Aprile 2009


Lo so che bisognerebbe essere concentrati solo sul Cagliari, però ieri mi sono goduto i due quarti di Champions e quasi automaticamente mi sono venuti in mente i colpi pensati e mancati dalla Fiorentina.
L’ultimo temo sia Ivanovic, che sarebbe stata una splendida corvinata, ma che non si riesce a capire per quale strano motivo oggi si dovrebbe trasferire da Londra a Firenze, magari guadagnando pure meno e rischiando di non giocare in Champions.
Forse a gennaio Ivanovic e il Chelsea ci potevano pensare, oggi certamente no.
E così, dopo Balotelli e Vidic, ne abbiamo un altro da rimpiangere.
Il fiuto di Corvino è straordinario, forse a volte ci vuole un po’ più di decisione e lo dico da profano quasi totale di calciomercato.
Chiudo con un ringraziamento a Galdiolo e a tutti i “miei” giocatori degli anni settanta, a cominciare da Antognoni: ieri sera nel Pentasport sono stati splendidi ed io non avrei più smesso di parlare con loro.

E’ molto facile essere generosi con i soldi degli altri.
Oppure pensare: ma che vuoi che sia per tizio o caio tirare fuori mille euro con tutto quello che guadagna.
E’ facile e stupido, perché ognuno ragiona con la propria testa e poi agisce secondo la propria sensibilità.
Eppure, nonostante tutte queste premesse, mi sono ritrovato incosciamente a controllare nel pomeriggio di ieri le informazioni riguardanti l’eventuale donazione dell’incasso di Fiorentina-Cagliari alle popolazioni abruzzesi.
Come mi aspettavo (e speravo), la notizia è arrivata: brava Fiorentina, un motivo in più per volerti bene.

P.S. A proposito di voler bene alla Fiorentina, se potete, non perdete il Pentasport di stasera…

SFORTUNA E PAZZIA
Mancano pochi minuti alla fine di Fiorentina-Milan, partita deludente sia per lo spettacolo che per il pareggio. Batistuta cade pesantemente in un ripiegamento difensivo, e andrebbe sostituito. Ma Gabriel dice che se la sente di continuare ed il tecnico si fida ciecamente del suo campione. Un minuto più tardi Bati si accascia mentre sta correndo accanto a Sala. In radiocronaca prendo un abbaglio e pretendo la seconda ammonizione per il difensore del Milan, che invece non ha nemmeno sfiorato Batistuta. I primi referti parlano di almeno due mesi di assenza ed escono proprio mentre Edmundo è nella sala d’attesa dell’aeroporto di Roma, pronto a partire per Rio de Janeiro.
E’ una pazzia: ma come, Bati è out e l’unico in grado di sostituirlo se ne va a ballare la samba in Brasile? Cecchi Gori dice che è giusto così, che era un impegno preso personalmente da lui e formalizzato sul contratto del brasiliano. Io non capisco e non mi adeguo. Qualche tirapiedi di Vittorio vorrebbe mandarmi in video a sostenere le esternazioni presidenziali. Mi oppongo e allora chiama direttamente il presidente-senatore-produttore per “invitarmi” a cambiare idea.
«Guarda Vittorio, che io ho attaccato in radio la Fiorentina su questa scelta. Se presento lo speciale con te, posso solo ribadire la mia posizione»
«Può giocare Robbiati con Oliveira…, lo dice anche Trapattoni»
«Ma dai, lo sai benissimo anche te che non è la stessa cosa. E’ stata un’enorme sciocchezza aver fatto partire Edmundo, pensa alla reazione dello spogliatoio per questo trattamento preferenziale. Una società seria si sarebbe opposta».
Batistuta tornò dopo appena trentacinque giorni, ma non fu lui per almeno un altro mese e gli andò già bene a non farsi male di nuovo. La Fiorentina era intanto scivolata al secondo posto, mentre Edmundo veniva a malapena sopportato dai compagni. Che occasione sprecata.

L’AVVERTIMENTO
Il dottor commercialista Andrea Parenti ha rappresentato per anni la mente più lucida del gruppo Cecchi Gori, forse avvantaggiato dal fatto di essere solo un consulente esterno e di potersi quindi permettere di dire a Vittorio le cose come stavano. Andrea era uno di quelli (pochi, davvero pochi) che sapeva mantenere la parola data. Nell’aprile del 1999 ci trovammo quasi per caso a Canale Dieci (che deve a lui gran parte della propria autonomia finanziaria) e mi sparò a bruciapelo una domanda che mi lasciò senza parole: «che farebbero i tifosi se vendessimo Batistuta, Rui Costa, Edmundo e magari anche Toldo?».
«Credo che ci sarebbe la rivoluzione. Cecchi Gori ha promesso lo scudetto e se Vittorio vende i campioni la gente scende in piazza. Ma perché me lo chiedi?»
«Perché, se continua così, la Fiorentina rischia di non iscriversi al campionato».
Ero abituato a trattare con Parenti anche sulle ultime diecimila lire di rimborso spese e per questo considerai le sue parole assolutamente eccessive, una specie di sfogo per i troppi soldi che circolavano nel calcio. Tra l’altro stavano per arrivare i miliardi della televisione a pagamento, che aveva finalmente trovato con Stream l’alternativa a Tele Più. La Fiorentina era nel gruppo delle grandi e si parlava di un mega-contratto televisivo: come poteva Parenti pensare a certe cose?

CHAMPIONS LEAGUES
La stagione del possibile scudetto si concluse con terzo posto finale, a ben quattordici punti di distanza dal Milan, incredibilmente Campione d’Italia. Nel finale ci eravamo avvitati come nei peggiori anni di Ranieri, con appena cinque punti in cinque partite. Nell’ultima inutile gara di Cagliari Trapattoni mandò in campo Torricelli ancora non al meglio della forma dopo un infortunio, e il suo pupillo si ruppe definitivamente dopo neanche venti minuti. Non sapevamo se essere soddisfatti per l’ottimo piazzamento o rammaricati per aver perso ancora una volta la possibilità di vincere lo scudetto. Poteva essere l’anno giusto, con Juve e Inter in crisi nera, la Roma alle prese con il problema Zeman e la Lazio travolgente ma discontinua. In fondo avevamo preso quattro punti su sei al Milan, ma avevamo dovuto sopportare l’infortunio di Batistuta e la partenza di Edmundo. Al momento decisivo, Cecchi Gori non tirò fuori i soldi per rinforzare l’organico e già quello poteva essere un segnale che qualcosa non andava come ci stavano raccontando. A gennaio era infatti arrivato solo il modesto Ficini, che diventò suo malgrado il simbolo di quello che poteva essere e non è stato.

LA RIVINCITA DI MALESANI
Eravamo finiti in finale di Coppa Italia quasi senza accorgercene. Quella stessa coppa che tre anni prima aveva trascinato una città intera in una notte di festosa follia, adesso valeva meno di un piazzamento in Champions Leagues. Personalmente però ci tenevo moltissimo a vincerla perché l’altra squadra finalista era il Parma del mio “amico” Malesani. Quando Batistuta al Tardini pareggiò il gol di Crespo, a otto minuti dalla fine, andai nell’esultanza ben sopra le righe. Credevo che il più fosse fatto e già pregustavo la rivincita nei confronti del tecnico veronese nella gara di ritorno.
Il Parma ci fece a pezzi nella mezz’ora finale, con una tale dimostrazione di potenza che qualsiasi ulteriore commento risulterebbe superfluo. Perdevano due a uno e ci misero ai paletti con un forcing degno del miglior Milan di Sacchi. Qualcuno rimproverò a Malesani la troppa esultanza al momento della premiazione, ma che avrebbe dovuto fare? Fingersi costernato perché la sua vecchia squadra aveva perso la Coppa Italia? Via, non facciamo gli ipocriti. O almeno, non fino a questo punto.

Ero prevenuto, maledettamente prevenuto.
Mi sono detto: se per caso anche questa volta i signori che guidano la politica italiana si mettono a rimbalzarsi le colpe per un dramma che tocca tutti, ma che ha travolto soprattutto una Regione, io sbotto.
Di brutto.
Ero quasi certo che sarebbe potuto succedere ed invece ni sbagliavo.
Meno male.
Stavolta loro hanno evitato e noi abbiamo evitato di vergognarci di loro.

Vittoria fondamentale.
E meritata, al di là di quello che dice Del Neri, che da quando dal 2004 non è arrivato a Firenze ce l’ha sempre un po’ troppo con la Fiorentina.
Un po’ come Guidolin, insomma.
Però se non tita fuori due conigli gilardino al massimo la pareggiamo e poi si piange per la classifica.
A me è piaciuto molto Semioli all’inizio e alla fine, Montolivo nel secondo tempo, Zauri e Donadel per come si sono applicati, Jovetic dal dopo il rigore.
Adesso ci dobbiamo credere, ancora di più perché abbiamo ritrovato il morale e forse un po’ di gioco.

Senza Mutu, sarà dura, durissima.
Spero di sbagliarmi, ma è l’unico che può inventare qualcosa con una certa continuità e siccome in questo campionato il gioco ci ha sorretto pocco, ecco che avremmo bisogno dei suoi colpi.
Non ho capito bene l’astio che una parte della tifoseria ha nei suoi confronti: in campo è uno che non si nasconde mai, anche quando non è in giornata, ha giocato due ottime stagioni e in questa terza è stato più decisivo del pur ottimo Gilardino.
Esagera solo nelle proteste un po’ troppo plateali con i compagni, ma lo fanno a volte i grandi talenti.
Non lo conosco fuori dal campo e nemmeno penso che sia importante come si comporti o cosa faccia quando non si allena, ma da quel poco di frequentazione che ho avuto mi è sempre sembrato un uomo tranquillo, molto più misurato di tanti montati passati dalle nostre parti.

Alla fine mi sono dovuto convincere che non è uno scherzo, che veramente ci sono delle persone che considerano Morfeo una vittima degli eventi.
Non sono passati neanche sette anni dal dolorosissimo fallimento viola ed è già cominciata la fase del revisionismo.
Tanto per chiarirci le idee: al di là delle nefandezze di Cecchi Gori e della cricca che si baloccava con i suoi soldi, se nel 2002 la Fiorentina non fosse retrocessa avrebbe avuto un contributo per i diritti televisivi di 60 miliardi di lire.
Ne sarebbero bastati 40 per iscriversi al campionato e quindi per non fallire.
E non ripartire dalla C2.
Quella squadra aveva il quinto monte ingaggi italiano, ma ci siamo dimenticati delle magliette della vergogna?
L’atteggiamento di Morfeo in campo e fuori è stato fuori da ogni commento, quello di Marco Rossi e Nuno Gomes, che misero in mora la società per 50 milioni di lire, indescrivibile.
Loro in testa, ma quasi tutti gli altri a ruota, con un impegno sul campo veramente penoso, tanto che siamo retrocessi senza mai lottare e con due mesi di anticipo sulla fine del campionato.
E adesso qualche bella testa viene qui a difendere Morfeo?
Attendo con impazienza la proposta di riprendere Marco Rossi come laterale destro di centrocampo.

1998/99
Qualche scricchiolio si cominciava qua e là ad avvertire, ma nessuno ci dava troppo peso, ed io meno che mai. Forse perché cresciuto nell’epoca tutto sommato felice dei presidenti “ricchi e scemi” (la definizione era di Giulio Onesti, allora presidente del Coni), pensavo che il calcio fosse immutabile nelle sue certezze e nelle sue anomalie. Tutto a Firenze ci sembrava dovuto. E se Moratti, Berlusconi, Agnelli, Cragnotti, Tanzi e Sensi compravano, Cecchi Gori avrebbe dovuto fare altrettanto: eravamo o no una delle sette sorelle? Sapevamo bene di avere a che fare con uno strano tipo, che andava sopportato per i suoi colpi di testa, ma Vittorio aveva i soldi, e noi solo quelli volevamo per volare in alto. I miliardi che prometteva di spendere servivano a farci dimenticare cosa in realtà valesse il re e tutta la corte di miracoli che si portava dietro. In pratica, barattammo i nostri dubbi con la promessa di un sogno di grandezza che un calcio ormai masochisticamente avviato verso il gigantismo ed il sicuro fallimento vendeva a piene mani. Non tutti ci stettero, qualcuno come Sandro Picchi, Benedetto Ferrara, Alberto Polverosi e Manuela Righini si sforzò di fare il grillo parlante. Io invece ero nel gruppone degli illusi, con l’aggravante del rapporto preferenziale da tempo instaurato con il presidente-senatore-produttore. Quella fu comunque l’ultima stagione veramente felice.

IL MARZIANO TRAP
Trapattoni visto da vicino è esattamente come uno si immagina. Non c’è trucco e non c’è inganno. Quando seppi che sarebbe arrivato alla Fiorentina, mandai Ceccarini a Monaco di Baviera per un’intervista senza preavviso. Fu molto gentile e cominciò a raccontarsi con una semplicità disarmante e qualche strafalcione in italiano. Grazie al Trap arrivai finalmente a scrivere un articolo in prima pagina su La Nazione, solo che era lui a firmarlo. Si trattava infatti del suo saluto ai tifosi, buttato giù da me e approvato al volo da lui, a pochi minuti dall’inizio del suo primo allenamento in viola. Quando dopo pochi giorni ad Abbadia un ragazzo con in mano la bandiera della Fiorentina gli gridò in faccia “vecchio juventino” per offenderlo, lui si fermò per rispondergli: «juventino te lo posso anche passare, ma vecchio, scusa tanto, proprio no». Aveva ragione, perché come spirito dimostrava almeno trent’anni meno dell’età anagrafica. Arrivava sempre per primo al campo, si allenava con i giocatori, faceva le partitelle. Ed era disponibile con tutti, dal grande inviato al ragazzo che scriveva per il giornalino scolastico. Poi, certo, sapeva scegliere benissimo a chi fare le proprie confidenze, e credo che ancora oggi non abbia eguali nell’allenare i giornalisti. Forse Mazzone, ma lo conosco pochissimo.
Dopo gli scontri con Ranieri e le battaglie senza esclusioni di colpi con Malesani, avevo giurato a me stesso che mi sarei morso dieci volte la lingua prima di ingaggiare un nuovo duello con il prossimo tecnico viola, ma con Trapattoni il mio compito fu enormemente avvantaggiato. Entrai subito in sintonia con lui e questo feeling mi aiutò nell’unica volta che lo vidi veramente arrabbiato (e aveva ragione) per una sparata di Mario Ciuffi, che mai aveva digerito l’ingaggio dell’ex bianconero. In una puntata del Pentasport uno scatenato Ciuffi aveva più o meno detto che Trapattoni mandava in campo dei giocatori solo perché aveva degli interessi personali. Cioè, in pratica, prendeva soldi dai procuratori. Il Trap mi chiamò il giorno dopo e mi disse di avere già pronta la querela con risarcimento danni miliardario da chiedere a Ciuffi e devolvere in beneficenza. Gli spiegai che ci sarebbe andata di mezzo Radio Blu e che anch’io, come direttore responsabile, avrei dovuto pagare i danni. Rimase per qualche secondo a riflettere e si calmò un po’ quando gli assicurai che sarebbero arrivate le scuse personali di Ciuffi. Un’ora dopo Mario era allo stadio a parlare e scherzare con lui sulla Juve.
Come gestore di uomini Trapattoni è ancora il massimo, come tecnico è difficile da giudicare perché in questo campo sono pochissimi i giornalisti che possono davvero permettersi di esprimere pareri. Io, partendo dal presupposto che bisognerebbe almeno aver frequentato un corso di allenatori a Coverciano, preferisco astenermi. E, comunque, il ricordo del Trap fiorentino è tra i più piacevoli dei miei vent’anni di Fiorentina.

MICIDIALI
«Più boschi giri e più lupi trovi», questo disse il Trap a Batistuta, che voleva ancora una volta andarsene da Firenze. Per trattenere Edmundo si ricorse ad un patto scellerato con la società, un accordo per cui il geniale brasiliano avrebbe avuto il permesso di partecipare al Carnevale di Rio, e lì in pratica la Fiorentina perse lo scudetto. Per Rui Costa invece non ci fu bisogno di ricorrere a nessuna astuzia: il portoghese era ben felice di rimanere in viola e non pose nessuna condizione. Per tutto il girone di andata i tre dettero spettacolo, trascinando la Fiorentina al titolo di campione d’inverno, grazie anche alle quattro vittorie consecutive iniziali.
In verità i successi in fila avrebbero potuto essere cinque, se a Roma il Trap avesse dato retta al suo quasi infallibile istinto. Per sua stessa ammissione il tecnico, al momento della sostituzione di Edmundo (che mandò platealmente tutti a quel paese), Trapattoni aveva pensato di buttare dentro Firicano, salvo poi ripensarci per questioni extra campo. La domenica prima, infatti, Robbiati e Rui Costa si erano violentemente scontrati e così il Trap mandò in campo Anselmino, come se volesse rincuorarlo. Con Bati in possesso di palla e la Fiorentina in vantaggio, Sant’Anselmo da Lecco si smarcò solo davanti a Chimenti, ma il capitano fece finta di non vedere, preferendo tirare. Trapattoni a fine partita commentò: «con certi atteggiamenti infantili si perdono i campionati». Chissà a chi e cosa faceva riferimento…

BEAUTY E GEL
Guillermo Martinez Amor è stato il primo giocatore che abbia visto arrivare al campo di allenamento con il beauty in mano. Elegantissimo, attraversava il campo di Abbadia San Salvatore con l’aria distaccata dei grandi nobili spagnoli dell’ottocento e sembrava chiedersi: «ma io che ci faccio qui?». Dopo le sue prime prove, ce lo chiedemmo anche noi. Amor sembrava uno di quei fighetti che venivano a giocare nei nostri campi fangosi e che prima delle successive terrificanti mischie ci ammonivano con un frase sospetta: «ragazzi giochiamo pure, ma stiamo attenti. L’importante è non farsi male, mi raccomando». Ecco, se fosse venuto nella nostra squadra di ragazzi, non mi sarei stupito nel vederlo uscire a fine partita pulito come quando era entrato.
Nella stagione successiva il primato di Amor fu però seriamente insidiato da Mijatovic, che oltre al beauty (deve essere una fissazione di chi ha giocato in Spagna) poteva vantare i capelli più impomatati del campionato. Roba da far schiantare di invidia perfino Ugo Poggi. La signorilità di questi due gentiluomini è stata davvero squisita: mai una parola o uno scatto fuori posto, al bando ogni polemica col tecnico che non li faceva giocare per manifesta inferiorità atletica. Solo nel momento dell’addio hanno dimostrato entrambi una curiosa ed insospettabile forma di vitalità. Amor (tre miliardi netti all’anno) ha ingaggiato, perdendola, una durissima battaglia legale per dei premi promessi e non erogati. Mijatovic (quattro miliardi e mezzo netti a stagione) ha in pratica costretto la nuova Fiorentina a cambiare nome perché il giorno dopo il provvidenziale arrivo di Della Valle si è presentato (con una velocità sorprendente rispetto ai suoi movimenti nell’area di rigore avversaria) dall’imprenditore marchigiano per cercare invano di riscuotere quanto doveva ancora dargli Cecchi Gori. Ah, quando si dice la classe.

GODIAMO E RIGODIAMO
Sono i titoli di Stadio in quei fantastici mesi del 1998. Il 15 dicembre è la serata magica in cui crediamo davvero di poter vincere lo scudetto. Una Juve ormai in caduta libera viene battuta a Firenze per uno a zero, con una splendida rete di testa di Batistuta. Ho rivisto decine di volte l’azione del gol con l’audio ambientale dal campo, ad un certo punto si sente un grido: «allarga su Lulù!». Era il Trap dalla panchina che teleguidava Amoroso: palla sulla fascia per Oliveira, cross perfetto per Bati e Peruzzi infilato. Forse Amoroso avrebbe passato lo stesso il pallone sulla sinistra, chissà, ma intanto quella era la dimostrazione che a quasi sessanta anni Trapattoni “viveva” ancora come pochi la partita dalla panchina.
Poi ci rubano due punti a Perugia, dove Cesari (ancora lui!) fischia in pieno recupero un rigore che non c’era per fallo di mano di Amor, ma all’inizio del 1999 riusciamo ad ottenere quattro vittorie nelle prime cinque partite. Ormai non ci ferma più nessuno.

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