Attualità


Non voglio dire che i nostri capi tifosi siano degli angioletti, ma leggete un po’ qua…

Estorsione alla Lazio, ordine di arresto
per Chinaglia e quattro capi ultrà

ROMA – Estorsione ed aggiotaggio. Con queste accuse il nucleo valutario della Guardia di Finanza ha eseguito nove ordinanze di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta della procura della Repubblica di Roma sulla scalata alla società sportiva Lazio. Colpito dal provvedimento anche l’ex bandiera del club biancoceleste Giorgio Chinaglia, attualmente negli Stati Uniti.
Gli inquirenti hanno disposto anche una serie di perquisizioni in abitazioni e uffici di Roma, Milano, Napoli e Trieste.
Tutto inizia a cavallo tra il 2005 e il 2006, quando Chinaglia rientra in Italia dagli Stati Uniti e sostenendo di parlare a nome di un fantomatico gruppo farmaceutico ungherese, fa sapere di essere disposto a incontrare Lotito per una trattativa finalizzata alla vendita della società. Dichiarazioni pubbliche, quelle di Chinaglia, che avrebbero determinato anomale e ripetute oscillazioni del titolo in Borsa, segnalate poi dalla Consob in una informativa finita sul tavolo dei pm Stefano Rocco Fava, Elisabetta Ceniccola e Vittoria Bonfanti che hanno affidato gli accertamenti alla Guardia di Finanza.
L’indagine della magistratura romana parte allora dalle denunce del presidente della Lazio Claudio Lotito in seguito alle ripetute minacce di morte nel caso non avesse ceduto la società.
E prende in esame appunto la scalata al club.
Tra le persone colpite da ordinanza (tutte finite in carcere ad eccezione di Chinaglia) anche quattro irriducibili della Lazio, Fabrizio Toffolo, Juri Alviti, Fabrizio Piscitelli e Paolo Arcivieri.
Gli altri destinatari del provvedimento sono Guido Di Cosimo, Giuseppe Bellantonio, un cittadino di origine ungherese Zoltan Slivas ed Enrico Bruno, che deve rispondere però soltanto di aggiotaggio informativo.

Bella gente, vero?

Rieccoci all’ennesimo sciopero dei giornalisti che mi mette sempre a disagio.
A volte li ho imposti alla redazione, a volte no (mai con la radiocronaca) e già con questo ammetto di averesull’argomento poche idee e confuse.
Questa è una professione veramente strana, dove nessuno ha mai capito bene come si arrivi ad esercitarla dignitosamente senza subire dieci, quindici anni di umiliazioni economiche e spesso pure professionali.
Ovviamente ci sono le eccezioni: i geni (pochi) ed i raccomandati (tanti).
Avendo creato negli anni una struttura che si autoalimenta grazie agli sponsor, stasera e domani in pratica io sciopero contro me stesso, perché alla fine della fiera sono io il mio unico datore di lavoro.
Assurdo.
Dice: perché lo fai? Per non avere rotture di scatole, giustificazione di bassissimo profilo, ma onesta.
Il mio (presunto) sindacato non si è mai preoccupato dal 1993 ad oggi di trovare uno straccio di contratto a tempo indeterminato a chi come me ed altri 34 aveva vinto una prestigiosa borsa di studio indetta dal sindacato stesso e dagli editori, cioè colo che avrebbero dovuto assumerci.
Nelle emittenti private i giornali radio vengono prodotti da agenzie nazionali, le radio non solo non pagano niente per mandarli in onda, ma prendono pure i soldi per trasmetterli, perché prima e dopo i notiziari sono infarciti di pubblicità.
In queste condizioni chi mai si prende l’onere di assumere un giornalista?
Come vedete siamo una categoria piena di contraddizioni.
Oggi la maggior parte di noi sciopera per il rinnovo di un contratto di lavoro scaduto da più di un anno senza averlo mai visto neanche in cartolina un contratto di lavoro…

Nessuno ha capito bene per cosa stiano litigando in Lega o perché Garrone e Zamparini se ne siano andati.
Basterebbe solo questo per comprendere a quale livello sono (siamo) scesi ed infatti oggi sui giornali il caos di ieri è finito quasi in taglio basso, ben dopo Vieri pedinato da Moratti.
Dietro a tutto questo, un solo uomo: Antonio Matarrese, a suo modo un grande.
Perché non è da tutti essere disarcionati non ancora sessantenni dall’Olimpo ed avere la pazienza di vedere il nemico passare sul fiume per poi tornare in sella, con finta umiltà.
Mi chiedo: ma questi signori straricchi, i presidenti di calcio, come diavolo hanno fatto a pensare che Tonino fosse cambiato, che davvero non cercasse l’appoggio dei più forti per non essere di passaggio, ma definitivo?
E’ stupefacente come uomini che hanno guadagnato i miliardi (di lire) nelle loro attività buttino il cervello all’ammasso non appena rotola un pallone.
Lasciamo stare Moratti, a cui è chiaro è stata data l’Inter per evitare che facesse danni nell’azienda di famiglia, ma gli altri, i Garrone, glii Zamparini, perfino i Cellino non pensano che forse sarebbe meglio cominciare a ragionare con gli stessi criteri con cui hanno portato al successo le proprie società extra calcio?
Ma Garrone uno come Matarrese lo assumerebbe mai come manager alla Erg?
Lasciamo perdere Della Valle, che è ormai un contemplativo nelle vicende del potere calcistico, ma chi decide possibile non si sia reso conto di dove siamo arrivati?
Matarrese è quello che ci meritiamo, visto che non riusciremo mai a cambiare nella testa.

Sono uno di quei fortunati a cui Prodi, per dirla alla Tremonti, ha messo le mani in tasca.
Non è ironia la mia: mi va bene rientrare nella categoria che con la Finanziaria “sangue, sudore e lacrime” del Governo ci rimetterà qualche migliaio di Euro l’anno.
In caso contrario, quasi certamente negli anni scorsi non mi sarei potuto permettere le vacanze d’estate e la settimana bianca in inverno.
Detto questo, confesso di essermi sentito “bucherellato” dai provvedimenti: non ce n’è uno che vada a mio vantaggio, anche statisticamente un risultato così era difficile da ottenere.
Lì per lì ho provato un moto di ribellione, pensando di avere votato (un po’ turandomi il naso) per questa maggioranza, poi però mi sono confrontato con una delle architravi del mio “pensiero sociale”: avere qualcosa in meno del superfluo che ci circonda per cercare di stare tutti un po’ meglio.
Ho quindi calcolato che il salasso corrisponde più o meno alla differenza che intercorre tra un futuro modello di macchina ed un altro ed ho pensato che, sia pure non proprio felice, mi potevo anche sacrificare.
A patto però che questi soldi in più che mi prendono servano davvero ad equilibrare e alleviare i disagi delle reali sacche di povertà, che vengano ridotti al minimo gli sprechi tipici di una sinistra troppo orientata allo statalismo e che soprattutto paghi la meritocrazia e non l’iscrizione al partito (altro vizio capitale della sinistra, basta dare un’occhiata alla Rai o ai bilanci in profondo rosso dei giornali di partito).
Staremo a vedere; intanto pago, ma proprio per questo (come allo stadio) mi riservo il diritto di contestare.

Una piccola precisazione: guardate che il “mettere le mani in tasca agli italiani”, non riguarda solo chi guadagna 70.000 o 75.000 Euro, perché su questo punto si può essere tutti più o meno d’accordo (e cmq la faccenda ahimé non mi riguarda).
Le mani in tasca interessa soprattutto la ritenuta sulle obbligazioni, che passa dal 12,5 al 20 per cento.
Se io ho 200.000 Euro in Btp che rendevano 9200 Euro, adesso quelli stessi 200.000 Euro rendono 8000 Euro. In campagna elettorale avevano detto che avrebbero applicato la nuova aliquota solo sulle nuove emissioni ed invecele applicheranno su tutte.

Vabbeh, visto che lo hanno ricordato gli amici di Fiorentina.it (che è certamente molto più visitato di questo “nostro” blog), tanto vale ammettere subito le proprie responsabilità: è il mio compleanno.
Come vedete dall’ora in cui scrivo, è proprio un giorno come tutti gli altri, salvo il fatto che inevitabilmente si finisce col complilare un piccolo bilancio.
Meglio piccolo, nel senso di un anno, perché nei grandi numeri (e qui siamo già a 46…) uno finisce col perdersi tra voci attive e passive, rischiando pure un filo di malinconia.
Però ieri pomeriggio un tuffo all’indietro nel passato remoto l’ho fatto, ed è stato quando sono andato a salutare per l’ultima volta Riccardo Sarti, il figlio di Giuliano, che aveva un anno meno di me.
Da bambini, per due estati indimenticabili, abbiamo giocato a Castiglioncello e a me sembrava impossibile conoscere il figlio del grande portiere dell’Inter.
Esattamente come può succedere oggi a chi gioca con i figli di Toldo.
E’ stato tutto di una tristezza e di una dolcezza indicibile e mi è venuto da pensare ai miei compleanni da bambino, quando l’attesa per il giorno fatidico mi consumava.
Poi la sera del 27 settembre, inevitabilmente, mi rimaneva un retrogusto di delusione, forse perché era durato così poco.
Insomma, un sabato del villaggio leopardiano moltiplicato per dieci.
Ma c’è anche un altro compleanno, più recente, che non riesco a scordare.
Ero a San siro, avevamo appena pareggiato due a due con l’Inter giocando un grande calcio e restavo da solo a Milano perché lavoravo come borsista a Panorama.
Mentre gli altri ripartivano per Firenze in una giornata bellissima di inizio autunno, io ebbi la netta sensazione che a 32 anni il tempo delle futilità, il tempo in cui gli altri ti perdonano gli errori perché “sei giovane” fosse ormai definitivamente concluso.
Sarà stato un caso che proprio in quei giorni finì un amore e ne cominciò uno diverso, più forte? Non credo…

P.S. GRAZIE A TUTTI PER GLI AUGURI!! QUESTO BLOG E’ VERAMENTE NOSTRO

Mi piacerebbe conoscere gli emolumenti percepiti da Guido Rossi come commissario della FIGC e poi lo stipendio che prenderà come presidente di Telecom.
Basterebbe questo mero aspetto materiale per far capire a tutti che è impossibile sovrapporre le due cariche.
Faccio un esempio personale: sarebbe come se dicessi di sì a quella radio che da anni mi propone di dirigere la propria redazione sportiva e poi, alle 18.05, cominciassi tranquillamente a condurre il Pentasport.
Dice: ma qui non si tratta di due concorrenti, sono realtà economicamente diverse.
Peggio ancora, perché qui le due identità in qualche modo interagiscono: Telecom ha rapporti di affari con il mondo del calcio (basta pensare al recente contratto con la Fiorentina) e non si venga a dire che un conto è la Lega e un altro la Federazione, perché a uno come Galliani una distinzione del genere non l’avremmo mai (giustamente) concessa.
Quindi Guido Rossi exit, mi sembra inevitabile, ed il prima possibile.

Un quesito ben più lacerante di quello della scelta tra Liverani e Montolivo: fanno bene gli affidatari di Maria a non voler restituire (termine orrendo) la bambina di dieci anni alle autorità della Bielorussia che vogliono riportarla nel proprio Paese?
Ho sempre resistito al pressing di mia moglie, a cui sarebbe piaciuto avere un figlio in affidamento: l’ho fatto per puro egoismo, perché immaginavo quanto sarebbe stato straziante il momento dell’addio e non credo che esista allenamento mentale adeguato per vivere bene certe emozioni negative.
Ho conosciuto per interposta persona storie strazianti di orfanotrofi di Paesi dell’Est, del Sudamerica, in cui non stentavo a credere che una volta entrato lì dentro ti venisse voglia di portartene via due, tre, quattro, tutti, se fosse stato possibile.
Non a caso diversi genitori adottivi sono partiti dall’Italia con l’idea di avere un figlio e se ne sono tornati a casa con due o tre.
E però questa di Maria è una storia a suo modo diversa, atroce: si parla di violenze sessuali su una bambina di dieci anni, sul rischio che possa tornare a vivere quell’infermo.
Con il cuore siamo tutti con gli affidatari (volutamente non ho mai scritto “genitori affidatari”), ma poi bisogna pure ragionare ed ipotizzare che se passa il caso di Maria, se cioè rimane in Italia con chi adesso la nasconde, mille altri padri e madri che come me non sopportano il distacco dopo l’affidamento potrebbero fare lo stesso.
Senza contare che il caso rischia di bloccare 550 adozioni di bambini bielorussi e gettare nella disperazione altrettante famiglie da mesi, forse anni in trepidazione.
Insomma, nel nome di Maria io non so davvero quale sia la cosa giusta da fare, ma vorrei solo che non si speculasse sulla pelle di questa bambina, che ha un anno meno di mia figlia Valentina che proprio oggi va felicemente in prima media.

Un segno del destino: la prima volta che ho sentito parlare di Nick Ceccarini è stato nel 1994, quando litigò con Francesco Selvi per una questione di precedenze su un’intervista.
Aveva ragione Francesco, che all’epoca lavorava a Radio Blu, ma mi colpì come quell’altro cercava di infilarsi nel mezzo senza troppo rispetto.
L’estate successiva lo chiamai per sentire se aveva voglia di venire con me: lui mollò in trenta secondi la radio molto locale dove lo trattavano da ragazzo di bottega e cominciò la nostra avventura.
Ceccarini e Selvi, ovvero i miei fratelli minori, “quelli che mi sono venuti meglio”, come dicono a casa mia prendendomi in giro (per loro ho pure un debole giornalistico per Bardazzi e può darsi che abbiano ragione).
Ieri Ceccarini ha fatto il suo esordio come telecronista nel digitale terrestre di Mediaset, oggi aveva il campo principale nella diretta (Milan-Lazio), martedì e mercoledì sarà impegnato in Champions Leagues.
Tutto questo partendo veramente da zero, senza avere mai avuto uno straccio di raccomandazione.
Sono orgoglioso di lui, così come sono stato felice quando assunsero Selvi a Tmc, perché vuol dire che forse uno su mille ce la fa davvero, ma il caso di Nick è ancora più eclatante.
Alcuni papaveri del giornalismo fiorentino lo hanno preso in giro per anni, assicurandogli spinte che non sono mai arrivate, ma lui ha insistito, puntando su Radio Blu e soprattutto su se stesso.
Si è poi messo in gioco andando a Milano a Sport Italia e poi ai Mondiali di Germania, dove finalmente qualcuno ha capito che valeva molto di più delle decine di raccomandati che infestano le redazioni di mezza Italia.
Io per lui non ho fatto veramente niente, voglio dire a livello di raccomandazioni, anzi l’ho perfino penalizzato.
Quando? In televisione, dove, per un clamoroso errore di valutazione preferii appoggiare chi valeva la metà di Nick, salvo pentirmene amaramente.
Poteva essere assunto lui ed invece per far posto a quest’altra persona da me super sponsorizzata gli proposero un vergognoso contratto a 300 Euro al mese.
Ora posso dire che è andata meglio così, però mi ha pesato a lungo.
Abbiamo avuto scontri pesanti, molto pesanti, estremamente interessanti da studiare a livello psicologico: lui con la voglia di “ammazzare” giornalisticamente il padre, ed io con la “sindrome da tradimento”, perché non sempre mi seguiva (quando voglio, cioè quasi sempre, sono un martello pneumatico).
Grande Nick, che è riuscito a realizzare il suo sogno.
Alla faccia di tutti quelli che lo hanno preso in giro negli ultimi quindici anni e che ora pur sorridendogli davanti in cuor loro rosicano da morire.

Scusate, ma sono stato sempre stato affascinato da Lombroso e dai suoi concetti sulla fisiognomica.
Guardavo la foto di Filippo Pappalardi, il padre dei due fratellini di Gravina scomparsi nel nulla e ora indagato per questo reato, e mi dicevo: ma questo assomiglia a qualcuno!
Pensa che ti ripensa mi si è accesa la lampadina: Mario Alessi, lo stramaledetto schifoso che ha ucciso Tommy Onofri e che mi auguro sempre sia trasferito in una cella con detenuti comuni.
Confrontate le foto e poi ditemi se non c’è qualcosa di simile tra i due, sperando naturalmente che i due ragazzini spuntino fuori vivi e sani da qualche misterioso nascondiglio.

Non voglio certo santificare Giacinto Facchetti, ma non mi pare male raccontare due episodi distanti quasi trent’anni tra loro, che spiegano meglio di ogni altra cosa la persona.
Il primo risale, mi pare, al 1977, quando l’allora capitano della Nazionale venne intercettato in ritiro a Coverciano da una televisione fiorentina e braccato da un ruspante intervistatore non proprio padrone dell’uso della lingua italiana.
Quasi commosso dal fatto che cotanto personaggio gli avesse concesso l’agognata intervista ed abbagliato dall’indubbia eleganza del campione, il futuro conduttore televisivo di successo (locale) esordì così: “Abbiamo qui con noi Giacinto Facchetti in veste di cravatta…”.
Facchetti lo guardò per un attimo dall’alto in basso (per via dei venti centimetri in più), rispose sorridendo e rassegnato alle domande, e ringraziò dell’intervista il giornalista.
Il secondo episodio è della scorsa primavera, quando chissà se aveva già saputo del tumore che lo aveva aggredito.
Rissa verbale radiofonica con Mancini che qualcuno di voi ricorda dopo la sconfitta dell’Inter, arriva Facchetti e mi fa educatamente segno di lasciar perdere.
A gesti dico ok, “però mi dice lei qualcosa…”.
E così andò, con finale nuovamente polemico con Mancini che io misi a confronto con il suo presidente per la differenza di stile (lo feci volutamente a tre metri dal tecnico nerazzurro, perché sentisse bene quello che stavo dicendo…).

« Pagina precedentePagina successiva »