Attualità


Quelle di Sacchi erano parecchio complicate da capire e ho visto fior di giocatori ammattire per comprenderne i meccanismi.
Quelle della vita sono molto facili in teoria, ma nella realtà diventano delle salite stile Stelvio.
Vale la pena però di provarci, perché quello che poi vedi sotto è uno spettacolo che non ha paragoni: nemmeno ti eri accorto del marcio che avevi accumulato, di quanto valessero o non valessero le persone che ti circondavano, di come eri ormai dentro un meccanismo ormai squallidamente rotto.
Respiri finalmente aria pura e capisci con orgoglio di essere un punto di riferimento per il microcosmo che ti circonda, sei tu il primo a credere in te stesso.
Certo, sarebbe meglio fare delle correzioni in corsa ed evitare traumi, perché poi la salita verso una nuova vita è veramente estenuante, ma è anche una questione di fortuna, oltre che di sensibilità.
Nel calcio ce lo ha insegnato Pepito Rossi che ce la possiamo e che ce la potete fare, e non credo neanche all’uno su mille che riesce nell’impresa.
A me piace più pensare agli altri 999, ai loro sforzi e all’immensa soddisfazione che proveranno quando il periodo nero sarà alle loro spalle.

Sophia Loren e Claudia Cardinale: mi è capitato di sfogliare una rivista e vederle a poche pagine di distanza.
Una è l’immagine di una splendida donna che invecchia serenamente, l’altra, che ha più di ottanta anni, sembra molto più giovane di me: possibile che intelligente com’è non si renda conto di quell’alone di ridicolo che da tempo accompagna ogni sua uscita pubblica?
Evidentemente sì, e qui il discorso si fa più complesso e riguarda il rapporto con noi stessi.
Ormai è chiaramente, e da un po’ di tempo, un mondo impazzito.
Ci sono donne ultracinquantenni che lasciano i figli a casa e frequentano corsi di ballo al solo scopo di conoscere qualcuno per rivivere palpiti adolescenziali, quando ero giovane si chiamavano tardone, oggi non so.
Conosco coetanei che sfiniscono i propri capelli con chili di tintura, che li massacrano con riporti inguardabili, e si iscrivono in palestra solo per individuare eventuali prede e poi vedere se magari gli funziona la pillola blu.
E dopo?
Dopo che hai dato a te stesso/a questa dimostrazione di prolungatissima giovinezza, che ti rimane?
Per me una desolazione infinita, ma è questione come sempre di punti di vista.
Una mia amica molto bella e molto saggia mi ha detto che anche la pancetta maschile, se di proprietà di un uomo solido nel modo di pensare e agire, ha il suo fascino.
Sinceramente ho sempre fatto fatica a crederci perché da anni combatto una sana battaglia per abbatterla, ma poi ho rovesciato il discorso e ho pensato a quanto mi piacciano le donne dai cinquanta anni in su.
Quelle vere, naturalmente, nel corpo e soprattutto nella testa, e allora mi sono quasi convinto che chissà, potrebbe perfino avere ragione.
Nel dubbio però vado a farmi la mia solita corsetta mattutina per sentirmi meglio e limitare senza trucchi i danni del passare del tempo, che però è inevitabile e chi non lo capisce secondo me…capisce poco.

Via, finalmente l’ho fatto: ho cantato.
In maniera penosa, ma ho articolato delle parole con della musica di sottofondo.
Il problema è che come in tutte le mie vicende della vita mica ci ragiono troppo, vado di sentimento.
E siccome il mio sogno da sempre era quello di gorgheggiare “Una carezza in un pugno” di Celentano, mica ti vado a scegliere un Guccini, che pure adoro.
No, io mi metto con sprezzo del pericolo e poco senso del ridicolo a salire e scendere sulle note di quella bellissima canzone, tra gli sguardi atterriti del centinaio di persone che hanno partecipato ai festeggiamenti per i trent’anni di matrimonio di Maurizio e Lucia.
Una cosa indescrivibile a sentirla (così mi dicono) e poi non contento sono andato giù con Renato Zero, Bennato e l’inevitabile inno viola tanto ormai era caduto ogni freno inibitorio.
Serata fantastica, gruppo di cinquantenni (abbondanti) mediamente sani di mente in un locale, recupero di vecchie consuetudini, piacere di nuovi racconti di vita, abbraccio forte e sincero a chi come Massimo è stato duramente toccato dalla vita.
E poi loro due, Maurizio e Lucia: ci vuole intelligenza, altruismo, l’idea giusta della famiglia, forza di volontà e senso del sacrificio per resistere trent’anni insieme rinnovandosi ogni giorno in mezzo a mille problemi, tentazioni e stanchezze ed essere soddisfatti.
Standing ovation per loro e per tutti quelli come loro.

Aspettate a chiamare la neurodeliri: il noi è riferito alla mia generazione, che dovrebbe aver preso il bastone del comando da almeno una decina d’anni.
Cosa stiamo facendo e cosa lasceremo ai nostri figli?
Non sopporto chi non si prende mai le proprie responsabilità, chi pensa sia sempre colpa degli altri se le cose non vanno come dovrebbero.
Ergo: proprio non mi piace che si dica che dovevano pensarci quelli che c’erano prima a lasciarci di noi un mondo migliore, per ancora un po’ tocca a noi e quindi vediamo di darci da fare.
Un punto a nostro sfavore è che la famosa parità maschio-femmina è ben lontana dall’essere raggiunta: nel 2015 era da augurarsi che ci fossero molte più donne nei posti chiave.
Magari mi sbaglio, ma resto convinto che la conflittualità diminuirebbe sensibilmente, spesso ci frega il testosterone e la voglia di far vedere quanto siamo bravi e grossi.
Col tempo ho maturato due pensieri guida, diciamo pure, allargandosi, che ho sviluppato una sorta di etica morale che dovrebbe accompagnare le nostre azioni e la nostra vita interiore.
Il primo è non fare mai agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te.
Facile a dirsi, vero?
Molto più difficile ad applicarsi, e basterebbe banalmente pensare ai piaceri della carne: chi è capace di fermarsi immaginando a quello che potrebbe accadere se fosse lui/lei ad aspettare ignaro/a a casa?
Il secondo è ancora più importante e riguarda i nostri figli (per chi ne ha).
Si tratta di avere una dirittura morale che vorremmo vedere in loro quando saranno grandi, comportarsi cioè come vorremmo che i nostri figli si comportassero.
Ci sarebbe anche la capacità di ascoltare e accogliere chi ci sta accanto, ma questo è un fatto estremamente soggettivo e di compatibilità tra esseri umani.
Io non sono affatto pessimista, qualcosa di interessante si può ancora costruire prima di passare la mano e non è che abbiamo sprecato il tempo: ci stiamo impegnando e siamo (chi più, chi meno) persone serie, alla fine qualcosa di buono verrà fuori.

L’esercizio più difficile è mettersi al loro posto, provare a pensare non più con la nostra testa, ma con gli entusiasmi e le paure di anni che ormai sono lontani.
Puoi soffocarli con il tuo affetto e quindi devi stare attento: né troppo distante, né troppo addosso.
Osservarli da lontano può essere una buona idea, a patto però che tu sappia correre subito in soccorso lasciando qualsiasi cosa tu stia facendo in quel momento.
Naturalmente lo devi fare a passi felpati, senza quasi fartene accorgertene, perché altrimenti si arrabbiano perché l’indipendenza è un loro stato permanente dell’anima, ma se per caso o per pigrizia non arrivi, poi ci rimangono malissimo.
E’ un lavoro di qualità, non di quantità: non conta il quanto, ma il come.
E, soprattutto, mai e poi mai devi commettere l’errore più grande, quello riportato a caratteri cubitali in ogni manuale del genitore: essere o diventare ad un certo punto della tua vita amico/a dei tuoi figli.
Perché loro, anche se magari dimostrano il contrario perché fa comodo, non lo vogliono e comunque gli amici giustamente se li scelgono e a noi ci hanno trovato, e magari non è nemmeno detto che siano troppo contenti del fato, ma tant’è.
Auguri a tutti i ragazzi e le ragazze, i bambini e le bambine che hanno ricominciato o stanno per ricominciare la scuola.

Ho avuto la fortuna di andare a Wimbledon il giorno in cui le italiane e Seppi arrivarono agli ottavi e ho assistito alle conferenze stampa della Vinci e della Pennetta.
Deliziose, simpatiche ed il pensiero andò immediatamente a qualsiasi calciatore che se la tirava molto di più dopo una vittoria con l’Atalanta.
Per me questa finale americana è qualcosa di incredibile, soprattutto perché sono due giovani donne, ma abbastanza in là con gli anni dal punto di vista agonistico.
Difficile fare il tifo per una dei due:vla Pennetta è affascinante, la Vinci è più grintosa ed è sempre stata considerata soprattutto una bravissima doppista.
Sono ancora incerto, probabilmento mi asterrò dal tifare, esercizio praticamente impossibile per qualsiasi italiano, soprattutto nel tennis.
Spero che la Rai compri i diritti e faccia vedere in chiaro lapartita più importante della storia di questo sport così affascinante.

No, non quelle di Sacchi, ma le vostre: come è andata la ripresa piena dell’attività?
Settembre è il mese del ripensamento, scriveva e cantava il sommo poeta dei nostri anni, e chissà se davvero siete riusciti a soffermarvi su cosa fosse stato giusto e cosa meno delle azioni e nei pensieri degli ultimi tempi prima della pausa estiva.
Fin da quando andavo a scuola bastava osservarmi negli ultimi giorni di agosto per capire che proprio normale non ero: aspettavo infatti con trepidazione il giorno del ritorno in classe e mi beavo nell’acquisto rallentato di quaderni, penne, zaini, astucci e diari (fantastici quelli di Iacovitti).
Mi piaceva moltissimo il pensiero di ritrovare i compagni e nemmeno mi sfiorava l’idea della noia e della fatica legata allo studio.
Era quindi quasi normale che molti anni più tardi le mie figlie, ma lo farà presto anche Cosimo, mi accusassero affettuosamente di “non essere mai stato giovane”.
Il rischio in questi casi è quello della crisi di mezza età, con repentino rincoglionimento adolescenziale, ma per ora pare che il pericolo non esista o almeno così dice chi condivide con me le giornate.
Per ora, però, è bene precisare…
Intanto comunque settembre continua a piacermi moltissimo e nemmeno faccio troppa fatica a ritrovare i ritmi giusti, questione di bioritmi e forse di passione per le cose che faccio.
Sono però curioso di sapere come è andata a voi.

Mentre guardavo la foto di Aylan morto su una spiaggia turca cercavo dentro di me qualcosa che mi portasse un po’ più in là della semplice indignazione o del sentirsi in colpa perché davvero Aylan dovrebbe davvero diventare “il figlio di tutti noi”.
Ma questa affermazione, per quanto sincera, odora molto di retorica, perché poi tra tre giorni avremo altre cose di cui occuparci e scivoleremo inevitabilmente nel nostro microcosmo quotidiano fatto a volte di piccole e grande miserie.
Provando a spingere le emozioni su terreni un po’ meno battuti, mi è venuto in mente che anche quando si muore si può essere più o meno fortunati.
Il piccolo Aylan è diventato un simbolo e almeno in questo il padre, unico sopravvissuto della famiglia, avrà qualcosa di cui parlare, una piccola “distrazione” ad un dolore che non riesco nemmeno ad immaginare.
Ma Galip, il fratello di Aylan?
E i migliaia di bambini che muoiono ogni giorno nelle guerre e nelle stive di questi criminali da diporto?
Loro per noi non hanno un nome: scivolano via e basta, come se non fossero mai esistiti, ed è come se fossero morti due volte.

…alla Nazionale di giocare a Firenze contro Malta?
Ci sarebbe voluta una campagna di stampa faraonica e migliaia di biglietti regalati per portare gente al Franchi.
Sapete come la penso sulla maglia azzurra: per me dopo quella viola e quella granata viene prima di tutte le altre, certe emozioni non si dimenticano, dal 4 a 3 alla Germania, ai Mondiali vinti e le partite di Antognoni.
E però io faccio molta fatica a ricordarmi la formazione di stasera, colpa della decadenza tecnica dei tempi che porta in Nazionale gente che non sarebbe mai entrata nemmeno per sbaglio a Coverciano.
Se uno deve contestare (chi? cosa?) è meglio che allo stadio non si presenti, perché poi il conto in qualche modo ce lo presentano.

Quanto sbagliamo, quanto sbaglio nella loro educazione?
Me lo chiedo ogni volta che un pensiero, una decisone, mi porta come un riflesso condizionato a pensare al rovescio della medaglia: se avessi fatto nell’altro modo, forse sarebbe stato meglio e lui/lei avrebbe avuto quei vantaggi (e ovviamente degli svantaggi, ma quelli nella testa arrivano dopo).
Ho capito con un bel po’ di ritardo che educare i figli è un vero e proprio “lavoro”, nel senso che non puoi affidarti solo all’istinto e all’amore che ti scoppia dentro e che poi, almeno nel mio caso, declini quasi sempre nella tenerezza.
No, bisogna metterci la testa.
Non farsi travolgere emotivamente, perché i figli ti chiedono dei no, anche se non te lo dicono esplicitamente, anche se si incazzano di brutto quando li contraddici o metti dei divieti.
Vanno al muro contro muro, ma alla fine vogliono un genitore sopra di loro, non un loro pari, un amico con cui solo scherzare o, peggio ancora, confidarsi reciprocamente i segreti.
L’altro aspetto fondamentale è l’esempio: tu puoi raccontare loro ciò che vuoi, farti bello con le parole, ma se la tua vita trasuda di falsità, di disonestà intellettuale o materiale, se ti sei comportato come mai vorresti che i tuoi figli si comportassero, puoi essere certo di esserti giocato per sempre la loro stima.
L’amore no, è un’altra cosa, è fisiologico e dura: non si spiegherebbe altrimenti l’attaccamento di tanti figli a genitori che non meriterebbero niente per quello che hanno fatto e che invece sono cercati lo stesso.
E’ durissima, una battaglia che almeno personalmente vivo con grande dispendio di energie e con molti conflitti interiori, ma è anche la cosa migliore che ti poteva capitare da quando sei nato.

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