“E poi fate l’amore.
Niente sesso, solo amore.
E con questo intendo i baci lenti sulla bocca, sul collo, sulla pancia, sulla schiena, i morsi sulle labbra, le mani intrecciate, e occhi dentro occhi.
Intendo abbracci talmente stretti da diventare una cosa sola, corpi incastrati e anime in collisione, carezze sui graffi, vestiti tolti insieme alle paure, baci sulle debolezze, sui segni di una vita che fino a quel momento era stata un po’ sbagliata.
Intendo dita sui corpi, creare costellazioni, inalare profumi, cuori che battono insieme, respiri che viaggiano allo stesso ritmo, e poi sorrisi, sinceri dopo un po’ che non lo erano più.
Ecco, fate l’amore e non vergognateve, perché l’amore è arte, e voi i capolavori.”

Alda Merini

Il giorno in cui non ci sarà più la festa della donna sarà un bel giorno.
Dubito che riuscirò a viverlo, mi auguro che lo possano fare le mie figlie, ma anche su questo ho parecchie perplessità.
Festeggiare le donne l’8 marzo vuol dire in qualche modo marcare la differenza che esiste (e purtroppo esiste) nei restanti 364 giorni.
Fino a poco tempo fa portavo anch’io le mimose, lo consideravo un atto a metà tra il galante (a me piace esserlo) e l’attestazione di come quelle fossero 24 ore a loro completamente dedicate, poi finalmente ho maturato un’idea precisa: non esiste nessuna festa, ma piuttosto un dialogo comune, un cercare di capirsi con le nostre differenze strutturali di maschi e femmine.
E così, con un giorno di anticipo e dopo averlo fatto per anni anche su questo blog, non auguro niente e considererò l’otto marzo come un giorno qualsiasi, con una sola eccezione, che scoprirete domani sera in televisione a “Viola d’amore”.

Ci hanno parecchio penalizzato, però non c’eravamo, inutile girarci troppo intorno.
Il fuorigioco, il possibile rigore per il fallo di mano di Florenzi, i due giorni in meno per preparare la partita, e va bene, ma avrebbero vinto lo stesso.
Perché ieri, e forse non solo ieri, erano più forti, specialmente a centrocampo, dove Keita e Pjanic ci hanno fatto a pezzi.
E adesso?
Adesso torniamo alla normalità, puntiamo al terzo posto con una squadra che vale meno di quella dell’anno scorso, altrimenti non si spiegherebbe la riduzione del monte ingaggi: se li paghi meno vuol dire che valgono meno.
Alcuni sono proprio stanchi, come Bernardeschi e Astori, altri non si è capito il perché siano stati presi a gennaio (Tino Costa) e poi c’è questa storia del difensore che ha quasi dell’incredibile.
Al netto di queste considerazioni, vediamo come reagisce l’ambiente a questa scoppola perché spesso siamo dei maestri a farci del male da soli.

Lo so che domani c’è la Roma, ma ci sono momenti nella vita in cui sei chiamato a prendere decisioni importanti, lo devi fare in due minuti e da solo.
Accade questo: Cosimo viene da me e mi racconta di come un mese fa abbia perso un dentino e non sia successo niente, cioè non sia arrivato nessun soldo sul suo comodino.
Incautamente gli rispondo che avrebbe potuto dirmelo e qui scoppia un piccolo dramma perché capisce che non è mai stata la Fatina a portargli la moneta, ma un genitore.
Il passaggio successivo è ancora più difficile: “ma allora non esiste Babbo Natale e neanche la Befana” e giù pianti disperati.
Peggio che raccontare che la Fiorentina non vincerà mai lo scudetto.
I centoventi secondi di dubbio esistenziale cominciano da quel momento.
Che fai?
Neghi spudoratamente, ti arrampichi sugli specchi e provi a farfugliare che ti eri sbagliato, che la Fatina esiste e quindi anche tutto il resto?
Affronti la vicenda da padre illuminato quale hai sempre pensato di essere (bum!) e poni il novenne di fronte alla dura realtà della vita?
Opto per la seconda che ho scritto chiedendomi a che età le sue sorelle abbiano smesso di credere a Babbo Natale (e chi se lo ricorda?) e inizio ad inerpicarmi sul tortuoso sentiero della verità.
Ad essere sincero avrei voluto chiedere un time-out per chiamare qualche genitore di compagni di classe e sapere chi ancora ci credeva e chi no, ma non era possibile e così, dopo un’ora veramente difficile tra singhiozzi e rifiuti di ogni regalo presente e futuro, in qualche modo ne sono uscito vivo.
Ma se poi la Fatina dei dentini esistesse davvero?

A me pare che ci sia molta più tranquillità rispetto alla settimana scorsa.
Eppure ne abbiamo presi tre a Londra, eppure non abbiamo vinto col Napoli, e pareggiare in casa non è mai un gran risultato, ma sento a pelle che qualcosa è cambiato e forse la presenza di Andrea Della Valle alle due partite non è estranea a questo cambiamento.
C’entra anche il doppio impegno ravvicinato, appena quattro giorni tra due gare così importanti, giusto il tempo di staccare dal dopo-partita, ma insomma è un’altra situazione.
Peccato per Zarate, ma ci contavo il giusto, di solito in queste cose conta il referto arbitrale e poi si va col pilota automatico.
La prossima settimana non abbiamo purtroppo impegni: potrebbe essere l’occasione giusta per aprire le porte del centro sportivo ai tifosi.

Per oltre un’ora avremmo meritato di vincere, poi abbiam rischiato qualcosa e dobbiamo ringraziare Tatarusanu, che da un po’ sta andando alla grande.
Ma abbiamo giocato da Fiorentina, rischiando il contropiede e senza snaturare niente, questo è da grande squadra, almeno nella testa.
Tre episodi ci hanno condizionato in negativo, le due traverse e l’incredibile errore di Alonso, e stavolta mi appello anch’io alla sfortuna, una ciambella di salvataggio che mi piace davvero poco utilizzare.
Se il Napoli è questo, non vedo perché non si possa fare un pensierino al secondo posto, specialmente ora che Kalinic è (quasi) tornato quello di prima e che Tello sembra un grande acquisto invernale.
Ci mancano ancora le grandi partite di Badelj e Vecino, che hanno cambiato la Fiorentina in autunno. se riparte il centrocampo, con la sua velocità di esecuzione, ce la giochiamo fino in fondo con la Roma.

Poiché non smetto mai di sognare, ieri sera tifavo per l’Inter…
Ok, la Juve è un’altra cosa, ma il Napoli, questo Napoli con il mal di pancia di Higuain, non mi sembra una squadra imbattibile.
Al di là della solita retorica, questa sera un ruolo importante lo giocherà l’ambiente, cioè saper trasformare il Franchi in qualcosa che in questa stagione si visto raramente, una bolgia che deve durare tutta la partita.
E se i ragazzi della curva entreranno dopo, dovrebbe essere il resto dello stadio ad iniziare i cori per poi continuare fino al triplice fischio finale.
Siamo stanchi noi, sono stanchi loro, delusi no e delusi loro dall’Europa, però abbiamo molto meno da perdere e allora è il caso di osare, di rischiare qualcosa a costo di concedere qualche contropiede.

E’stata un’ondata di affetto travolgente e devo ringraziare davvero tutti perché mi hanno fatto capire che la nostra gente, questa città, compresa la squadra di calcio che tutti noi amiamo, certe cose non le accetta.
Ma ci sono due persone particolari con cui sinceramente e onestamente mi sento in debito: Ernesto Poesio e Giuseppe Calabrese.
Certi fatti che poi restano nel tempo sono a volte figli del caso: se a fine interviste non li avessi casualmente incontrati per prendere insieme prima l’autobus e poi la metro, non sono affatto sicuro che avrei trovato la forza di scrivere quello che avete letto nel precedente post.
La loro indignazione e la loro rabbia senza se e senza ma, in quei momenti in cui mi vergognavo per l’idiozia di quei dementi che offendevano la memoria di milioni di persone, è stata decsiva: sono tornato in albergo e ho buttato giù quello che sentivo dentro.
Altrimenti ne avrei semplicemente parlato con amarezza insieme alle persone che amo e tutto sarebbe finito lì.
Giuseppe ed Ernesto hanno oggi scritto articoli bellissimi sulle edizioni fiorentine di Repubblica e Corriere e anche questo dà la misura della sconfitta di chi è razzista.
Stavolta, e spero per sempre, abbiamo vinto noi.

La Fiorentina perde male ed esce dall’Europa, ma voglio raccontarvi quello che è successo quando ho preso la metro per tornare nel centro di Londra.
Una ventina di ragazzotti mi ha riconosciuto e ha cominciato a cantare “David Guetta, c’è un treno per Mauthausen che ti aspetta”, un motivetto che deve andare di moda tra loro, visto che non c’è stato bisogno di accordare i suoni per far partire il coretto vergognoso.
Vergognoso non per me, che da decenni convivo con “l’ebreo di merda” che scatta come riflesso condizionato dalle menti più annebiate: sei anni fa l’insulto partì per esempio da un importante rappresentante del tifo, oggi salito di rango, che aggiunse anche di voler venire in radio a staccarmi la testa.
La vergogna è per questi dementi con cui mi piacerebbe avere un confronto e che quasi certamente non sanno bene cosa sia successo a Mauthausen.
O ad Aiuschwitz, o a Dachau, o a Treblinka.
Ma lo vorrei avere questo incontro davanti alla lapide che in via Farini ricorda i fiorentini che sono partiti con quei treni che loro oggi vogliono per me e che non sono più tornati.
E’ un po’ come con quelli/e che si dichiarano assolutamente non antisemiti, ma che spesso quando ti parlano ogni tanto tirano fuori queste parole: “ma voi ebrei…”: una forma di razzismo strisciante che non sopporto.
Magari qualcuno di quei ragazzi e di quelle ragazze, di quei signori e di quelle signore che su quel treno sono stati costretti a salire tifava pure per la Fiorentina, che già esisteva.
Fiorentini/e ebrei/e come me, che sono non ho nessun legame particolare con la Comunità ebraica, mentre invece come cittadino provo nausea ad avere a che fare con questa gente.
Aspetto con orgoglio il prossimo coro: continuate pure così, vigliacchi.

Ancora Londra, ma rispetto ad un anno fa è cambiato tutto e in meglio: per la Fiorentina e soprattutto per me.
L’ambiente è sempre in grande fermento, però sarebbe preoccupante il contrario: da quando seguo professionalmente i viola, non ricordo sei mesi consecutivi di calma.
Va bene così, soprattutto se siamo terzi in campionato e con la consapevolezza che possiamo fare l’impresa di buttare fuori una delle migliori squadre inglesi in uno degli stadi più gloriosi del mondo.
Sale la febbre per la gara, alla fine questi impegni europei prosciugheranno certamente le energie, ma sono l’essenza del calcio ed esserci è un gran segnale.
Ilicic, Kalinic, Bernardeschi, la qualificazione passa da lì, intanto mi godo tre giorni pieni in una delle città più belle del mondo e…avete ragione: fare il giornalista è sempre meglio che lavorare.

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