Lo conosco molto bene questo demone, perché sono andato vicino a rovinarmi poco dopo i vent’anni: è il demone del gioco.
Mi aveva preso, passavo le notti fino alle quattro in mezzo alle bische clandestine che c’erano a Firenze e che non avevano più segreti per me.
Col senno di poi posso dire di avere avuto una grande fortuna, la povertà.
Non nel senso che fossi indigente, ci mancherebbe, ma perché (come si dice a Firenze) non ne avevo davvero uno per far due e così i professionisti non potevano avere interesse a spennarmi, per costringermi poi a rivolgermi agli usurai.
Il mio unico bene era una Renault 5 pagata con tre anni di cambiali e queste cose, credetemi, quella gente le sa benissimo. Sanno cioè dove e come c’è da spolpare.
Infatti ho visto tanta gente rovinarsi, ma lì per lì non lo capivo: ero talmente drogato dal gioco che mi sembrava del tutto normale quello che mi accadeva intorno, compreso consolare padri di famiglia e professori di scuola media che nel 1983 perdevano due milioni in una serata.
Ricordo una vacanza a Montecarlo, io ed il mio amico Maurizio con le nostre fidanzate: tutte le sere al Casinò (io), la fidanzata si stufò e se ne andò dopo una settimana salvo tornare indietro e non trovarmi in albergo perché naturalmente ero ancora lì, al Casinò.
E’ durata un paio di anni.
Poi gli impegni sono aumentati, cominciai a studiare lavorando e, soprattutto, nel cervello deve essersi aggiunto qualche neurone in più.
Insomma, ne sono uscito senza danni, quasi da miracolato.
Mi piace ancora moltissimo giocare a poker o andare al Casinò, ma lo farò al massimo due volte l’anno.
Racconto tutto questo per cercare di spiegare l’incredibile vicenda dei giocatori coinvolti nelle scommesse, gente che ha più o meno l’età che avevo io quando buttavo via le serate e le nottate con lo chemin o il black jack.
Non capisco bene che brivido ci sia a scommettere sulle partite (ad esempio non ho mai scommesso all’epoca al totonero o sui cavalli), perché per me il bello (?) del gioco è la velocità d’esecuzione, il sapere subito se perdi o vinci, la pallina che gira nella roulette o conoscere il punto che ha in mano il tuo avversario, ma sono gusti personali.
Se hanno scommesso quelle cifre solo per avidità, per avere ancora più soldi è ai miei occhi di ex giocatore ancora più grave.
Ma se lo hanno fatto per provare quel brivido subdolo ed irripetibile che solo il gioco ti dà, allora sarà molto difficile pensare che possano smettere.
Attualità
Radio Sesto International
Saranno gli anni che avanzano, ma quando accadono cose come questa ho dei sobbalzi.
Il fatto: sono impegnato nel quotidiano tentativo di tenere il peso entro limiti accettabili (quanto odio quelli che possono mangiare tutto e non ingrassano mai…) e pedalo, pedalo, pedalo forsennatamente sulla cyclette.
In televisione (sono le sei del mattino) danno la replica di “Parla con me”, la Dandini sta intervistando Marco Baldini, straordinaria spalla di un fantastico Fiorello (se posso, non mi perdo una puntata di Viva Radio Due).
Ad un certo punto, sul finale, Marco ricorda le sue origini radiofoniche e la nomina, lei: RADIO SESTO INTERNATIONAL.
Racconta, mi pare, che non si sentiva neanche nel condominio accanto e io ho un fremito, perché quello è il posto dove tutto è iniziato più di trent’anni fa.
Di solito io ricordo che Radio Sesto International non arrivava neanche in piazza Puccini, dove abitavo, ed era vero perché era fatta ad uso e consumo dei sestesi, ma forse non di tutti.
Altro che International, ci sarebbe bastato Firenze!
Era l’ottobre del 1976, avevo sedici anni, e mi portò lì il ragazzo di una mia compagna che faceva il “ganzetto” perché era dj in questa radio misconosciuta e poi in discoteca.
Per diciotto mesi ogni lunedì portai diligentemente una cartella e mezzo sulla Rondinella e sul campionato di serie D in generale, una pappardella indigesta che veniva letta dal conduttore che non mi ricordo neanche più come si chiamava, ma che odiavo molto perché (ah, la presunzione dei giovani…) ero convinto sapesse molto meno di me.
Poi un pomeriggio, nell’aprile del 1978, il colpo di scena come nei film: quello che sa poco di calcio non arriva e mandano in diretta me senza rete.
Andai, secondo loro, benissimo, anche se io dubito che qualcuno abbia mai sentito quella trasmissione e men che mai i diciotto mesi precedenti di Rondinella e di serie D.
Mi misero quindi a condurre sempre a costo zero ed io, ingrato, a settembre li lasciai per andare a Radio Firenze 2000, dove si affacciava un pischello bravino nel lanciare i dischi: Carlo Conti.
Da lì a Radio Tele Arno, dove negli studi a Fiesole succedeva di tutto, ma proprio di tutto (gli ormoni all’epoca zampillavano…) e poi di nuovo a Sesto, ma stavolta a R6, considerata a fine anni settanta il massimo della vita.
Soldi presi in tre anni e mezzo: zero, come, ne sono certo, Baldini e Conti.
In compenso divertimento straordinario, irripetibile.
Cara vecchia Radio Sesto International, riesumata dal grande Baldini: chissà cosa fanno oggi quelli che allora lavoravano (?) là.
Buon compleanno a voi
Oggi compiamo un anno insieme.
Voglio solo dirvi grazie per la passione con cui intervenite, scusarmi per le volte che mi sono arrabbiato ed invitare chi è in malafede a non venire più a romperci le scatole con provocazioni e offese.
Ogni giorno siete più di mille, un successo davvero inaspettato, che (lo confesso) mi inorgoglisce.
Un piccolo consiglio mentre spengiamo la prima candelina: andate ogni tanto sui banner che ci sono in basso sulla destra, cliccate ed entrate in un mondo decisamente migliore del mio e, penso, anche del vostro.
Quella foto
Ci sono foto che valgono più di mille articoli: quella di oggi sul Corriere della Sera appartiene alla suddetta categoria.
Si vedono i volti imbrattati di sangue e senza vita dei bambini palestinesi morti durante l’ultimo attacco israeliano a Gaza
“Un errore”, lo ha definito Olmert, il premier israeliano, con freddezza burocratica.
Una cosa nauseante lo definisco io, un qualcosa che ti fa venire voglia di urlare, di dire che non è possibile tollerare cose del genere.
Lo so che non dovrei, ma provo un senso di vergogna, da ebreo non osservante, per quella foto.
Un senso di colpa spiegabile solo col fatto che dai 6 ai 13 anni ci avevano insegnato che eravamo noi ebrei quelli buoni e gli altri i cattivi.
Non è così, i buoni e i cattivi ci sono da tutte e due le parti in un crescendo d’odio che pare ormai senza via di uscita.
Lo avevo già scritto e mi ripeto: ma com’è stato possibile arrivare a questo?
Due Stati liberi e rciprocamente riconosciuti, è solo questa la soluzione, ma ho paura che non ci arriveranno mai.
E noi continueremo a soffrire per altre foto come quella di oggi.
Undicesimo, non bestemmiare
Questo blog serve a qualcosa.
Per esempio a farmi ragionare sul livello di imbecillità che raggiungo quando (per fortuna molto raramente) mi scappa un’imprecazione/bestemmia allorché qualcosa vada per traverso o provi un dolore fisico improvviso.
Bestemmiare è da idioti, non ci sono altri commenti da fare: non aggiunge nulla a chi pronuncia quelle parole e offende la sensibilità delle persone che credono in Dio esattamente come è da idioti provocare il popolo islamico con vignette e magliette che sbeffeggiano Maometto.
Chi lo fa scientificamente mi fa venire in mente la fase fecale dei bambini, quando cioè i piccoli per darsi un tono cominciano a dire parolacce a volontà. Parole ascoltate dai grandi e di cui spesso non conoscono il significato.
Se poi a bestemmiare è una curva intera, una delle mie due curve, è doveroso prendere le distanze da questo atteggiamento offensivo, sperando vivamente che non si debba assistere a penosi bis.
Noi fiorentini sappiamo fare molto, ma molto di meglio che offendere la sensibilità di tante persone che vengono alla stadio solo per tifare viola.
P.S. Mentre rispondevo ai vostri post mi è venuto in mente un fatto paradossale: sbaglio o questa volta, nonostante il coro incivile con bestemmia, non abbiamo beccato la solita multa?
Cioè: se insulti Carraro o Matarrese con uno striscione paghi cinquemila Euro, se insulti Dio vai liscio?
Splendidio, non vi pare?
Tanto vi si ripiglia
In nesuna altra città d’Italia avrebbero potuto pensare ad uno striscione del genere.
Se conoscessi l’inventore dello slogan, gli proporrei una collaborazione in radio perché quelle quattro parole impersonificano al meglio lo spiritaccio fiorentino, a volte insopportabile, spesso unico.
Restando nel tema, se intanto riprendiamo la Reggina sarà una straordinaria medicina per tempi più difficili contro squadre più forti.
Parlando con i giocatori, annusando l’aria che tira ho come l’impressione che ci sia in giro più leggerezza, meno esasperazione di toni e modi di approcciarsi alla partita.
Prandelli deve aver molto lavorato sulla testa dei giocatori, ma non dimentichiamo che anche per lui questa era un’esperienza completamente nuova.
Rispetto alla partita con il Catania io counque mi sento più tranquillo e non solo per i se punti nelle ultime due gare.
Ma quanto durano i governi in Italia?
La legge dice cinque anni, evidentemente si sbaglia: durano sei, a volte sette anni.
Nel 2001 Tremonti convocò un conferenza stampa a reti televisive unificate per annunciare un ammanco di non so quante migliaia di miliardi di lire (tantissime, comunque) lasciati in eredità nei conti pubblici dal suo predecessore Visco.
Era una mezza bufala, ma andammo avanti lo stesso mesi con questa storia.
Adesso, di fronte al declassamento del rating del nostro Paese da parte di Fitch, Prodi afferma serafico che è tutta colpa del precedente governo, dei conti pubblici disastrosi lasciati da Tremonti e Berlusconi.
Lui ed il suo governo sono estranei al declassamento.
Mai qualcuno che si prenda la responsabilità di quello che sta facendo e di quello che ha fatto.
In questo noi italiani non riusciremo proprio mai ad essere credibili.
Bisognerebbe spiegare a questi signori che i conti pubblici si provano a raddrizzare partendo anche dalle piccole cose.
Esattamente come in famiglia si tenta, per far quadrare il bilancio, di capire quali siano le spese superflue.
Due piccoli esempi, che poi tanto piccoli non sono: il costo vergognoso della classe politica e le sovvenzioni ai giornali.
Sul primo c’è poco da dire, basta leggere quanta gente in Italia campa con la politica.
E diversi di loro lo fanno benissimo, con stipendi che io che lavoro dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana neanche mi sogno.
La storia dei giornali invece è un po’ più nascosta, perché dovrebbero essere per l’appunto i giornali ad informare la gente comune.
Ci fu una straordinaria puntata di Report sull’argomento che spiegava tutto nel dettaglio: in pratica non si salvava nessuno tra i giornali legati a partiti e movimenti politici.
Erano una miriade, alcuni che neanche arrivavano in edicola, tutti che perdevano a bocca di barile e che ricevevano milioni di Euro di contributi dallo Stato, cioè da noi, per pagare stipendi a giornalisti che immagino frustrati nel sapere nessuno o quasi li leggerà mai.
Sopravviveremmo senza l’Unità, il Secolo d’Italia, l’Umanità, Europa, la Padania e via a seguire? Penso proprio di sì.
E allora bisognerebbe spiegare a Prodi che sarà pure colpa di Tremonti, ma intanto cominci a fare pulizia dei rami secchi e mortiferi che si ritrova in casa.
P.S. Sono passati più di sei mesi dalle elezioni e ancora non c’è traccia di una legge sul conflitto di interessi. L’altra volta passarono invano cinque anni, adesso quanto dovremo attendere? Berlusconi aspetta e sorride…
Chi rinuncia ai soldi?
Domanda vagamente retorica: ai soldi non rinuncia nessuno, figuriamoci in un mondo avido e di principi morali tendenti allo zero come quello del calcio.
E allora voglio proprio vedere come andrà a finire questa storia dei diritti collettivi televisivi.
Qui ci sono società che hanno firmato contratti straordinari fino al 2010, quando questi contratti era possibile firmarli e che adesso dovrebbero rinunciare (almeno a quanto si capisce dal guazzabuglio di dichiarazioni presidenziali e ministeriali) al 50% degli introiti, che poi sarebbero distribuiti tra tutti.
Come direbbero a San Frediano: sì, li hai belle visti!
Questi son capaci di andare alla corte europea o ad imitare Bondi nello sciopero della fame pro Mediaset.
Col contratto lungo ci sarebbe pure la Fiorentina, ma a cifre lontane anni luce da Juve, Milan, Inter e anche Roma e Lazio.
Sono convinto che Della Valle sarebbe uno dei pochi pronti ad accettare una vera equa distribuzione delle risorse, se non altro per coerenza, visto che poi è stata la “madre di tutte le battaglie”, con le conseguenza che tutti amaramente conosciamo.
Insomma, sono molto curioso di vedere cosa imbastiranno Tonino Matarrese e la bella ministra Melandri, diventata un po’ troppo loquace da quando l’Italia ha vinto i Mondiali.
A proposito, ma avete notato che da più di un mese non si sente più parlare di Guido Rossi? O come farà a resistere a questo periodo di oblio?
Mi aspetto da un momento all’altro una sua intervista bomba sui mali del calcio che lui avrebbe certamente risolto (magari assegnando preventivamente all’Inter lo scudetto 2006/07).
Scusate se rispondo solo ora ai messaggi, ma è stata una giornata molto “intensa”.
Come dicevano nei cartelli sull’autostrada: stiamo lavorando per voi, a gennaio ne saprete di più…
Un ragazzo volubile
Confesso di aver visto le prime quattro partite della Juve in B col gusto sadico di chi si prende una rivincita dopo trent’anni di sofferenze.
Ora mi sono stufato: vincono sempre, sono bravi e hanno persino dirigenti affabili e disponibili (Secco e Cobolli Gigli).
E hanno soprattutto a rappresentarli uno di loro, uno che ha sempre tifato Juve, uno che “il mio sogno è sempre stato quello di vestire questa maglia”.
Si chiama Valeri Bojinov, esattamente come quello che il primo maggio scorso mi telefonò per chiedermi come mai in televisione io avessi attaccato la sua vita privata e la sua storia con la cantante bulgara.
Era andata proprio all’opposto: io avevo difeso Bojinov dagli attacchi di Agroppi sulle frequentazioni dell’attaccante viola, dicendo che a noi doveva interessare solo il campo (dove faceva poco, veramente poco).
Ma si vede che qualcuno dei cortigiani che lo circondava deve avere un po’ confuso le voci, oppure gli ha riferito male apposta.
Questo nuovo profeta del verbo juventino, che fa il verso a Toni quando segna e che ha eletto Buffon, Nedved e Del Piero a propri modelli, ha pure una curiosa somiglianza fisica con quel ragazzo bulgaro strapagato dalla Fiorentina venti mesi fa che si fece tatuare il simbolo del Collettivo a simbolo del suo indistruttibile amore per Firenze.
Se è il fratello gemello tutto si spiega.
Se invece, per imperscrutabili ragioni delle umane vicende, si trattasse della stessa persona bisognerà smetterla di accusare il genere femminile di volubilità.
Nel calcio, specialmente dalle parti della Bulgaria, c’è chi fa molto, ma molto di più.
Le gambe spezzate
Nel febbraio del 2001, alle 21 circa, squillò il mio cellulare, Valentina corse per rispondere, ma l’anticipai, forse presagendo qualcosa.
Era il giorno dopo la lite tra Antognoni e Sconcerti a Canale Dieci, una trasmissione che diressi molto male, ma con imparzialità.
“Ti sei messo contro chi non ti dovevo mettere, attento che ti spezziamo le gambe”, mi fu detto da un tizio probabilmente giovane, sicuramente con accento fiorentino.
Rimasi scioccato, ma sorrisi a Valentina (sei anni), dicendo che avevano sbagliato numero.
Il lunedì successivo Antognoni, che già in televisione mi aveva etichettato come appartenente al “Clan dei marsigliesi” dichiarò a Lady Radio che io puntavo a diventare l’addetto stampa della Fiorentina e che comunque di me non si occupava troppo perché “non gli interessavano i pesci piccoli”.
Fecero uno striscione a Bari con scritto “Guetta circonciso”: più stupidi che offensivi.
Mi arrivarono a casa due lettere: in una c’erano tre svastiche e varie offese antisemite, nell’altra ancora la minaccia di spezzarmi le gambe.
Feci denuncia contro ignoti ai Carabinieri di Grassina, dopo sei mesi mi chiamarono e mi dissero che il pubblico ministero aveva deciso di archiviare tutto.
Oggi sono soddisfatto di sapere che almeno a Roma c’è qualcuno che si è mosso contro questi bastardi che abitano in ogni città, che fanno della violenza un mestiere e che prosperano nell’illegalità facendo finta di amare una squadra di calcio.