Attualità


Grazie a Filippo per quello che ha scritto, questo è un regalo ancora più bello del pacco arrivato da Detroit

Carissimi amici del blog e carissimo David.
Ero a Firenze ma solo per 3 giorni, il mio adorato fratello adottivo Adriano si e’ spento a soli 49 anni….adottivo perche’ io mia mamma e mio padre 9 anni fa lo abbiamo preso in casa, era un senza tetto rimasto orfano a soli 10 anni. Lo trovammo vicino casa in ipotermia, chiamammo l’ambulanza e non so per quale ragione decidemmo di andare con lui a Santa Maria Nuova….quando scoprimmo che non aveva nessuno decidemmo di prenderci cura di lui. Mio madre e mio padre dissero che potevamo benissimo mangiare in 4…..in 10 anni con noi ci ha regalato tanto.
Adriano dalla vita non ha avuto nulla, privato dei genitori quando era solo un bambino, privato di una mano appena nato, era focomelico, distrutto fisicamente da 7 anni di fottutissima eroina…Mi consola il fatto che gli abbiamo donato 10 anni di serentia’ e di amore ,gli abbiamo ridato una famiglia senza mai lasciarlo indietro prendendoci cura di lui.
Dopo mio padre se ne’ andato anche lui stroncato in una settimana da emorragie celebrali…aveva smesso di bere da circa un anno….voleva vivere….sono a pezzi….sono lontano da casa e adesso la mia mamma e’ proprio sola….ora viene il difficile….convincere la mia compagna a trasferirsi definitivamente a Firenze. Credo che il mio tempo qui a Detroit sia finito insieme alla vita di Adrianino.
Vi prego se credete in Dio di ricordarlo per un secondo nelle vostre preghiere.
Grazie di cuore a tutti voi.
Filippo

Grazie, grazie grazie ed ancora grazie. Vedete amici miei, chi siamo noi per negare ed un essere umano una seconda possibilita’? Tra mia padre e mia madre c’ erano 25 anni di differenza, io ho solo 32 anni e quando sono nato mio padre aveva 60 anni…era un medico, uno di quelli vecchio stile, uno di quelli che curava piu’ poveri che ricchi, uno di quelli che mi raccontava storie di vita, che mi aspettava sveglio il sabato sera quando rientravo alticcio a casa alle 3 di mattina e prendevamo insieme l’ ovomaltina( secondo lui faceva passare la sbornia prima) e buttavamo giu’ la Formazione della nostra Fiorentina che sarebbe scesa in campo poche ore dopo….. Mio padre diceva sempre che il compito di un dottore era quello di mettere la morte in sala d’attesa…..secondo lui la morte era generosa perche’ gli aveva lasciato vincere molte battaglie contro mali apparentemente incurabili, ma come diceva lui: un medico puo’ vincere quelche battaglia ma sarebbe un folle se pretendesse di vincere la guerra contro la grande mietitrice.Lui che ha dovuto fare la guerra, si fece da pordenone ad atene a cavallo mandando in continuazione lettere a casa quando seppe del genocidio ebraico…..quanti ebrei fece nascondere nella villa di Cercina…….(la famiglia di mio padre ai tempi della guerra era molto ricca, erano mastri muratori……poi sua sorella, la mia zia, ribattezzata la zia fava ha finito un patrimonio in pochi anni alla morte dei loro genitori…..il testamento fu manipolato e a mio padre tocco’ pochissimo……)
Un uomo di 60 anni che s’ innamora di una donna di 25 anni piu’ giovane ed e’ pure ricambiato….un uomo che sopravvive alla guerra e la puo’ raccontare, un uomo che senza una lira si e’ ricostruito e non ci ha mai fatto mancare niente, un uomo che a 60 anni ha deciso di mettersi a cambiare pannolini e di educare un figlio in una societa’ molto piu’ veloce e vorace di quello che poteva immaginarsi…..io sonocresciuto nell’ amore e nell’ amore credo fortemente…..per amore mi sono trasferito a Detroit……Adriano aveva il diritto di una seconda chance, chi siamo noi per negare ad un disgraziato una rivincita nei confronti della vita? Cosa fa un genitore nei confronti di figlio? Gli insegna tutto, a camminare a parlare a muoversi tra insormontabili montagne e roventi deserti……La mia famiglia ed io abbiamo semplicemente di smettere di sopravvivere e di iniziare a vivere. Vivere e’ ridere con sogni grandi……Vi abbraccio tutti e vi ringrazio per le vostre parole, siete persone meravigliose che porto dentro e persto vi potro’ conoscere uno ad uno. Volevo condividere con voi il mio dolore e la storia di un amico, di un fratello che ha vissuto poco, una vita sfortunata ma una vita e’ pur sempre una vita, e va ricordata. David grazie dal profondo del mio cuore. Ciao Filippo

Perché ci appassioniamo così tanto alla triste storia del decenne Leo (mi auguro che sia un nome di fantasia, ma non mi pare) portato via a forza da una scuola padovana?
Mi auguro che al di là del nostro lato più oscuro, che noi tutti abbiamo e che ci porta ad interessarci a tante cose inutili da voyer dell’esistenza, ci sia una domanda di fondo: noi come ci comporteremmo?
O come ci siamo comportati quando abbiamo attarevrsato il mare periglioso della separazione?
Io ho avuto la fortuna di farlo senza figli, è stato triste e piuttosto doloroso, ma inevitabile.
Sinceramente non ho risposte da dare, ma solo buoni propositi.
L’idea portante sarebbe quella di mettere i figli davanti a tutto, di non farne i capri espiatori di dolori personali, di non usarli come armi di ricatto.
Tutto questo in teoria, ma la pratica?
Come reagirei davanti a presunti torti, come sopporterei il dolore per me fortissimo di non vedere i miei figli, come resisterei alla tentazione di voler stare di più con loro perché mi mancano da morire?
Bisogna porsele queste domande, spietate e precise.
Perché è molto facile giudicare gli altri, sparare sentenze, ma soprattutto noi uomini siamo emotivamente poco attrezzati a gestire situazioni così delicate che segnerenno per sempre le altre vite a noi più care.
Ho visto coppie dilaniarsi, figli usati come clave per rimproverare tradimenti, ho letto nei bambini/ragazzi sofferenze profonde che spero vengano tirate fuori per evitare esistenze infelici.
Però poniamocele quelle domande, facciamolo soprattutto noi che (in teoria) non corriamo rischi.
E se possiamo non giudichiamo mai con superficialità.

Troppo idiota la battuta per essere vera e Sergio Marchionne è tutto meno che uno stupido.
Dai, non è possibile definire Firenze “una città piccola e povera”, ci deve essere sotto qualcosa di non scritto per permettere a Matteo Renzi di fare bella figura.
A che servirebbe ricordare cosa è stata Firenze per l’umanità e cosa rappresenta per centinaia di milioni di persone che sognano di visitarla?
Non sprechiamo il nostro tempo per queste cose, prendiamolo di tacco il sor Marchionne, anzi prendiamolo per il bavero senza arrabbiarci più di tanto.
Uno dei suoi predecessori, molto più signore di lui, e sto parlando di Paolo Fresco, ha scelto di viverci in questa “povera città”, abitando a Fiesole, che, lo dico per lo scarso senso delle conoscenze geografiche del Sor Marchionne, fa parte della provincia fiorentina.
Io credo che Renzi debba ringraziare la geniale idiozia vomitata da chi forse abbiamo sempre immaginato più intelligente di quanto in effetti sia.
Mai sentiti i fiorentini così uniti e arrabbiati, anzi sì, per la Fiorentina, ma per questo genere di cose mai.
E chissà come rosicano in queste ore i papaveri del PD per tutta la pubblicità gratuita avuta dal loro incubo notturno.
Però ripeto: non consideriamolo troppo il tipo.
Seppeliamolo con una risata, o in alternativa con una supercazzola, ma con scappellamento a sinistra stavolta, visto il destinatario dell’invettiva dell’omarino.

Attenzione però a mettere tutto in una specie di brodo primordiale in salsa viola.
Marchionne è una cosa, la Fiat e quello che rappresenta nel bene e nel male per l’economia italiana un’altra.
Voglio dire che quando si parla di boicottaggio della Fiat bisogna riflettere bene su un dato fiorentino: ci sono nella nostra città 500 famiglie che vivono legando i propri destini a quelli dell’azienda di Torino.
Può piacere o meno, ma è così.
Quindi la scelta della macchina da comprare non dovrebbe secondo me tenere in alcun modo conto di questa penosa e ridicola vicenda: invitiamo Marchionne a Firenze, sommergiamolo di pernacchie, ma lasciamo perdere azioni contro l’azienda che rappresenta.

Reduce dal Pentasport con Brovarone (vi è piaciuto?) sono sprofondato sul divano e mi sono messo a vedere anch’io Celentano, con la speranza che non parlasse mai e che cantasse sempre.
Non è andata malissimo, anche se la parte colloquiale è stata penosa come sempre negli ultimi dieci anni.
Dice: scusa, ma se ti piacciono le canzoni di Celentano perché non te le scarichi e te le senti con calma o infili un suo CD in macchina?
Non esiste risposta razionale a questa domanda.
Il fatto è che si crea un meccanismo di attesa per l’evento per cui alla fine, anche se capisci che stai un po’ perdendo il tuo tempo e che Ballarò sarebbe certamente più interessante, tu ti piazzi lì in attesa delle tue canzoni preferite (la mia è “Una carezza in un pugno” ed il mio sogno sarebbe saperla cantare davanti a qualcuno…).
E’ un po’ come quando vado a vedere Guccini e lui propone canzoni nuove: non vedo l’ora che finiscano per sentire quelle vecchie e chissà se capita solo a me.

Sollecitato dalla penosa vicenda Aronica il grande Antonello (Immonda Bestia) mi chiede di scavare nella memoria per trovare situazioni simili che mi abbiano coinvolto in 35 anni di frequentazioni viola, tralasciando ovviamente i due schiaffi di Ascoli e le bottigliette che volavano a Bari mentre Batistuta batteva un rigore “rubato” da Robbiati.
E senza considerare “l’ebreo di merda, vengo lì a staccarti la testa”, detto dopo varie minacce sparse in giro da uno che ancora gode di qualche credito, ma non è un tesserato.
Vediamo un po’ cosa mi viene in mente.
Il ricorso al contatto fisico mi è stato suggerito solo da Morfeo nel gennaio 2002, ai tempi della fascite plantare e del suo penoso tirarsi fuori dalla lota mentre la Fiorntina agonizzava.
Mi telefonò al cellulare un mattina per dirmi che mi avrebbe preso a cazzotti e sinceramente ho anche accarezzato l’idea di un bel match perché quella bella faccia di Morfeo non mi sembrava così impossibile da battere, per quanto io abbia fatto a botte veramente una sola volta in vita mia e ormai 38 anni fa.
Ci sono stati però gli avvertimenti minacciosi sui miei giudizi riguardanti il tragico (tecnicamente) Salvatori, che non gradiva per niente e le minacce di far chiudere la radio da parte di Caliendo nei caldi giorni dell’esclusiva al primo Baggio bianconero.
Una volta, quasi da bambino (era il 1983) ho affrontato nello spogliatoio viola Passarella incazzatissimo (così mi dicevano) per via di alcuni giudizi in generale sulla Fiorentina durante una mia radiocronaca al San Paolo, ma andò benissimo e non mi tirò neanche una testata, anzi parlammo tranquillamente e ci stringemmo la mano.
Malesani mi urlò tre volte vergogna davanti a mille spettatori ai campini sullo stile dle resistere di Borrelli e lì ho resistito davvero dalla tentazione di gridarrgli in faccia che vergogna doveva andare a dirlo alla santa donna di sua madre: ora è un amico.
Insomma non è che abbia avuto chissà quali problemi, sinceramente poteva andare peggio.

Un grazie a Filippo di Detroit: mi è arrivata! Bellissima, quasi quasi cerco di capire come si gioca a baseball…
Ti aspetto a Firenze per contraccambiare

Il mausoleo costruito per Rodolfo Graziani ad Affile, in provincia di Roma, sul quale dominano le scritte ‘Patria’ e ‘Onore’, capisaldi del fascismo. «Mai dormito tanto tranquillamente », scrisse Rodolfo Graziani in risposta a chi gli chiedeva se non avesse gli incubi dopo le mattanze che aveva ordinato, come quella di tutti i preti e i diaconi cristiani etiopi di Debra Libanos, fatti assassinare e sgozzare dalle truppe islamiche in divisa italiana. Dormono tranquilli anche quelli che hanno speso soldi pubblici per erigere in Ciociaria un sacrario a quel macellaio? Se è così non conoscono la storia.

Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto Henry Bernard Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: infatti il negazionismo «è, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio». Ha ragione. È una vergogna che il comune di Affile, dalle parti di Subiaco, abbia costruito un mausoleo per celebrare la memoria di quello che, secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, fu «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Ed è incredibile che la cosa abbia sollevato scandalizzate reazioni internazionali, con articoli sul New York Times o servizi della Bbc,ma non sia riuscita a sollevare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica nostrana. Segno che troppi italiani ignorano o continuano a rimuovere le nostre pesanti responsabilità coloniali.

Francesco Storace è arrivato a dettare all’Ansa una notizia intitolata «Non infangare Graziani» e a sostenere che «nel processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla Rsi». Falso. Il dizionario biografico Treccani spiega che il 2 maggio 1950 il maresciallo fu condannato a 19 anni di carcere e fu grazie ad una serie di condoni che ne scontò, vergognosamente, molti di meno.

È vero però che anche quella sentenza centrata sul «collaborazionismo militare col tedesco», era figlia di una cultura che ruotava purtroppo intorno al nostro ombelico (il fascismo, il Duce, Salò…) senza curarsi dei nostri misfatti in Africa. Una cultura che spinse addirittura Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti (un errore ulteriore che ci pesa addosso) a negare all’Etiopia l’estradizione di Graziani richiesta per l’uso dei gas vietati da tutte le convenzioni internazionali e per gli eccidi commessi e rivendicati. E più tardi consentì a Giulio Andreotti a incontrare l’anziano ufficiale, in nome della Ciociaria, senza porsi troppi problemi morali.
Allora, però, nella scia di decenni di esaltazione del «buon colono italiano» non erano ancora nitidi i contorni dei crimini di guerra. Gli approfondimenti storici che avrebbero inchiodato il viceré d’Etiopia mussoliniano al suo ruolo di spietato carnefice non erano ancora stati messi a fuoco. Ciò che meraviglia è che ancora oggi il nuovo mausoleo venga contestato ricordando le responsabilità di Graziani solo dentro la «nostra» storia. Perfino Nicola Zingaretti nel suo blog rinfaccia al maresciallo responsabilità soprattutto «casalinghe».

Per non dire dell’indecoroso sito web del Comune di Affile, dove si legge che l’uomo fu una «figura tra le più amate e più criticate, a torto o a ragione» del periodo fra le due guerre e un «interprete di avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose». Che «compì grandiosi lavori pubblici che ancor oggi testimoniano la volontà civilizzante dell’Italia». Che «seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato».

«Inflessibile rigore morale»? «Rodolfo Graziani tornò dall’Etiopia con centinaia di casse rubate e rapinate in giro per le chiese etiopi», racconta Del Boca. «Grazie a lui il più grande serbatoio illegale di quadri e pitture e crocefissi della chiesa etiope è in Italia». Certo, non fu il solo ad avere questo disprezzo per quella antichissima Chiesa cristiana fondata da San Frumenzio intorno al 350 d.C. Basti ricordare le parole, che i cattolici rileggono con imbarazzo, con cui il cardinale di Milano Ildefonso Schuster inaugurò il 26 febbraio 1937 il corso di mistica fascista una settimana dopo la spaventosa ecatombe di Addis Abeba: «Le legioni italiane rivendicano l’Etiopia alla civiltà e bandendone la schiavitù e la barbarie vogliono assicurare a quei popoli e all’intero civile consorzio il duplice vantaggio della cultura imperiale e della Fede cattolica ».

Fu lui, l’«eroe di Affile», a coordinare la deportazione dalla Cirenaica nel 1930 di centomila uomini, donne, vecchi, bambini costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai campi di concentramento allestiti nelle aree più inabitabili della Sirte. Diecimila di questi poveretti morirono in quel viaggio infernale. Altre decine di migliaia nei lager fascisti.

E fu ancora lui a scatenare nel ’37 la rappresaglia in Etiopia per vendicare l’attentato che gli avevano fatto i patrioti. Trentamila morti, secondo gli etiopi. L’inviato del Corriere, Ciro Poggiali, restò inorridito e scrisse nel diario: «Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada… Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente».

I reparti militari e le squadracce fasciste non ebbero pietà neppure per gli infanti. C’era sul posto anche un attore, Dante Galeazzi, che nel libro Il violino di Addis Abeba avrebbe raccontato con orrore: «Per tre giorni durò il caos. Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano».

Negli stessi giorni, accusando il clero etiope di essere dalla parte dei patrioti che si ribellavano alla conquista, Graziani ordinò al generale Pietro Maletti di decimare tutti, ma proprio tutti i preti e i diaconi di Debrà Libanòs, quello che era il cuore della chiesa etiope. Una strage orrenda, che secondo gli studiosi Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik autori de La repressione fascista in Etiopia vide il martirio di almeno 1.400 religiosi vittime d’un eccidio affidato, per evitare problemi di coscienza, ai reparti musulmani inquadrati nel nostro esercito.

Lui, il macellaio, quei problemi non li aveva: «Spesso mi sono esaminato la coscienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente ». Di più, se ne vantò telegrafando al generale Alessandro Pirzio Biroli: «Preti e monaci adesso filano che è una bellezza».

C’è chi dirà che eseguiva degli ordini. Che fu Mussolini il 27 ottobre 1935 a dirgli di usare il gas. Leggiamo come Hailé Selassié raccontò gli effetti di quei gas: si trattava di «strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini».

Saputo del monumento costato 127 mila euro e dedicato al maresciallo con una variante sull’iniziale progetto di erigere un mausoleo a tutti i morti di tutte le guerre, i discendenti dell’imperatore etiope, come ricorda il deputato Jean-Léonard Touadi autore di un’interrogazione parlamentare, hanno scritto a Napolitano sottolineando che quel mausoleo è un «incredibile insulto alla memoria di oltre un milione di vittime africane del genocidio», ma che «ancora più spaventosa» è l’assenza d’una reazione da parte dell’Italia.

Rodolfo Graziani «eseguiva solo degli ordini»? Anche Heinrich Himmler, anche Joseph Mengele, anche Max Simon che macellò gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema dicevano la stessa cosa. Ma nessuno ha mai speso soldi della Regione Lazio per erigere loro un infame mausoleo.

Gian Antonio Stella (Corriere.it)

Molti anni fa rimasi molto colpito di fronte alla notizia che alle convention aziendali di Pubblitalia Silvio Berlusconi continuasse a ricordare come gli italiani fossero dei piccoli adolescenti e quindi come tali dovessero essere trattati nei messaggi pubblicitari e anche nella vendita dei passaggi.
In quel caso la politica non c’entrava niente, era l’epoca delle grandi fortune e delle straordinarie intuizioni di un uomo certamente fuori dalla normalità.
Aveva ragione lui, Silvio, e lo si è visto dalle fortune fatte in vita.
Coerentemente al proprio pensiero, il nostro ex Presidente del Consiglio deve aver applicato lo stesso metro di giudizio pensando al nostro futuro.
Cioè, noi itliani siamo tutti dei bambini appena cresciuti, a cui fare sempre le stesse promesse per farci stare tranquilli mentre il Governo (il suo, quello futuribile di Silvio) lavora per noi.
Ecco quindi materializzarsi direttamente dal libro dei sogni l’abolizione dell’Imu, un certo menefreghismo nei confronti del rigore fiscale (che nasconde il nemmeno tanto velato invito all’evasione), una voglia di autarchia perché è “l’Europa che ci ha ridotto così e forse si starebbe meglio senza l’Euro”.
A quando una destra finalmente degna delle proprie tradizioni, dal Risorgimento a Malagodi e Montanelli?

Mi sbagliavo: la situazione è molto più grave di quanto avessi immaginato.
Sono rimasto molto colpito dalle tante storie di “normale angoscia” che hanno fatto seguito all’ultimo post.
Quella che mi fa più paura è la rassegnazione che sento trasparire in alcuni commenti, come se ormai non ci fosse più niente da fare.
Eppure, parlo del mio microcosmo: ci sono in questa fantastica città e in questa meravigliosa Regione, migliaia di persone che la mattina si svegliano con idee, voglia di rischiare.
Me ne accorgo quando propongo le nostre trasmissioni, o meglio ancora quando ce le chiedono per promuovere la propria attività: vogliono andare avanti, vedere come funziona con la pubblicità, non mollano.
Capisco però che quando prendi una, due, tre botte in testa non sia poi facile rialzarsi e ripartire: se avete voglia continuate a raccontare e sfogarvi, cercando e/o offrendo una sponda, un dito o un braccio a chi sta peggio di noi.
Tranquilli che poi torniamo a parlare di Fiorentina.

Com’è andato il ritorno alla piena normalità: nel traffico, con la scuola che riparte, con i soliti problemi economici?
Non ho ancora capito se me la sto raccontando, perché non sopporto la gente che si lamenta e per questo voglio tirarmi su, oppure è proprio così, ma a me pare che non vada peggio rispetto al settembre di un anno fa.
Nel senso che il livello del letame (per essere eleganti nel linguaggio) è più o meno lo stesso e quindi almeno non è aumentato.
Certo, da qui a dire che siamo in fase di spurgo ce ne corre; però, ecco, non si è alzato e ancora respiriamo.
Oppure siamo noi che ci abbiamo fatto l’abitudine e in molti hanno (finalmente) capito che è inutile piangerci addosso e strepitare, mentre è molto meglio rimboccarsi le maniche e cominciare o continuare a spalare.
In ogni caso, buon rientro alla piena normalità a tutti.

Al di là dei precedenti storici che vedono il calcio italiano sempre in difficoltà nel primo mese di attività, mi chiedo perché ci sia così tanta sorpresa per il non gioco degli azzurri ieri in Bulgaria.
Il livello è questo, ne’ più, ne’ meno.
Abbiamo attaccanti che appena dieci anni fa le partite le avrebbereo viste (per imparare) dalla televisione, basta pensare a Baggio lasciato colpevolmente a casa da Trapattoni ai Mondiali nippo-coreani del 2002.
A me Vieri sta profondamente sulle scatole (rise dopo aver sbagliato il rigore decisivo contro i Rangers, è una persona veramente sgradevole), ma mica lo vorrete paragonare quando era decentemente allenato a Matri-Pazzini-Osvaldo?
O Totti a Giovinco e via a seguire.
No via, siamo scarsi.
Ci sono ancora pochissime eccellenze stagionate (Pirlo, Buffon), uno straordinario centrocampista sempre più malmesso (De Rossi) e una massa di comprimari che forse Prandelli può elevare di tono se ha un mese per lavorarci sopra, ma non certo trasformare in calciatori di livello internazionale.
Uno come Giaccherini avrebbe fatto fatica a trovare spazio in una qualsiasi squadra che punti all’Europa e qui gioca titolare (qualcuno mi deve spiegare a cosa serva un esterno così): roba che Domenghini, Caudio, Claudio Sala, Bruno Conti e Donadoni dovrebbero mettere su un sit-in di protesta.

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