Attualità


Ho avuto l’ennesima dimostrazione di quanto la radio sia più molto più affascinante della televisione.
Pochi minuti fa ho ascoltato l’appello di Daniele Mastrogiacomo e sono sicuro che le sue parole avrebbero avuto meno effetto se le avessi udite in televisione, abbinate all’immagine.
Così invece sono rimasto sorpreso dal tono di Mastrogiacomo: caldo, rassicurante, protettivo con gli altri prigionieri e soprattutto verso la moglie ed i figli Alice e Michele.
Sembrava che stesse parlando dal salotto di casa sua invece che dalla prigione afgana e davvero mi sono detto che non siamo proprio tutti uguali noi giornalisti.
Pensavo alle mie battaglie “epocali” combattute per raccontare la Fiorentina in diretta, ai mezzucci usati dai tanti che sono cresciuti senza gavetta e che pensano di essere chissà chi, ai coraggiosi che spiano dal buco della serratura i vizi dei potenti, a tutti quelli che si sentono star dopo un paio di comparsate in televisione.
Che mestiere strano il giornalismo: con Mastrogiacomo siamo iscritti allo stesso Ordine e se parliamo l’uno dell’altro magari ci definiamo pure colleghi.
Solo che mentre lui racconta da 23 anni le guerre del mondo e ora non sa se rivedrà mai Alice e Michele, io mi prendo del mitico o dell’idiota a seconda di come viene giudicato il mio atteggiamento al telefono con Guidolin.

Sono da tre ore a Palermo ed è sorprendente constatare come non sembri nemmeno che la squadra sia in piena corsa per la Champions.
Avverto una sorta di disaffezione un po’ a tutti i livelli e stavolta non c’è neanche il collante Toni ad unire una tifoseria che probabilmente avrebbe bisogno di un allenatore più trascinante di Guidolin e di un presidente meno umorale di Zamparini.
Davvero pare che della sfida con la Fiorentina non freghi niente a nessuno, mentre io ricordo l’entusiasmo nell’anno della B (quando ci dettero una lezione), ma forse esiste una spiegazione che va al di là del tecnico e del presidente.
Prima dell’arrivo di Zamparini, che comunque sia ha dato una nuova dimensione alla squadra, da queste parti i “soli” tifosi del Palermo non erano tantissimi.
Voglio dire che a tutti faceva piacere se i rosanero vincevano, ma stando in B o in C tanti cuori palpitavano per le solite grandi e non è un caso che quelle tre siano venute qualche volta a giocare qui in Coppa.
Una domanda a questo punto sorge spontanea: come sarebbe andata a finire da noi, se invece dei Della Valle avessimo dovuto sopportare dieci o quindici anni di pellegrinaggio tra B e C?
Quali e quanti danni ci sarebbero stati nelle nuove generazioni di tifosi?

“Ma come? – mi dice Valentina – invexe di stare con noi a casa a vedere un bel film, vai a sentire quella musica preistorica?”.
Benedetta e adorata ragazzina: ancora tre anni e poi sarai convertita anche te alla musica di Guccini, esattamente come successe a me quindicenne nel momento in cui ascoltai per la prima volta “Incontro”.
Una folgorazione, un amore a prima vista che dura ancora.
Basta solo avere la pazienza di seguirlo attentamente, Guccini, di percepire la poesia delle sue parole per capire che è unico, inarrivabile.
Credo che sia rimasto l’ultimo rito collettivo a cui partecipo.
I Mondiali di calcio ormai mi piace più vedermeli da solo, allo stadio sono 25 anni che parlo invece di soffrire la partita e ai concerti non vado da una vita.
Agli altri concerti.
Perché quello di Guccini è qualcosa di speciale, pur essendo quasi irriverente nella sua ripetitività.
Si comincia con “In morte di S.F.” e, non ti puoi sbagliare, si finisce con il trittico nostalgia: “Auschwitz”, “Dio è morto”, “La locomotiva”.
Mai un bis, molte più chiacchiere di un tempo, anche perché a 67 anni non si possono certo pretendere prestazioni mirabolanti sul palco.
E poi quel senso di vaga insoddisfazione con cui te ne vai via, perché avresti voluto sentire almeno altre dieci canzoni imperdibili secondo te che però lui non ha cantato.
Ma quando l’anno prossimo, o quello dopo ancora, Guccini tornerà a Firenze, io tornerò a vederlo, magari con Valentina.

Sta finendo l’otto marzo e improvvisamente mi sono accorto che non ho comprato nemmeno una mimosa alle mie donne.
E’ stata una dimenticanza, la prima della vita, ma non ho notato malumori, forse perché sono tutte e tre molto impegnate tra pupi e influenze.
Non so, mi sbaglierò, ma ho come l’impressione che ci stavolta sia stata un po’ meno voglia di ostentarla questa festa della donna.
Mi mancano i numeri e le cifre degli incassi di chi organizza spogliarelli di fustacchioni (tristi quanto i “puttan tour”) o cene solo tra donne, ma forse qualcosa sta davvero cambiando.
E’ che mi pare e spero che noi uomini del ventunesimo secolo le abbiamo finalmente cominciate a rispettare le donne, ad amarle nella loro straordinaria diversità.
E non ci dovrebbe essere bisogno di quote rosa o di feste santificatrici per affermare una banalità: abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri, indipendentemente dal sesso.
Certo, poi Cosimo la notte piange svegliandosi di continuo e Letizia non dorme sei ore di seguito da oltre quaranta giorni e allora mi vengono quei vaghi sensi di colpa che cerco di affogare nel lavoro e nel tentativo di regalare benessere materiale e psicologico agli altri componenti della famiglia Guetta.
Forse trent’anni fa mio padre pensava che fosse giusto così, che le donne dovessero faticare il doppio o quasi: almeno in questo un passo in avanti lo abbiamo fatto.

L’età che avanza ruba molto, ma qualcosa ti regala, per esempio l’esperienza.
E così accade che ieri sera vedendo l’ignobile rissa del Mestalla ho pensato subito: devono aver detto a Burdisso qualcosa di offensivo, qualcosa di irriferibile che coinvolge sua figlia, per lunghi mesi in pericolo di vita a causa di una grave malattia, ora pare, per fortuna, superata.
Oggi dal mio amico Francesco Toldo ho avuto la conferma che è andata proprio così, che hanno messo di mezzo la famiglia e tutto questo è veramente ignobile e schifoso.
Fra l’altro il Valencia si era appena qualificato e quindi le infamanti parole sulla figlia di Burdisso, che non avrebbero comunque trovato alcuna giustificazione, non si spiegano neanche con la rabbia per il risultato.
Poi è chiaro che tutto è degenerato, che in tanti hanno perso la testa e che ci vorranno punizioni esemplari. Però, credetemi, la provocazione a Burdisso (che proprio per stare accanto alla figlia smise di giocare per otto mesi) fa più male dei cazzotti.

Visto che questo blog è anche un modo per entrare (oh, entro un certo limite) nei fatti miei e un po’ nei fatti vostri, vi do la situazione in tempo reale di casa Guetta in modo tale che possiate capire perché ad un certo punto ho smesso di rispondere ai post.
Il presunto capofamiglia (molto presunto…) è in un letto di dolore (come al solito la prendo leggera…) da più di un giorno per l’influenza e passa la maggior parte del tempo a fare i calcoli per vedere se ce la fa ad andare domenica allo stadio, magari imbottito di tachipirina.
La mamma dei tre pargoli avrebbe la febbre anche lei, ma siccome non appartiene, come si può facilmente intuire, al genere maschile, si alza e, nonostante che pare abbia partorito una decina di giorni fa, si muove a tutto campo.
Le pulzelle si palleggiano i colpi di tosse ed il raffreddore, mentre Cosimo dorme e mangia bello beato e senza capire il dramma interiore del babbo, che contro l’Empoli potrebbe lasciare il microfono all’ottimo Bardazzi.

Siamo un Paese da operetta e ci meritiamo come Presidente del Consiglio il più grande e geniale imprenditore europeo del tempo libero.
Non ci sono più parole per definire quell’accozzaglia di gente che ha preso in giro gli elettori di sinistra, facendo credere loro di essere pronti a sostenere un programma comune.
Questo è il bis del 1998, allora fu un voto, adesso due, ma non cambia la sostanza: buffoni.
Certo che anche noi gente moderata, orientata a sinistra per un senso etico della vita e quindi dello Stato, in definitiva di minore dislivello tra le persone, siamo stati proprio furbi a fidarci di una coalizione che presenta nello stesso schieramento Caruso e Mastella (meglio comunque il secondo del primo).
Sono irresponsabili, soprattutto ora che l’economia è tornata a tirare e di tutto avremmo avuto bisogno tranne che di un Paese ingovernabile.
L’unica consolazione è pensare che se andiamo presto alle urne (e vincerà Berlusconi, è quasi certo), tutti quelli che oggi siedono in Parlamento, e che totalizzano una percentuale di assenze da primato mondiale, non avranno diritto al vitalizio pensionistico perché non sono passati i fatidici due anni dalle elezioni del 2006.

Il capitano della Sampdoria, fiorentino di nascita ed ex giocatore viola Francesco Flachi, e’ stato trovato positivo per un metabolita della cocaina, la Benzoilecgonina, al controllo antidoping effettuato dopo Samp-Inter dello scorso 28 gennaio (2-0 per i nerazzurri il risultato, con Flachi in campo per i primi 69′).

Aspettiamo, ma mi viene fuori una sola domanda: perché?
Dispiace perché lo sentiamo ancora uno di noi, perché gli vogliamo bene e perché non esiste un solo motivo per cascare dentro un’imbecillità del genere.

Padroni di non crederci, ma sarò molto emozionato questa sera quando tornerò a parlare nel luogo dei miei fantasmi infantili, la palestra della scuola ebraica fiorentina.
Presenterò insieme a Davide Sadun un libro bellissimo e amarissimo: “Dallo scudetto ad Auschwitz” di Matteo Marani, brillante penna del Guerin Sportivo, che si è fatto tre anni di ricerche per raccontare la storia di Arpad Weisz, geniale allenatore ebreo ed ungherese degli anni trenta, deportato ed ucciso ad Auschwitz.
Sarò emozionato perché mi ricorderò certamente dell’angoscia con cui aspettavo di recitare da bamabino i miei trenta secondi di poesia e dire una o due battute nella recita scolastica (mai avuto un ruolo da protagonista, un po’ per via della erre moscia e molto per la scarsa attitudine al palcoscenico).
Dopo quasi 35 anni ci voleva proprio qualcosa di speciale per farmi tornare sul luogo del delitto e questo libro vi assicuro che lo è perché spiega meglio di cento dibattiti molte cose sul razzismo.
In tutti i sensi e non solo contro gli ebrei.
L’ingresso è libero e mi farebbe piacere incontrare in via Farini qualcuno di voi.

Stasera al Pentasport andrà in onda uno speciale di novanta minuti dedicato all’unico campione che dal 2000 in poi era ancora capace di emozionarmi, Roberto Baggio.
Io ho avuto l’idea (poco originale per la verità, visto che domenica compie 40 anni) e ho fornito contributi d’epoca preziosissimi, il resto è tutta opera dell’ingegno e del lavoro di Ernesto Poesio, che è rimasto tre giorni barricato a Caldogno.
Baggio non ha parlato al microfono, ha solo detto a Poesio di abbracciare per lui Firenze e di salutarmi.
E qui rivelo un piccolo aneddoto: insieme al fisioterapista Pagni sono stato l’unico ad essere “omaggiato” di una prefazione di Roberto per un libro.
Successe nel febbraio 2003 con “La mia voce in viola”.
Io chiamai Petrone, il suo procuratore, e posi la richiesta.
Lui, Petrone, mi fece capire che non c’era niente da fare, era un’impresa impossibile, salvo poi richiamarmi dopo due giorni per dire che Baggio aveva accettato, sicuramente in memoria dei nostri comuni trascorsi fiorentini.
La cosa incredibile è che io Roberto non l’ho mai visto, tutto è avvenuto via email: bozze del libro, sua prefazione e correzioni.
E un anno dopo mi fece sapere che avrebbe regalato la sua divisa a quel tifoso viola afflitto dalla SLA che stravedeva per lui.
Anche in quel caso tutto avvenne tramite una comune conoscenza, Freanco Boldrini.
Di Baggio, fisicamente, nemmeno l’ombra.
Racconto queste cose per spiegare come Roberto esca completamente dalla tipologia del calciatore medio: potrebbe guadagnare quello che vuole con la pubblicità o con le ospitate, ma preferisce portare i figli a scuola, aiutare il padre Florindo nel sistemare i pali della porta del suo vecchio campetto e vivere molto sereno.
Stasera non perdetevi questo tuffo nel passato, io non ho sentito niente, ma ci sarà da divertirsi.

TRASMISSIONE STRAORDINARIA, GRANDISSIMO POESIO, CHE HA LAVORATO UNA SETTIMANA FACENDO SPESSO LE DUE DI NOTTE PER ARRIVARE AL RISULTATO CHE AVETE ASCOLTATO.
VERAMENTE BRAVO, FORSE ABBIAMO UN CAVALLO DI RAZZA IN PIU’ A RADIO BLU

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