Fiorentina


Sono stato l’altro ieri in Croazia e mi sono reso conto di quanto sia apprezzato Pjaca, che pure ha giocato solo un pezzetto di Mondiale.

In quella Nazione il calcio è una religione, più o meno come da noi.

La domanda che mi faccio è la seguente: se la seconda Nazionale più forte del pianeta continua a dargli fiducia, aspettando che si esprima secondo le proprie potenzialità, forse potremmo essere anche noi un po’ più indulgenti e pazienti prima di dichiararci delusi, o no?

Certo, domani dovrete e potrebbe essere la “sua” partita ed insisterei su di lui senza se e senza ma, almeno fino a quando lo sorregge la condizione fisica.

Ho appena finito di leggere il libro di Totti, scritto con Paolo Condó e l’ho trovato molto divertente e pieno di aneddoti.

Spalletti che gira nudo per Trigoria, la vigilia della finale Mondiale con i giocatori che si addormentano alle 6 del mattino, l’infinita tristezza dell’addio di un fuoriclasse che avrebbe sempre e solo voluto giocare a calcio (come lo capisco, quanto manca anche a me, mediocre mezz’ala).

Totti ha destinato ogni anno cifre spaventose per beneficienza nascosta, pare un decimo dello stipendio, e mi è sempre piaciuto ancora prima di parlarci due volte per cinque minuti a causa dell’infatuazione della secondogenita.

In certi passaggi del libro ci ho rivisto Antognoni, che però non è nato a Firenze e certi passaggi non sono accostabili, ma l’amore per un’unica maglia quello sì.

 

Ma a sessant’anni non si dovrebbe avere imparato qualcosa, almeno a chiedere scusa quando si sbaglia?

E invece Gasperini insiste, continua a parlare di valori etici, di giovani che devono dare l’esempio e sinceramente fatico, da quasi coetaneo, a seguirlo,

Come allenatore mi è sempre piaciuto e non l’acevo neanche trovato così urticante come ora dicono in molti e non capisco cosa gli sia preso con Chiesa.

Forse sarà meglio che taccia a lungo sull’argomento, meglio per tutti, a cominciare da Gasperini.

Mettiamola così: avremmo dovuto prendere tre punti tra Inter, Atalanta e Lazio e tre punti alla fine sono stati, ma resta l’amarezza.

Profonda e cocente.

Non si possono sbagliare quattro gol all’Olimpico e passi per Sottil, che ha avuto il braccino del quasi esordiente, ma da Benassi, Simeone ed Edimilson si deve pretendere di più, lasciando da parte il tiro murato all’impalpabile Pjaca in apertura.

Giochiamo nettamente meglio della passata stagione e non la mettiamo dentro, poi è ovvio che si paghi pegno e che magari un gol si prenda, anche perché stiamo svezzando calcisticamente Lafont, con tutti i rischi del caso.

Peccato, davvero peccato, perché come a Milano siamo stati più forti e più brillanti  e magari ci potremmo anche arrabbiare per un molto presunto fallo da rigore su Simeone, ma dovremmo prendercela prima di tutto con noi stessi.

Cominciò De Laurentis con Lucarelli, dicendo che aveva fatto bene a scegliere il Napoli perché il viola porta male.

Ha proseguito  lo scorso anno il signor Mirabelli (a proposito: dov’è finito?), per fare il simpatico con il neo-acquisto milanista Kalinic minacciò di rimandarlo a Firenze se non avesse fatto bene.

Infine, Allegri. Dopo un errore di Bernardeschi urla alla sua panchina che “qui non siamo alla Fiorentina”.

Troppo interesse, signori, lasciateci perdere.

E da parte nostra…non ti curar di loro, ma guarda e passa.

Ci faranno pagare il rigore di ieri, ci potrei mettere la firma.

E non daranno a Chiesa quello che è e che sarà di Chiesa, che dovrà considerare il problema e mettere quindi il pilota automatico nella testa quando sente il contatto dell’avversario.

Al netto delle polemiche, la vittoria contro l’Atalanta è uno di quei successi che mi fanno riassaporare il calcio di una volta, quello che mi ha fatto innamorare del pallone.

Abbiamo giocato male, a sorpresa, forse eravamo stanchi, mentalmente e fisicamente, però abbiamo vinto e ora siamo terzi, una posizione che nemmeno il più ottimista tra gli ottimisti poteva immaginare.

Un grande Veretout, un ottimo Pezzella e qualche lampo di Chiesa sono bastati in una domenica di grande sofferenza, ma, almeno per me, di enorme soddisfazione.

Cinquanta anni fa cominciava a Roma il campionato del secondo scudetto, con un gol preso dopo un minuto dal povero Taccola.

Racconteremo tutto quanto alla radio nel Pentasport con Ruben Lopes Pegna, che all’epoca dei fatti aveva (come oggi) sei anni più di me è quella stagione l’ha sofferta e gioita  da grande tifoso quale è stato.

Io ho dei ricordi vaghi, il più bello di tutti è quello dell’ultima col Varese con le vetrine viola, ma anche Ferrante che si taglia la chioma  alla Domenica Sportiva con Enzo Tortora.

Mezzo secolo dopo è ancora emozionante ripensare a quei giorni.

C’entra tutto: Mazzoleni, la sfortuna e anche l’incapacità di concretizzare la nostra superiorità nel secondo tempo.

Venti minuti bellissimi, però senza segnare e alla fine questo conta moltissimo.

Aggiungiamoci che quando prendiamo reti è come se ci avesse tradito la moglie e ci sgonfiamo perché colpiti allo stomaco non reagendo mai, almeno per un lasso di tempo un po’ troppo lungo.

Resta la prestazione, raramente così convincente a San Siro, e resta l’immagine di un Chiesa superlativo, ormai consacrato su livelli altissimi: giochiamo bene, a tratti molto bene.

Ottima l’uscita di Cognigni a fine gara, anche questo aiuta a compattare l’ambiente e se anche uno come Antognoni alla fine si arrabbia forse è il caso di porsi qualche domanda sulla direzione arbitrale, al di là delle prese per i  fondelli di Spalletti.

Sarà il passare del tempo, saranno le tempeste che ho felicemente attraversato negli ultimi tempi, oppure chi lo sa?

Il fatto è che rispetto a qualche anno fa sono diventato molto più sensibile a tutto e per questo mi ha quasi commosso l’abbraccio di Federico a Lorenzo, due fratelli che di cognome fanno Chiesa e che in tribuna avevano mamma, babbo (uno che aveva giocato discretamente a calcio) e sorella.

Non avevo mai visto qualcosa del genere e mi si è increspata la voce in radiocronaca, perché tutto è stato di una bellezza e di una spontaneità uniche.

Un po’ come la Fiorentina, che adesso non fa più discutere, ma sognare.

Ci stiamo dimenticando di parecchie cose perché questa squadra, questo gruppo nato sulla più assurda delle disgrazie, ci sta spingendo parecchio più in là.

E non ci viene nemmeno la voglia di chiederci dove stiamo andando.

La solita regola non scritta del calcio: sbagli più volte il due a zero e ti pareggiano.

Va così quasi sempre e a un certo punto ho pure pensato che poteva succedere di peggio, che avremmo addirittura perso, perchè dopo la rete di Caprari sembravamo imbambolati e invece poi ci siamo ripresi.

Complessivamente avremmo meritato di vincere e siamo stati superiori alla Sampdoria, che pure pareva in gran forma, per questo secondo me abbiamo lasciato due punti per la strada.

Giochiamo meglio dell’anno scorso e dobbiamo cercare la quadratura con i tre del centrocampo, dove Veretout sembra per fortuna già quello dell’anno scorso.

E anche in giro c’è molto più ottimismo, in attesa di Pjaca e Mirallas, che hanno i colpi per risolverci le situazioni in momenti complicati.

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