Mi pare che finalmente ci sia un cambiamento nella filosofia di fondo che sottintende al rapporto con i giocatori.

A parte Kalinic e Bernardeschi, per tutti gli altri mi pare che sia la Fiorentina a decidere se e quanto chi veste oggi la maglia viola sia in grado in futuro di rappresentare città e squadra.

Ve lo ricordate Montella dopo la batosta interna col Siviglia?

Disse che se i tifosi continuavano a fischiare qualcuno poteva pure decidere di andarsene, quasi che ci facesse un piacere a stare qua.

E un po’ era vero.

Adesso invece, in vista anche di cambiamenti radicali, la situazione è molto diversa: è la società a dare le carte, anche con quelli con cui i contratti sono più a rischio, vedi Badelj e Ilicic.

Rimangono i due big, ma quella è la legge del mercato, il prezzo lo fanno domanda e offerta e sarebbe importante adeguarsi per non perderli.

Ottima mossa quella di far tornare nei posti che contano Gino Salica, gran signore e protagonista di stagioni che resteranno per sempre scolpite nella nostra memoria.

La C2 e poi la B, con la promozione conquistata in quella magica serata del giugno 2004, con Diego Della Valle buttato nella vasca dello spogliatoio viola.

Un professionista, Salica, che nulla o quasi sapeva di calcio quando venne chiamato a guidare la Fiorentina, che però si chiamava orrendamente Florentia Viola per evitare commistioni con la vecchia gestione.

Credo che non esista un giornalista e in generale un interlocutore a Firenze che non riconosca all’ex presidente qualità rarissime nel multiforme mondo pallonaro.

Bentornato dunque, sperando che davvero serva a smussare gli angoli (molti) tra i Della Valle e la città.

Sul possibile, anzi probabile scudetto delle ragazze per ora diciamo poco per non portare male, però l’impresa di oggi è di quelle importanti: se dovesse succedere, va festeggiato alla grande.

Correva l’anno 1994, Vittorio Cecchi Gori ascoltava la mia radiocronaca, come faceva il babbo Mario, non c’era la televisione e non c’erano neanche i diritti radiofonici locali, nel senso che tutti potevano trasmettere a proprio rischio e pericolo, insomma eravamo fuori dalle regole.

Un giorno arrivò una chiamata, mi passarono Vittorio che mi chiese esplicitamente per suoi misteriosi motivi di eliminare due giornalisti esterni da Radio Blu: Luca Frati, Manola Conte, più Aldo Agroppi, che proprio non sopportava.

Era la prima volta che succedeva un fatto del genere e sapevo benissimo come fossimo appesi alla benevolenza della Fiorentina che, se avesse voluto, avrebbe potuto farci smettere la radiocronaca in qualsiasi momento.

Ci pensai un’ora, decisi in completa autonomia e dissi di no: non potevo consegnare il bene più prezioso che avevamo, la libertà, in cambio della radiocronaca, che pure amavo moltissimo.

Non accadde niente, poi le pressioni (pesantissime) si ripeterono con Sconcerti ed altri ancora, e per tutti la risposta è stata una sola: nel Pentasport decido io chi interviene come opinionista, oltre a naturalmente a chi fa parte della redazione.

Qualche vendetta più o meno traversale c’è stata, ma siamo sopravvissuti, con un pizzico di presunzione direi anche abbastanza bene.

Racconto questi aneddoti per spiegarvi che mi spiace molto che non gradiate Bucchioni o non sopportiate Prizio o Brovarone o che magari troviate antipatico Sandrelli (cito a caso), ma posso solo prenderne atto e poi fare delle riflessioni a fine stagione, dettate sempre e comunque dall’unico scopo del mio lavoro: creare una squadra che funzioni e costruire una trasmissione che sia la più ascoltabile e gradevole possibile.

A volte ci riesco, a volte no, ma queste sono le incertezze del mestiere

Tutti noi che combattiamo ogni giorno per portare a casa il guadagno che permette ai nostri figli (e qualche volta pure all’ex coniuge che vive sulle spalle di chi lavora) di vivere decorosamente, vorremmo incontrare almeno una volta nella vita i cinesi del Milan.

Gente fantastica, che versa senza troppi problemi 200 milioni di euro per comprare il 40% della società, ma che poi fatica a trovare i restanti 320 milioni per chiudere l’affare.

Mi accontenterei di molto meno: per esempio se qualcuno mi facesse il piacere di comprare la mia casa diciamo a 300mila euro, me ne dà 80.000 al compromesso, ma poi non riesce a perfezionare l’acquisto perché, guarda caso, gli mancano 220.000 euro.

Io mi tengo la casa e gli 80.000 euro, così come pare che Berlusconi si possa tenere i 200 milioni, che gli farebbero pure comodo, viste le recenti spese per Olgettine e similari.

E’ talmente tutto così bello (per Berlusconi, a me purtroppo non è mai successo), che mi pare troppo bello per essere vero.

 

Non oso pensare a cosa sarebbe successo se non avessimo vinto.

Non riesco proprio a capire: a ma i successi all’ultimo tuffo hanno sempre dato una gioia particolare, qualcosa in più rispetto all’ordinario.

Qui invece pare che i due gol di Kalinic contro Cagliari e Crotone siano portatotori di sventura: era meglio perdere?

Ancoa di meno capisco le critiche a Kalinic: ma avete visto come gioca e con chi gioca in attacco, cioè da solo?

Non vi bastano diciannove gol, il no ai milioni cinesi ed un comportamento esemplare in campo e fuori?

Scusate, ma non mi lego a questa schiera e come cantava il grande Guccini “morrò pecora nera”.

Sto facendo i compiti con Cosimo, quarta elementare.

Siamo sullo stendere e manca solo il problema di matematica che recita testualmente così: una mamma ha vinto al Bingo 360 euro, ne regala 1/3 a … e via a seguire.

Non vorrei passare per bacchettone, ma proprio oggi sul giornale c’è un allarme piuttosto serio sul rischio che i bambini diventino schiavi del “Gratta e vinci” e quindi mi chiedo se sia corretto far partire un problema per bambini da una vincita al Bingo, come se fosse un dato acquisito che si giochi (e quindi ci si rovini) con l’azzardo.

O sono io troppo apprensivo?

Deve essere ambizioso, sapendo però che oltre un certo limite non possiamo andare, vedi alla triplice voce Prandelli, Montella e Sousa.

Avere un nome, ma non costare un’esagerazione.

Ottenere i risultati attraverso il gioco, perché si sa che a Firenze siamo dei buongustai.

Essere deciso con la stampa, senza entrare in rotta di collisione totale, aperto con la città e disponibile con i tifosi.

Vantare una buona esperienza alle spalle, senza però “essere passato di moda”.

Mica facile scegliere il nuovo allenatore della Fiorentina,

Sondaggio suggerito da un amico del blog: lo vendereste Bernardeschi a 50 milioni di euro?

Cioè la quotazione di Kalinic?

Io no, ma non sono Della Valle

E voi?

La sciarpa della Juve l’ha rifiutata.

Va bene, però doveva dire: “rimango certamente a Firenze”, altrimenti è chiaro che se ne vuole andare. Perchè non l’ha detto?

Gli piacerebbe avere la fascia di capitano, magari è un segno di attaccamento alla maglia viola che indossa da una decina d’anni.

Macché, è solo un modo per buttare fumo negli occhi: magari non l’accontentano e così la prende come scusa per dire che se ne va.

Come si dice dei figli come quando a volte non ne possiamo più: il difficile non è farvi (soprattutto per noi maschi…), ma accontentarvi!

La partita degli assurdi.

Stadio in rivolta per l’inspiegabile cambio tra Bernardeschi e Badelj, prima prende un palo clamoroso Sau, poi segna Kalinic, che si mette a polemizzare con i tifosi per conto terzi, ovvero Sousa.

In quel quarto d’ora finale c’è molto calcio e tutta Firenze, intelligente e polemica al limite del masochismo e credetemi so per esperienza personale di cosa sto parlando.

Forse siamo ancora in corsa per lo strapuntino europeo, certamente non ne possiamo più del tecnico ed esageriamo nelle nostre manifestazioni di insofferenza.

Bellissimo l’ingresso in campo dei ragazzi degli anni novanta, ora uomini fatti e finiti, alcuni (Cois e Malusci) con il figlio adolescente in campo perché sapesse chi fosse stato il babbo.

Mi sono emozionato con Ranieri e a vedere ancora sul prato del Franchi molti dei miei compagni di un viaggio che dura, per mia grande fortuna, da quasi quarant’anni.

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