Attualità


Lo so che domani c’è la Roma, ma ci sono momenti nella vita in cui sei chiamato a prendere decisioni importanti, lo devi fare in due minuti e da solo.
Accade questo: Cosimo viene da me e mi racconta di come un mese fa abbia perso un dentino e non sia successo niente, cioè non sia arrivato nessun soldo sul suo comodino.
Incautamente gli rispondo che avrebbe potuto dirmelo e qui scoppia un piccolo dramma perché capisce che non è mai stata la Fatina a portargli la moneta, ma un genitore.
Il passaggio successivo è ancora più difficile: “ma allora non esiste Babbo Natale e neanche la Befana” e giù pianti disperati.
Peggio che raccontare che la Fiorentina non vincerà mai lo scudetto.
I centoventi secondi di dubbio esistenziale cominciano da quel momento.
Che fai?
Neghi spudoratamente, ti arrampichi sugli specchi e provi a farfugliare che ti eri sbagliato, che la Fatina esiste e quindi anche tutto il resto?
Affronti la vicenda da padre illuminato quale hai sempre pensato di essere (bum!) e poni il novenne di fronte alla dura realtà della vita?
Opto per la seconda che ho scritto chiedendomi a che età le sue sorelle abbiano smesso di credere a Babbo Natale (e chi se lo ricorda?) e inizio ad inerpicarmi sul tortuoso sentiero della verità.
Ad essere sincero avrei voluto chiedere un time-out per chiamare qualche genitore di compagni di classe e sapere chi ancora ci credeva e chi no, ma non era possibile e così, dopo un’ora veramente difficile tra singhiozzi e rifiuti di ogni regalo presente e futuro, in qualche modo ne sono uscito vivo.
Ma se poi la Fatina dei dentini esistesse davvero?

E’stata un’ondata di affetto travolgente e devo ringraziare davvero tutti perché mi hanno fatto capire che la nostra gente, questa città, compresa la squadra di calcio che tutti noi amiamo, certe cose non le accetta.
Ma ci sono due persone particolari con cui sinceramente e onestamente mi sento in debito: Ernesto Poesio e Giuseppe Calabrese.
Certi fatti che poi restano nel tempo sono a volte figli del caso: se a fine interviste non li avessi casualmente incontrati per prendere insieme prima l’autobus e poi la metro, non sono affatto sicuro che avrei trovato la forza di scrivere quello che avete letto nel precedente post.
La loro indignazione e la loro rabbia senza se e senza ma, in quei momenti in cui mi vergognavo per l’idiozia di quei dementi che offendevano la memoria di milioni di persone, è stata decsiva: sono tornato in albergo e ho buttato giù quello che sentivo dentro.
Altrimenti ne avrei semplicemente parlato con amarezza insieme alle persone che amo e tutto sarebbe finito lì.
Giuseppe ed Ernesto hanno oggi scritto articoli bellissimi sulle edizioni fiorentine di Repubblica e Corriere e anche questo dà la misura della sconfitta di chi è razzista.
Stavolta, e spero per sempre, abbiamo vinto noi.

La Fiorentina perde male ed esce dall’Europa, ma voglio raccontarvi quello che è successo quando ho preso la metro per tornare nel centro di Londra.
Una ventina di ragazzotti mi ha riconosciuto e ha cominciato a cantare “David Guetta, c’è un treno per Mauthausen che ti aspetta”, un motivetto che deve andare di moda tra loro, visto che non c’è stato bisogno di accordare i suoni per far partire il coretto vergognoso.
Vergognoso non per me, che da decenni convivo con “l’ebreo di merda” che scatta come riflesso condizionato dalle menti più annebiate: sei anni fa l’insulto partì per esempio da un importante rappresentante del tifo, oggi salito di rango, che aggiunse anche di voler venire in radio a staccarmi la testa.
La vergogna è per questi dementi con cui mi piacerebbe avere un confronto e che quasi certamente non sanno bene cosa sia successo a Mauthausen.
O ad Aiuschwitz, o a Dachau, o a Treblinka.
Ma lo vorrei avere questo incontro davanti alla lapide che in via Farini ricorda i fiorentini che sono partiti con quei treni che loro oggi vogliono per me e che non sono più tornati.
E’ un po’ come con quelli/e che si dichiarano assolutamente non antisemiti, ma che spesso quando ti parlano ogni tanto tirano fuori queste parole: “ma voi ebrei…”: una forma di razzismo strisciante che non sopporto.
Magari qualcuno di quei ragazzi e di quelle ragazze, di quei signori e di quelle signore che su quel treno sono stati costretti a salire tifava pure per la Fiorentina, che già esisteva.
Fiorentini/e ebrei/e come me, che sono non ho nessun legame particolare con la Comunità ebraica, mentre invece come cittadino provo nausea ad avere a che fare con questa gente.
Aspetto con orgoglio il prossimo coro: continuate pure così, vigliacchi.

Ieri sono arrivati i dati radiofonici relativi al secondo semestre 2015, il primo da quando è iniziata l’avventura a Radio Bruno.
Non è stato assolutamente facile cambiare dopo oltre 35 anni e lasciare ciò che avevo costruito in decenni di passione sia a livello regionale che nazionale.
Questa rivoluzione professionale è perfettamente coincisa con un altro profondo mutamento della mia vita privata: adesso vedo e vivo tutto con grande serenità insieme a chi amo, ma non è stato affatto facile.
Il successo di ieri di Radio Bruno, che risulta prima tra le emittenti che seguono la Fiorentina con 75.000 ascoltatori nel giorno medio contro i 58.000 di Radio Blu, i 49.000 di Radio Toscana e i 31.000 di Lady Radio, chiude idealmente diciotto mesi che hanno modificato la mia percezione del mondo e delle persone che mi circondano, facendomi diventare un altro uomo, molto meno centrato su me stesso.
Quello che non ho cambiato è il modo di intendere l’impegno quotidiano, nel senso che già ieri sera, passata la soddisfazione per l’ottimo risultato, stavo pensando a come e cosa fare per arrivare più in alto negli ascolti, per migliorare e raggiungere quegli obiettivi che mi ero e ci eravamo posti quando pensammo di cambiare radio.
Lo so, molto c’è ancora da fare, però era doveroso dire grazie pubblicamente a tutte le persone che ci hanno seguito cambiando subito sintonia.
Le altre, spero, le conquisteremo con la qualità ed il nostro impegno.

P.S. Naturalmente un grazie particolare va a tutti i miei “ragazzi”, che partono alle 7 e chiudono alle 20: per me sono i migliori e lo stanno dimostrando.

P.P.S. Credo di dovere una spiegazione tecnica: su alcuni siti c’è la classifica degli ascolti nell’anno solare 2015 che riporta correttamente una media con Radio Blu prima con 84.000 utenti, seguita da Radio Bruno con 67.000.
C’è però un “piccolo” particolare: il primo semestre del 2015 era di 108.000 Radio Blu e 62.000 Radio Bruno, il secondo 58.000 Radio Blu e 75.000 Radio Bruno e non chiedetemi come mai le cifra sopra riportate non siano l’esatta metà perché non lo so, deve esserci qualcosa di tecnico
E comunque fino al 30 giugno 2015 il gruppo del Pentasport è restato, con reciproca soddisfazione, a Radio Blu…

Sì, forse ha ragione il Governo a stanziare due milioni di euro per un Museo dedicato al ventennio fascista da far nascere inevitabilmente a Predappio.
Forse ha ragione, perché a me il fascismo lo hanno solo raccontato e ora fatico a raccontarlo ai miei figli, che presi come sono da mille impulsi quotidiani ed esterni nemmeno hanno voglia di ascoltare, e qui forse è colpa mia che non riesco a trovare il tempo ed il modo per catturare la loro attenzione.
Forse ha ragione, perché quel periodo appartiene ormai alla nostra storia e dunque prima o poi il tabù andrà rotto: questa generazione di quarantenni al governo non ha i nostri stessi riferimenti culturali ed etici e per questo si muove su altri sentieri.
Forse hanno ragione su tutto, ma a me fa ugualmente schifo pensare che due milioni di soldi pubblici siano utilizzati per una sorta di celebrazione, e comunque di inevitabile revisione storica, del più vergognoso periodo italiano dal 1861 ad oggi.

Ad un certo punto ho fatto un fermo immagine: ho bloccato lo schermo su Carletto, come l’ho sempre chiamato dai tempi del Duca d’Aosta, che intervistava Elton John e ho fatto un salto indietro di quasi quarant’anni, forse ispirato dalle mie ultime vicende personali.
E ho rivisto questo ragazzino vispo come pochi che mi dava una mano ad organizzare il primo giornalino del Duca, e poi ancora dopo, quando girava per le discoteche e per le scalcagnate radio fiorentine con un sorriso che è identico a quello che ormai conoscono tutti gli italiani.
Si è fatto un mazzo così Carlo Conti: conosco benissimo la sua storia perché fino a vent’anni fa è stata parallela alla mia, lui nello spettacolo ed io nel giornalismo, solo che è molto più bravo di me e si merita tutto il successo che sta ottenendo.
Ogni volta che lo vedo sulle copertine dei giornali oppure a fare la prima serata in Rai provo una soddisfazione che mica è troppo comune nel nostro mondo.
Carletto è la dimostrazione che la meritocrazia in questo Paese qualche volta paga, che non è sempre necessario essere figli di, amanti di, raccomandati da per arrivare dove si desidera arrivare e questo credo che sia professionalmente la cosa a cui tiene di più.

Parola orrenda, che però è entrata nel nostro linguaggio comune e che quindi uso anch’io per il titolo.
Perché noi maschi uccidiamo, violentiamo, torturiamo quando ci viene preferito un altro maschio oppure quando la “nostra” donna decide di averne abbastanza di noi?
Mi sono spesso interrogato, ho provato a darmi delle spiegazioni (non certo delle giustificazioni), ma restano impressioni molto personali.
Noi uomini abbiamo una costruzione mentale che lascia pochissimo spazio all’emotività, sia positiva che negativa: se siamo sopraffatti dal sentimento ci smarriamo e ci prende la paura.
Insomma, nella maggioranza dei casi non le sappiamo proprio gestire le emozioni, e così il no di una donna, della “nostra” donna, ci sembra quanto di peggio ci possa accadere, un affronto alla nostra virilità.
Lo stramaledetto senso del possesso fa il resto: su questo blog torno spesso sull’argomento perché mi tocca da vicino e non solo come padre di due figlie femmine e di un maschio da educare alla vita, ma come uomo.
Non ho soluzioni, ma solo una grande desolazione quando apro il giornale o il computer.

Col passare degli anni e con la crescita dei figli mi sono accorto sulla mia pelle che è un vero e proprio lavoro, molto meno faticoso fisicamente di quello di mamma (e infatti secondo me le madri che lavorano a tempo pieno, quelle che stanno nove ore fuori di casa e poi mandano avanti la famiglia, sono le vere eroine del nostro tempo), ma altrettanto impegnativo su quello mentale.
Fino a non troppo tempo fa pensavo che bastasse metterci l’amore e dare materialmente tutto quello che potevi per essere a posto con la coscienza e considerarsi mediamente sufficiente.
Mi sbagliavo completamente.
Essere babbo è molto diverso e molto di più.
E’ uno stato mentale, dove non importa il quanto, ma il come: in un’epoca dove per fortuna è scomparso l’autoritarismo come forma educativa noi uomini siamo rimasti spiazzati.
Dobbiamo dialogare con i nostri figli imponendo dei no motivandoli, esercizio estremamente complicato.
Dobbiamo saper ascoltare senza giudicare, accompagnare e suggerire.
Dobbiamo dare l’esempio con la nostra vita, la nostra onestà, la nostra limpidezza morale.
E, soprattutto, dobbiamo regalare ai nostri figli la sicurezza che noi babbi ci siamo e ci saremo in ogni momento, qualsiasi avvenimento accada e di qualsiasi cosa abbiano bisogno.
Tutto questo sempre, o almeno fino a quando non si formeranno a loro volta una famiglia: facile vero?

…la gente della mia età andare via, lungo le strade che non portano mai a niente, cercare il sogno che conduce alla pazzia…
Quanto la sentivo mia questa poesia in musica del grande Francesco!
Avevo vent’anni e osservavo perplesso tutti quelli e tutte quelle presi e prese da furore quasi mistico, al limite dell’esaltazione.
La politica rigorosamente a sinistra del partito comunista (perché essere di destra ti portava alla gogna sociale), la filosofia orientale, il cattolicesimo più integralista che negava aborto e divorzio.
Mi sentivo fuori posto e anche un po’ sbagliato perché leggevo tanto, mi documentavo, discutevo, ma non riuscivo proprio ad entusiasmarmi per nulla in particolare: niente India, niente Lotta Continua, niente afflato religioso, che nel mio caso poteva essere magari una permanenza più o meno lunga in Israele.
Ho continuato a leggere, ad osservare e, devo essere sincero, ad un certo punto ho cominciato a divertirmi sganciandomi definitivamente da quel senso di colpa che aveva accompagnato buona parte dei miei vent’anni.
Per carità, solo gli stupidi non cambiano mai idea, ma ho visto tanti di quei salti da un’ideologia all’altra compiuti con un furore agonistico stile Gattuso da chiedersi se uno è o ci fa.
Ecco perché quei versi, secondo me destinati ad essere tramandati anche alle prossime generazioni, continuano ad essere attuali anche per noi cinquantenni.
Ecco perché alla fine non è stato poi così male esaltarsi poco e farsi sempre delle domande, anche quando fatichi moltissimo a cercare una risposta.

…e così alla fine mi sono detto: perché no?
Perchè non provare la conturbante esperienza di andare all’Ikea il sabato pomeriggio, verso le cinque, per acquistare (in teoria, molto in teoria) solo quattro cuscini per le seggiole e un stand per gli abiti (ovviamente per il termine stand mi sono fatto aiutare, perché ero rimasto a Celentano al suo Stand by me…)
Il primo sussulto arriva ad un paio di chilometri dal traguardo, proprio come in una tappa del Giro d’Italia: ma che cavolo succede oggi a Firenze?
Come mai c’è tutto questo casino?
Poi l’illuminazione (assistita): non é che andranno tutti all’Ikea?
Risposta esatta, trenta minuti di coda, più o meno come uscire dal Franchi dopo la partita.
Animato da uno spirito che teneva fortemente conto dei cambiamenti avvenuti nella mia vita privata negli ultimi mesi ho iniziato il mio viaggio verso l’ignoto.
Per caritá, conoscevo giá il posto, ma diciamo che la mia predisposizione d’animo delle prime volte non si sposava proprio alla perfezione con l’attenzione che antropologicamente si dovrebbe riservare a certi luoghi.
Per esempio l’osservazione dei volti maschili (tendenti allo sbadiglio e con lo sguardo quasi sempre rivolto allo smartphone) e quelli femminili (attente, acute, direi quasi rapaci nel cogliere l’ultimo arrivo e quel colore arancio che l’altra volta non c’era).
Naturalmente l’acquisto dello stand e dei quattro cuscini si è trasformato in tre capienti sacchi colmi di oggetti, “tutti indispensabili e comunque abbiamo fatto alla svelta”.
In effetti…
Un’ora esatta tra l’arrivo e la partenza, penso che a molti di voi sia andata molto peggio.

P.S. Stamani bis, con minore difficoltá ad essere sinceri: spesa alla Coop
Voto complessivo per le due prestazioni: 6 pieno, ma convinto e consegnatomi con la seguente motivazione “è di stimolo per ulteriori miglioramenti, restano come elementi negativi l’impazienza, e la scarsa partecipazione all’avvenimento”.
Sì, va bene, ma mica era Fiorentina-Juventus…

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