Attualità


Sono un ebreo con ben poche radici: non osservo neanche un precetto e ho da sempre le idee piuttosto confuse su quello che succederà quando ci chiameranno dall’altra parte.
Uno dei sentimenti più terribili dell’essere nati ebrei è quel senso di ineluttabilità che ti entra nell’anima fin dai primi anni di vita.
Ti raccontano che “siamo” stati spesso perseguitati, per tantissimi anni emarginati, alla fine sterminati in sei milioni e tu cresci con dentro questo fatalismo tragico, questo senso della catastrofe che ti accompagnerà sempre nel corso della tua vita.
Poi c’è l’antisemitismo, dichiarato o strisciante con cui non sai mai bene come confrontarti, cosa dire e cosa fare.
E se prendi fuoco quando uno stronzo che passa per guru dell’ambiente viola ti minaccia con “ebreo di merda, vengo lì a staccarti la testa”, poi non sai mai come reagire quando senti le battute sulla taccagneria o altro.
Ridi?
Controbatti?
Col tempo ti si forma dentro una specie di corazza, ma molle, quasi gelatinosa, che magari assorbe i colpi senza però respingerli.
Ecco perché non reagisci come dovresti (cioè ti dovresti incazzare di brutto) anche quando leggi di un attentato ad una scuola ebraica nella vicina Francia.
Dai la cosa come possibile in questa vita, perché ormai siamo (sono) abituati a tutto, soprattutto al peggio.
Ma quando senti che questi bastardi sono stati capaci di inseguire una bambina di otto anni, che scappava terrorizzata, ed ucciderla in una spietata esecuzione, allora riesci a svegliarti dal sonno del “tutto visto” e ti viene da piangere.

Dunque Marco Bruno, il “simpatico” No Tav che ha pesantemente insultato il coetaneo carabiniere invitandolo a sparare, si ispira a Peppino Impastato, il ragazzo fatto a pezzi dalla mafia il 9 maggio 1978, lo stesso giorno in cui ritrovarono il corpo di Aldo Moro.
A me pare un insulto alla memoria.
“Ho agito per paura”, ha detto Bruno, ma non spiega di che cosa.
Povero cucciolo, anzi: povera pecorella smarrita, rifacendosi al suo linguaggio dileggiante.
C’è una parte del nostro Paese che ragiona stereotipi, per loro il signor Marco Bruno è un eroe e non importa quello che fa o quello che dice.
Conta solo essere contro e allora io mi chiedo quante persone sappiano esattamente per cosa si protesta e quante invece, penso la stragrande maggioranza, abbiano di tutta questa vicenda solo una vaga percezione, perché il tutto è assorbito dell’eco degli scontri e dalla violenza dei dimostranti.
Davvero un bel servizio per la propria causa.
E in quanto al signor Marco Bruno, tranquilli: tra poco verrà fuori che è un bravo ragazzo, magari che fa del volontariato e che in fondo bisogna capirlo.
Voi ci riuscite?

P.S. A me sembra che alcuni di voi e non io vedano il dito e non la luna.
Non ho elementi per giudicare se sia giusta o meno la protesta NO Tav, io non ho parlato delle ragioni delle parti.
Il post si riferisce al gesto idiota di uno che poi dice di ispirarsi a Peppino Impastato, un ragazzo morto per i suoi ideali e a cui una cosa del genere non sarebbe nemmeno passata per l’anticamera del cervello.
Se poi è un bravo ragazzo (immaginavo che sarebbe venuta fuori la solita retorica italica) e ha un figlio, questo non cambia la sostanza della questione: è diventato un personaggio per avere insultato un carabiniere.
E io questo non lo posso accettare, per rispetto dell’Italia e di chi è preposto alla nostra sicurezza.

Io trovo assolutamente fantastico che ieri un gruppo di persone abbia passato insieme una giornata solo perché uniti da questo blog: davvero grazie a tutti voi.
Mi pare la migliore risposta a me stesso, a quando mi chiedo chi me lo faccia fare di impegnarmi così tanto (non ho nessuno che legga e passi i post, com’è giusto che sia), di arrabbiarmi, di sentirmi dire che verrò querelato.
Senza contare le offese e le minacce (era questo ciò a cui mi riferivo quando parlavo del clima intimidatorio post presentazione di Olivera), le difficoltà di rapporti che questo blog mi ha creato e mi crea nel lavoro quotidiano.
Ultimamente sono stato costretto ad invitare alcune persone ad uscire dalla nostra piazza virtuale, l’ho fatto veramente di malavoglia, ma non vedevo e non vedo altre soluzioni perché su certe cose non posso fare compromessi.
Se davvero qualcuno dialoga con me e pensa che io sia in malafede (o prevenuto, non mi sembra molto differente), beh allora credo che non sia giusto per nessuno continuare la conversazione: è un atto di rispetto per me, ma anche per l’interlocutore, che non dovrebbe perdere così il proprio tempo.
Mi spiace che alcuni di voi non abbiano capito lo spirito che anima il blog, che è poi logicamente il mio spirito: io non ho mai considerato il calcio una specie di ultima frontiera, qualcosa su cui confrontarsi con stati d’animo da guerra civile.
Si può discutere, avere delle simpatie o delle antipatie, ma c’è un limite che non va sorpassato e se io ho fatto a volte questo errore con qualcuno di voi in alcune risposte piccate, vi chiedo scusa,: è che non tutti i giorni sono uguali e la pressione è tanta, specialmente in tempi non proprio felicissimi come quelli che stiamo vivendo.
Il mio sogno è un’apertura mentale a 360 gradi, una piazza virtuale in cui si sia in grado di commentare gli eventi partendo da zero a zero ed è per questo che continuerò a scrivere “quando posso e come posso, quando ne ho voglia, senza applausi o fischi”.

E’ da ieri che convivo con una sensazione fastidiosa: sono d’accordo con Bossi.
Sto parlando delle Olimpiadi di Roma e la condivisione si limita ovviamente al plauso verso il presidente Monti che ha detto di no e non certamente alla solita trita sequela di insulti rovesciata dal decotto senatur sui romani.
Niente Olimpiadi dunque ed io aggiungerei anche niente stadi nuovi, se la costruzione dei nuovi impianti dovesse fare spendere anche un solo euro alla pubblica amministrazione, sia locale che nazionale.
Possiamo tranquillamente stare senza le Olimpiadi e con gli stadi vecchi: se vogliono investire, i presidenti se li costruiscano da soli.
Non possiamo invece continuare a convivere con molte sacche di povertà che o facciamo finta di non vedere o ci provocano un urticante senso di colpa che purtroppo poche volte sfocia nella volontà di essere solidali.

Le pessime condizioni climatiche degli ultimi otto giorni, che forse diventeranno al massimo dodici, hanno portato nella mia vita un paio di conseguenze: una virata verso il basso dell’umore e la raccomandazione di Letizia di controllare sempre che ci sia l’acqua calda prima di intraprendere alle cinque del mattino il mio percorso di mantenimento per restare nella decenza fisica.
Direi che ci si può abbondantemente stare e al massimo vorrà dire che farò una doccia fredda, come ai tempi del militare.
Non mi pare insomma di avere avuto la vita sconvolta dal freddo, dalla neve e dal ghiaccio.
Poi leggo di quelli che il problema dell’acqua calda non ce l’hanno per il semplice fatto di non avere neanche l’acqua, di quelli che muoiono assiderati, di gente rovinata economicamente dagli ultimi eventi atmosferici e il finale del ragionamento è lo stesso di quando vengo a conoscenza di malattie che colpiscono gli altri (e quelle per me insopportabili sono le malattie dei bambini).
Ci renderemo mai conto davvero del culo che abbiamo a vivere la nostra vita che magari ci sembra piena di affanni e che invece è (spero per tutti voi che leggete) straordinariamente comoda se solo pensiamo a ciò che è veramente importante?

La frase mi è venuta di getto, spontanea, un po’ come quella del gol al novantesimo alla Juve che è il sogno di tutti i tifosi viola.
Eppure, anche a freddo, è la fotografia più vera di un pomeriggio speciale, indimenticabile.
Perché quando si esce da casa Borgonovo, dopo aver passato quattro ore con lui, si è molto più ricchi di quando si è entrati.
E’ stato incredibile, mi sembrava di essere da subito completamente a mio agio: battute con Stefano e Aurelio (ancora grazie!), sistemazione del computer così, facciamo le foto, sistemiamo l’altparlante in quel modo, sintonizza Radio Sportiva, cominciamo con le riprese televisive (lo speciale va in onda dopo le 20 su Rtv38), collegameni continui con Blu per l’organizzazione degli ospiti.
In pratica ero diventato con Chantal il gestore dei 16 metri quadrati dove vive Stefano, attaccato alle macchine eppure molto più vivo di tanta gente che cammina, parla, si incazza per niente, diventa meschina per interesse.
E poi i suoi occhi, gli unici arti che muove.
Sono occhi che parlano, esprimono i sentimenti che prova ancora prima che il sintetizzatore realizzi il pensiero.
Ha tutte le vostre mail e non si arrende, davvero un esempio e la retotica, credetemi, non c’entra niente.

Che emozione ogni volta che mi arriva una mial di Stefano.
Il ragazzo si sta impegnando…
Mi ha mandato un po’ di risposte ed io penso al metodo incredibile e commovente a cui deve ricorrere per compilare una parola, una frase, un concetto.
Tra qualche ora parto per casa Borgonovo e non ho affatto le idee precise su come avverrà la trasmissione, proprio io che rompo le scatole a tutti per la precisione, la puntualità, i particolari.
Ma stavolta, chi se ne frega, si va lì, si ride, si scehrza e (noi) ci godiamo un pomeriggio indimenticabile.

Se uno così, che ha avuto il grande colpo di chiappa di fare la spalla per anni a Bonolis e che mi ha sempre procurato grande tristezza a vederlo conciato nei modi più diversi, ha (almeno) 5 milioni di euro da parte, ci deve essere qualcosa che non torna nel mondo televisivo e dei media.
Forse dovrei ricominciare da capo… (oh, sto scherzando)

Da corriere.it
Equitalia contro Laurenti: pignorati sei appartamenti da cinque milioni di euro
MILANO- Sei appartamenti in zona corso Buenos Aires, a Milano, per un valore totale di cinque milioni di euro, presto potrebbero non essere più di Luca Laurenti, spalla comica in televisione di Paolo Bonolis. Il pignoramento lo ha disposto l’Agenzia delle entrate Equitalia contesta al comico il mancato pagamento di imposte Irap per due milioni di euro sulla sua proprietà milanese di corso Buenos Aires tra gli anni 2000 e 2005. Lo riferisce Repubblica nelle pagine di cronaca milanese. Equitalia ha quindi pignorato i suoi sei appartamenti milanesi, che hanno un valore complessivo di 5 milioni di euro.

IL CONTENZIOSO – Si tratta di tasse dichiarate e non versate per un contenzioso avviato con la moglie, Raffaella Ferrari, nel 2007. In primo grado i legali di Luca Laurenti hanno sostenuto che l’imposta regionale per le attività produttive prevista per i liberi professionisti non riguarda quella del comico perché non dispone di un’organizzazione professionale come quelle che, per esempio, reggono studi di avvocati e commercialisti. La tesi è stata soccombente in primo grado e ora ci sarà la decisione d’appello. Se la sentenza dovesse diventare definitiva gli appartamenti potrebbero essere messi all’asta.

Per soli sei mesi rientro anch’io nella categoria degli sfigati.
Mi sono infatti laureato a 28 anni e mezzo, arrivando al traguardo nel marzo 1989, veramente senza fiato e con la voglia di chiudere alla svelta con lo studio.
A mia parziale (o totale, fate voi) discolpa posso dire al vice-ministro Martone che non ho mai frequentato per un solo giorno l’università di scienze politiche, avendo dato tutti i miei esami prendendo solo i libri di testo e mettendomi a studiare nel tempo libero che mi lasciava il lavoro.
Riuscirò ad essere assolto?
Nel dubbio, devo dire che l’uscita dell’enfant-prodige Martone (figlio di giudice e professore ordinario ad appena 29 anni) non è però affatta campata in aria se solo avesse fatto delle precisazioni.
Per esempio proprio sul fatto che se uno/a studia e basta è logico in un Paese normale che si debba pretendere un completamento del ciclo di studi al massimo a 25/26 anni.
Quando andavo a dare gli esami in via Laura c’era un numero sempre numeroso di fancazzisti, all’epoca detti quelli della panca, che molto si divertivano, molto copulavano e pochissimo facevano.
Pretendere di più da chi ha la fortuna di avere genitori che ti campano per almeno un quarto di secolo mi sembra il minimo che si possa chiedere a queste nuove generazioni sempre più deboli caratterialmente.

Non so se siano aumentate negli ultimi anni, se magari sono diventato più fragile io o se prima veniva data meno importanza a certe notizie di cronaca che fanno rabbrividire.
Nel campionario degli orrori quotidiani che mi ha inseguito nelle ultime settimane scelgo l’uccisione del vigile a Milano, perché credo che ci si debba porre una domanda scomoda: poteva capitare anche a noi?
Aspettate un attimo prima di rispondere no, per favore.
Pensiamo ai gesti inconsulti che facciamo tutti i giorni, all’insofferenza con cui affrontiamo un banalissimo contrattempo che pare fermare il nostro volo verso chissà quali mete.
Pensiamo all’arroganza con cui mettiamo le nostre chiappe sulle nostre macchine (specialmente noi che ci possiamo permettere delle vere e proprie armi non convenzionali), al fastidio con cui guardiamo gli altri, i diversi, quelli più in basso.
Pensiamo a come vediamo le forze dell’ordine, i tutori della libertà: vanno benissimo se si occupano degli altri, sono odiosi se mettono il becco sulle nostre piccole (per noi) trasgressioni, dal parlare al telefonino alla sosta in doppia, tripla fila.
Ecco, dopo aver speso almeno cinque minuti del nostro preziosissimo tempo per queste riflessioni si può rispondere con una certa cognizione di causa: siamo davvero così lontani da quel bastardo che ha spezzato per niente una vita e una famiglia?

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