un merito, perché dovrebbe rientrare nelle normali prerogative di un direttore, ma una semplice constatazione.
Di errori in tutto questo tempo ne ho fatti parecchi e tanto per non nascondermi dietro alle semplici parole potrei ricordare alcune pagine nere del mio passato: aver dato a Cecchi Gori fiducia dal 2000 al 2001, aver preso una posizione sbagliata quando andò via Batistuta, aver personalizzato certi scontri con personaggi viola magari pure di secondo piano, essermi fidato di giornalisti/e che poi hanno provato a pugnalarmi alle spalle, aver ingaggiato aspre battaglie con colleghi che poi si sono dimostrati molto meglio di quanto pensassi.
Avendo però una discreta considerazione di me stesso (leggi alla voce presunzione…), penso di aver comunque combinato qualcosa di buono e per arrivare a certi risultati ho sempre avuto due linee guida: lasciare la massima libertà di espressione agli opinionisti e ai miei giornalisti, a patto che specificassero che esprimevano idee a titolo personale, e cercare un’armonia nelle voci che radiofonicamente vanno in onda.
E nel secondo caso mi fido sempre dell’istinto che non mi ha (quasi) mai tradito, ed è come per lo chef: aggiungi, togli, sperimenti, ascolti il parere di chi assaggia quello che prepari.
Alla fine provi a servire tutti i giorni in tavola e quindi in F.M. il meglio di quello che puoi offrire, sperando che tutto sia gustoso e digeribile.