UN LIBRO DI SENTIMENTI, PASSIONE E VERITA’: PIACEREBBE A MONTANELLI
Di Filippo Grassia

Un libro di sentimenti e di verità, scritto con il cuore, senza calcoli: leggibilissimo e godibilissimo. Per questo avrà fortuna. Indro Montanelli l’avrebbe divorato di gusto, lui che ogni settimana scommetteva scaramanticamente sulla sconfitta della Viola, per la scorrevolezza, la puntualità e l’incisività dello stile. A lui, che scriveva senza fronzoli, piaceva dire: “Se un lettore qualunque fatica a leggere un tuo pezzo in metropolitana, vuol dire che non sei un buon giornalista, non lo sei ancora”. Lo diceva con un pizzico di cinismo, quanto gli serviva per porsi in affettuosa antitesi con Bettiza che su ogni frase ci ricamava. Guetta avrebbe fatto la sua figura nella squadra di Montanelli, mi sento di affermarlo dopo essere stato con Cilindro per sette anni al “Giornale Nuovo” e averlo seguito in altre escursioni. Mi direte che questo è un romanzo (o meglio, un saggio) e non un foglio quotidiano di carta stampata. Ma il discorso non cambia di una virgola laddove la chiarezza di esposizione, come nel nostro caso, non ha niente da spartire con la banalità. E poi, come scriveva Vasco Pratolini, “le idee non fanno paura a chi ne ha”.
In questa opera, che non è minimale e poi spiegherò il perché, l’autore la fa da protagonista, ma in modo lieve. E’ la storia particolare, soggettiva e comunque vera delle cose viola dai primi anni ottanta a oggi, una storia raccontata dall’osservatorio ora ingenuo, ora tifoso, ora privilegiato di David. E’ un libro che riesce a essere molto fiorentino senza cadere nel provincialismo tipico delle città mediane che vorrebbero ma non possono. Da queste parti il calcio è cosa essenziale, attraversa e abbraccia ogni ceto sociale, fa parte del Dna comune, non è la metafora della vita, è la vita stessa. Altrimenti la nuova Florentia in C2 non avrebbe più pubblico della vecchia Fiorentina in A. L’amore non si misura di norma a peso, stavolta però i numeri dicono quanto intenso e profondo è il sentimento che lega la gente di qualsiasi strato sociale alla squadra di pallone. Un concetto sospeso in ogni capitolo.
Se c’è un motivo che ho apprezzato in modo particolare, è il modo con cui Guetta si pone nei confronti dei suoi interlocutori. Di ciascuno racconta il suo rapporto con sincerità perfino sorprendente. La diplomazia è una utopia. I colori sono forti, i sentimenti espressi con forza. Prendete ad esempio i riferimenti al damigello di Vittorino Cecchi Gori dal cognome lunare. O talune sorprendenti rivelazioni. Come il mancato passaggio di Batistuta a Robbiati in un Roma-Fiorentina perso sul filo di lana nell’anno del mancato scudetto trapattoniano. “Ma guarda quanto è egoista”, mi dissi vedendo in tivù la scena del mancato raddoppio che avrebbe significato la quinta vittoria consecutiva. Da Guetta imparo invece che Batigol non passò il pallone al compagno meglio piazzato per via di uno screzio da spogliatoio.

E’ un peccato, questo sì, che David (a me piace chiamarlo Davìd con l’accento sull’ultima vocale) non abbia avuto uno spazio nazionale. Nel panorama dei radiocronisti di “Tutto il calcio minuto per minuto” farebbe un figurone. Lo conobbi in un pomeriggio d’estate del ’93, presentatomi dal satellite di Vittorino Cecchi Gori. In quei giorni avevo ricevuto l’offerta di dirigere Canale 10 e iniziare una strana avventura televisiva che abortì a metà strada. Inevitabile con quei compagni di cordata. “Guetta?”, dissi. “E chi è?”. Invece sapevo molto di lui.
Per una curiosa coincidenza un’amica di Lucca, straordinaria tifosa viola, mi aveva detto: “Guarda che se accetti la proposta e vai a Firenze, devi prendere Guetta. E’ uno incredibile, lo devi ascoltare, macina parole a un ritmo spaventoso, ti mette l’ansia, ti fa venire l’infarto, ma è unico. O sei allo stadio o devi vivere la partita con le sue parole. Dammi retta”. A distanza di tre giorni ricevetti un pacchetto con tre cassettine, sul nastro altrettante radiocronache di Guetta: uno spettacolo. Mi ero detto, dieci minuti e via. Dopo un’ora ero ancora lì a gingillarmi con la voce di Guetta che dava di ogni azione una interpretazione particolarissima: vera, falsa, chissà, alla Guetta. Il massimo per chi ha la Fiorentina nel cuore, nell’anima, nella testa.
Con Davìd ho trascorso un anno e mezzo a Firenze, un anno e mezzo tanto difficile quanto esaltante. In quel periodo ho imparato ad amare la città dei Medici. E i fiorentini mi hanno riservato un trattamento speciale, da re. Il giorno che chiusi con Canale 10, lanciarono dei volantini a mio favore: non lo dimenticherò mai. Per questo e altro ancora sono felice dello spazio riservatomi dall’editore Giannelli e dall’autore Guetta: felice ed onorato. Nel libro di Davìd ho ripercorso tante tappe della mia vita, sarà così per tutti coloro che portano un giglio all’altezza del cuore.