Attualità


Io da venerdì mi vergogno di essere italiano e uomo.
Passerà certamente, ma al terzo giorno, e dopo la carneficina di uomini che ammazzano le donne, ho deciso di pubblicare per i più distratti che non avessero letto la notizia.

Le mogli che hanno un carattere “forte” e che non si lasciano “intimorire” dal clima, comprensivo di percosse, al quale le sottopone il marito corrono il rischio di vedere assolto il coniuge dal reato di maltrattamenti proprio per via della fermezza della loro forza d’animo. La Cassazione ha annullato la condanna a otto mesi di reclusione nei confronti di un marito accusato di aver maltrattato la moglie per tre anni. Dinanzi alla Suprema corte il marito aggressivo ha sostenuto con successo che non si trattava di maltrattamenti in quanto la moglie “non era per nulla intimorita” dal comportamento del coniuge, ma solo “scossa, esasperata, molto carica emotivamente”.
In particolare Sandro F. (45 anni) era stato condannato in primo grado dal tribunale di Sondrio, nel settembre 2005, e anche la Corte d’appello di Milano, nell’ottobre 2007, lo aveva ritenuto colpevole di maltrattamenti ai danni della moglie Roberta B. condannandolo a otto mesi di reclusione con le attenuanti generiche. Ad avviso della Corte d’appello “la responsabilità dell’imputato era provata sulla base di sue stesse ammissioni, anche se parziali, e sulla testimonianza di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale” della moglie, sottoposta a “continue ingiurie, minacce e percosse”.
Sandro F. ha sostenuto che non era stata ben considerata la circostanza che sua moglie “per ammissione della stessa di carattere forte, non fosse intimorita dalla condotta del marito”. Secondo l’uomo, in sostanza, i giudici avevano “scambiato per sopraffazione esercitata dall’imputato” quello che era solo “un clima di tensione fra coniugi”. La Cassazione – con la sentenza 25.138 – ha dato ragione a Sandro F. rilevando che non si può considerare come “condotta vessatoria” l’atteggiamento aggressivo non caratterizzato da “abitualità”.
I fatti “incriminati” in questa vicenda – prosegue la Cassazione – “appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di tre anni (per i quali la moglie ha rimesso la querela), che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione” necessaria alla configurazione del reato di maltrattamenti. “Tanto più che – conclude la Cassazione – la condizione psicologica di Roberta B., per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente”. Così la condanna a otto mesi è stata annullata “perché il fatto non sussiste”.

E dai confessiamolo che questo prolungamento senza fine dei disastri del signor Felipe Melo, quello che aspettava istruzioni da Dio per decidere se passare o meno alla Jucentus, ci fa godere come matti.
E’ come se vedessimo ogni volta Secco che consegna il mega assegno da 25 milioni di euro a Pantaleo Corvino per avere in squadra un “manovale” del calcio, come lo direttore sportivo viola ha detto a caldo dopo i disastri sudafricani.
La follia su Robben non è molto diversa dal colpo di solo di Lecce nel 2009, dal far west negli spogliatoi di Fiorentina-Cagliari e da tutta una serie di atteggiamenti da bullo tenuti nella stagione in viola.
Ma la cosa più bella è ciò che il nostro ineffabile Felipe ha dichiarato a fine gara: “Adesso penso solo alla maglia della Juve, una squadra in cui ho sempre sognato di giocare”.
A Torino ci sono state scene di panico.

Scrivo a freddo e facendo una carellata su tutte le mie precedenti delusioni mondiali.
Mi ricordo vagamente di quella del 1966, mentre ho un’immagine nitida di come ci buttò fuori la Polonia nel giorno in cui, eravamo nel 1974, Valcareggi fu molto coraggioso, ed escluse Riva e Rivera, sinceramente inguardabili.
C’era un rigore su Anastasi in quella gara non fischiato e giocammo maluccio, ma mai ai livelli di ieri in cui abbiamo mandato in campo una squadra che era un misto di bamboccioni (e purtroppo lo è stato per una gara pure Montolivo) e bolliti.
Una cosa nauseante, che non ammette scusanti e che, è vero, è stata molto peggio della Corea.
Roba che il 1986 di Bearzot, con la stessa storia della riconoscenza ai Campioni del Mondo, era cento ori e comunque arrivammo agli ottavi.
La delusione è fortissima, ci perde tutto il calcio italiano, anche se c’è oggi chi esulta.

La immagino lassù, con la sua aria vagamente minacciosa, che se la ride per il fatto di rompere le scatole anche da morta.
Che gran regalo ha fatto a Manuela la Fiorentina a non andare al funerale, ad ignorarlo del tutto: si è scatenato il mondo e le parole più ricorrenti sono vergogna e indignazione.
Una tempesta mediatica che la farà divertire moltissimo e che la metterà anche in imbarazzo, perché in fondo in fondo (ma proprio in fondo…) era una timida, o comunque viveva con gran pudore ogni vicenda personale messa sotto la luce dei riflettori.
Ciao Manu, oggi c’erano davvero solo quelli che ti volevano bene.

Per tanti anni l’ho temuta, lei così aggressiva, così in prima linea, così giusta in un mestiere maschilista per vocazione.
C’è un episodio che spiega questo sentimento meglio di ogni altra cosa: Madrid, settembre 1989, tutti i giornalisti in giro per la città ed io angosciato come sempre per il telefono per la radiocronaca.
Il mio va bane, la sua linea invece ha dei problemi, ma lei non lo sa e io risolvo la situazione e poi sono quasi intimidito nel dirglielo.
Poi, dal 1992, quando mi è capitato di lavorare con lei, le ho voluto bene, con molto pudore (perché tra giornalisti queste cose è bene non dirsele) e sono sicuro che anche lei me ne voleva.
Manuela ha vissuto da spettatrice le mie evoluzioni sentimentali, mi ha spronato a non perdere mai il sogno di diventare “solo” un giornalista, mi prendeva in giro per la mia debolezza con la Fiorentina per via dei diritti radiofonici.
Era una donna unica, che non voleva mai parlare della sua malattia e guai a chi provava a compatirla.
Solo un mese fa parlava ancora in radio e in televisione e nella sua ultima uscita diceva, dal suo letto di ospedale, di stare su col morale, di tornare a sorridere anche se era andato via Prandelli.
Eccezionale nella grinta e nella coerenza, sempre in buona fede, anche quando sbagliava.
Mi mancherà molto e sono convinto che mancherà anche a chi non la pensava come lei.
Ciao Manu, ti dobbiamo tutti tanto.

La vera ricchezza non è possedere patrimoni immensi, ma potersi permettere le piccole cose che ti piacciono, e piacciono alle persone a cui vuoi bene, senza stare ad angosciarsi se arrivi o non arrivi alla fine del mese.
In questo sono molto fortunato oggi, senza essere stato mai troppo angosciato quando non ne avevo, come si dice a Firenze, uno per far due.
Succede così anche per Radio Blu, da sempre qualcosa di più che un lavoro.
E così ieri mattina mi sono detto che ero stufo di sentire sempre parlare di fare qualcosa per gli altri sport fiorentini che agonizzano, quando non sono già seppelliti.
Per esempio la pallanuoto femminile, che nonostante scudetti e coppe, versa da anni in uno stato finanziario disastroso.
E allora ho deciso che potevo “permettermi” una piccola pazzia fuori budget: trasmettere la gara decisiva per lo scudetto a Catania senza la minima copertura pubblicitaria.
Non è la Fiorentina e non so che ascolti avremo, ma intanto c’è questa piccola rivincita del calcio mondiale che alle 18.15 farà da apripista alla radiocronaca di quella che speriamo che non sia l’ultima gara di queste bravissime ragazze.
E’ anche qualcosa che devo a Gianni De Magistris, ma ci ho pensato dopo.
Lui certamente non se lo ricorda, però io sì.
Nel 1978, da Campione del Mondo, accettò l’invito di un perfetto sconosciuto da poco maggiorenne per venire a parlare per un’ora di sport in uno scantinato, che era poi la sede di Radio Sesto International, la mia prima radio che a dispetto del nome si faticava a sentire anche in piazza Puccini dove abitavo.
Un anno dopo la sua Porsche venne abbattuta dalla mia terrificante ed enorme K70 di terza mano guidata da un mio amico a cui, in mancanza di meglio, l’avevo imprestata come alcova e che non aveva rispettato uno stop.
Lui, un po’ contuso, rimase fuori per due partite, il fratello Riccardo intervenuto sul posto voleva cambiare i connotati del mio amico e a quel punto fu provvidenziale lo stop di Gianni, che riportò tutti alla calma.
Era una vita fa, eppure mi sembra ieri.

…che poi sarei io.
Eh sì, sulla storia della Nazionale sono andato un po’ lungo, invitando quelli che tifano contro l’Italia a restarsene a casa.
Pessimo concetto di democrazia, lo ammetto e mi scuso.
Ma su tutto il resto confermo: tifare contro la propria Nazionale è assurdo e se uno va allo stadio a vederla con una maglia che non è quella della nostra squadra lo può tranquillamente fare, così come mi piacerebbe vedere altri colori e altre bandiere anche quando gioca la Fiorentina.
Se invece uno fa il saluto fascista, allora, oltre ad essere un idiota, è un mentecatto che commette pure un reato, ma le mani si tengono in tasca.
Sempre e comunque.

Vado in piazza Savonarola, antico luogo della mia gioventù, con decine di partitine giocate tra le panchine, per partecipare alla manifestazione “Drink or drive” organizzata dal trascinante Matteo Lucherini.
Saluto un po’ di persone e ad un certo punto vedo il mio amico Domenico Mugnaini parlare intensamente con un signore.
Mi avvicino e me lo presenta: era il babbo di Lorenzo Guarnieri, il ragazzo morto in un incidente in motorino causato da un disgraziato in stato di ebbrezza.
Mi sono bloccato e ho poi ammirato l’enorme forza interiore di quest’uomo, che avrà più o meno la mia età, e che ha saputo tirare fuori da un dolore che non finirà mai una serenità spaventosa per spiegarci cosa sia giusto fare per evitare altri dolori.
Una lezione bellissima e amara per noi così attaccati alle nostre miserie quotidiane.

Clamoroso in casa Guetta: una figlia (Camilla) ha seguito un avvenimento sportivo in tv dall’inizio alla fine, non sbuffando mai e appassionandosi pure.
Unica licenza presa e concessa, salto del telecomando su Disney Channel ai cambi di campo, ma per il resto siamo rimasti due ore incollati davanti alla televisione, sulla punta del divano al tie-break, con Camilla che gufava per il doppio fallo in alcuni momenti (e nel primo set è pure servito).
Grandissimo pomeriggio di sport, un’emozione unica per chi come ricordava perfettamente l’anno d’oro di Panatta, ma questo è stato ancora più bello perché inaspettato.
Eccezionale Francesca, ce l’avevo io da Grassina il braccino quando era lei alla battuta…
Non ha sbagliato niente e mi ha fatto sentire orgoglioso di essere italiano.

Premesso che sono assolutamente contrario alla legge che limita brutalmente le intercettazioni, davvero non riesco a capire a che titolo gli Stati Uniti, attraverso il sottosegretario alla giustizia Breuer (quindi un signore che conta molto meno di Alfano), si permettano di mettere il naso nella nostra legislazione bocciando la nuova norma.
La cosa più triste è che una frase del sottosegretario americano diventa l’apertura di diversi giornali italiani.
Ecco, a me piacerebbe che domani il ministro Frattini commentasse con lo stesso tono di condanna ciò che avviene in diversi Stati della super civilizzata America a proposito della pena di morte, applicata senza troppi problemi dai vari Governatori.
E invece no, noi siamo qui a logorarci nei dibattiti e ad enfatizzare le decisive frasi dello stimatissimo signor Breuer.

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