1999/2000
Fu un’estate piena di soldi. La Fiorentina era riuscita davvero ad entrare nel gruppo delle grandi, ed aveva strappato a Stream un incredibile contratto da sessanta miliardi l’anno per sei stagioni. Peccato che le televisioni nazionali del gruppo non facessero che macinare debiti, anche perché Vittorio licenziava su due piedi chi non gli piaceva, con l’ovvio risultato di dover pagare stipendi faraonici ad un esercito di persone nullafacenti. Per la Fiorentina quello poteva essere il momento migliore per cambiare strada, per ammettere che a certi livelli la società viola non ci poteva stare. Il ruolo giusto sarebbe stato quello di sempre, un gradino al di sotto delle grandi. Ed invece si continuò a spingere sul gigantismo, con vari deliri da onnipotenza dovuti alle vicende personali di Cecchi Gori, che si stava separando dalla moglie fra denunce e risse familiari.
Ho sempre pensato che i pochi cardini personali del presidente-senatore-produttore siano saltati proprio nel momento in cui Rita Rusic se ne è andata via con i figli. Senza più un punto di riferimento affettivo e senza qualcuno che lo contrastasse nelle sue scelte bizzarre, Vittorio ha definitivamente perso la bussola. Spesso si presentava a Canale Dieci accompagnato da splendide fanciulle che avrebbero potuto essere sue figlie, e si vedeva chiaramente che ci teneva a far capire che lui poteva e noi no. Gli era sembrato di essere tornato giovane, ai tempi un cui impazzava sui rotocalchi insieme alle bellezze dell’epoca, da Maria Grazia Buccella e Maria Giovanna Elmi. Quelli però erano gli anni sessanta e settanta, e lui recitava la parte del figlio del grande produttore Mario Cecchi Gori. Adesso era invece un presunto imprenditore di cinquantasette anni che giocava a fare il ragazzo, peccato che da lui dipendesse il destino di un almeno un migliaio di persone.

TUTTO FINITO
La prima volta in cui ho pensato che la mia (breve) avventura giornalistica fosse finita fu nel 1987, quando impedirono alle radio private di acquisire i diritti radiofonici. Da allora, quello della distruzione di tutto ciò che avevo costruito è stato un pensiero che ha tormentato a fasi alterne non solo me, ma anche le sfortunate signore che mi sono state accanto in questi anni e, soprattutto, Rinaldo, che avrà mille difetti, ma mi ha pazientemente e fraternamente sopportato nel mio pessimismo cosmico. Due crisi fra le tante “meritano” comunque di essere ricordate. La prima è del 1995, quando si cominciò a parlare di campionato in diretta televisiva, sia pure a pagamento. Ero assolutamente convinto che nessuno avrebbe più ascoltato la mia radiocronaca, che alla prima domenica di campionato sarei stato un giornalista finito.
Ben peggiore fu la crisi del 1999, l’anno in cui la Lega decise che si poteva finalmente tornare a vendere i diritti alle radio private, che quindi non sarebbero più state costrette a trasmettere tra mille sotterfugi. Battendo tutti sul tempo, riuscimmo a chiudere un accordo triennale con la Fiorentina, in cui però non si parlava esplicitamente di esclusiva. Non ci importava, perché tanto avevamo il 90% dell’ascolto. Tre settimane dopo la firma, arrivò dalla Lega Calcio una circolare che imponeva alle società di cedere i diritti radiofonici ad una sola emittente. Cominciò così, in un caldo pomeriggio di luglio, un autentico incubo, perché nel frattempo era sbarcato a Firenze un network nazionale che voleva in tutti i modi acquisire i diritti sulle partite della Fiorentina. E non demordeva neanche l’altra radio, da anni soccombente negli ascolti, ma che aveva adesso la possibilità di sbarazzarsi dei concorrenti. Noi potevamo contare su un contratto firmato e sul fatto che ero il responsabile dello sport a Canale Dieci. Rischiai il tutto per tutto e legai la mia permanenza in televisione alla positiva conclusione di un nuovo accordo. Se non fosse andata bene, sarei rimasto fuori dal video e senza radiocronaca. Costrinsi Rinaldo a proporre una cifra folle e mi tassai personalmente per partecipare alle spese.
Dopo notti insonni, travasi di bile e coltellate varie tra emittenti, la storia finì in perfetto stile Cecchi Gori. La firma del nuovo accordo sarebbe dovuta avvenire a Lodz, in Polonia, dove la Fiorentina era impegnata per i preliminari di Champions Leagues, ma proprio quella mattina Luna lesse su Repubblica che “nel caos nato dalla vendita dei diritti radiofonici privati, la Fiorentina aveva chiesto a Radio Blu di alzare a dismisura il prezzo da pagare”. Secondo la personalissima interpretazione di Lucianone nostro, la società stava facendo la figura dello strozzino con “le povere radio private locali”, e quindi lui non firmava un bel niente. Tutti a Firenze furono perciò liberi di fare la radiocronaca, e Luna poté fregiarsi del nobile titolo di “paladino della piccola emittenza”. Pagammo lo stesso per tre anni la cifra pattuita nel vecchio contratto. Gli altri trasmettevano, ma gratis.

FOLLIE D’ESTATE
Il tormentone estivo fu l’ingaggio di Enrico Chiesa, fortemente voluto dal Trap. Il tira e molla con il Parma diventò talmente sfibrante che ad un certo punto Luna decise di cambiare obiettivo e puntò dritto su Madrid, dove lo stavano aspettando a braccia aperte per disfarsi di Mijatovic. Lucianone nostro si presentò con quindici miliardi in contanti e un contratto quadriennale da nove miliardi lordi al giocatore. I dirigenti spagnoli impacchettarono subito il vecchio Predrag e fecero pure finta di dispiacersi per aver perso un grande giocatore. Per la verità, grande Mijatovic lo era stato davvero, ma fino alla stagione prima, quando segnò la famosa rete alla Juve nella finale di Champions Leagues.
Poi arrivò anche Chiesa per trenta miliardi, naturalmente tutti in contanti, e poi ancora, visto che gli attaccanti erano pochi, venne acquistato Abel Balbo, l’amico più fidato di Batistuta.

IL VOTO
In compenso, il prudente Trapattoni riuscì a convincere Luna a prendergli il trentatreenne Di Livio. Cecchi Gori seppe tutto a cose fatte e si infuriò perché a lui l’ex juventino proprio non piaceva e, come se non bastasse, gli avevano pure scambiato Robbiati con Rossitto.
Nel dopo partita di Fiorentina-Widzew Lodz, esordio ufficiale dei viola in Champios Leagues, squillò il mio cellulare.
«A Guetta, so’ Luna, quanto ià dato stasera La Nazione a Di Livio?»
«Luciano, non lo so, le pagelle le fa Picchi, io mi limito ad una intervista»
«Telefonagli e sentì un po’… mi raccomando, deve prendere almeno sei e mezzo. Famme sapé!»
Non potevo far finta di niente (eravamo in piena bufera diritti) e così, molto imbarazzato, chiamai Picchi. Incrociai le dita e gli domandai che voto avesse dato a Di Livio.
«Sei e mezzo – mi rispose Sandro – ma perché lo vuoi sapere?»
«No, niente, era una discussione con Ceccarini: lui dice che ha giocato da sette, secondo me invece vale mezzo voto in meno».
Richiamai Luna.
«Luciano, non ci sono problemi: ho chiesto a Picchi il favore di alzare il voto e domani su La Nazione Di Livio prenderà sei e mezzo…».

AMERICA
La mia unica trasferta da grande inviato venne purtroppo avvelenata dalla storia dell’esclusiva radiofonica. Passai almeno la metà del tempo al telefono e la Tim ringraziò commossa: un milione e mezzo di bolletta per i cinque giorni americani. Viaggiammo con la squadra perché dovevamo realizzare uno speciale che avrebbe compreso anche gli aspetti più minimalisti, come il volo d’andata e ritorno. Chiedemmo quindi a Trapattoni il permesso di riprendere i giocatori sull’aereo e lui dette l’assenso senza problemi, ignorando però l’ostacolo Batistuta. Il capitano disse al nostro operatore che in business class lui poteva anche passare (chiaro riferimento al fatto di non volermi tra i piedi), ma che la telecamera doveva rimanere fuori. Sarebbe stato un po’ complicato per le riprese, ma avremmo sempre potuto rimediare con il racconto orale, da tramandare al popolo viola. Grande Gabriel! Quando lo seppi, mi misi a ridere, ormai era inutile arrabbiarsi.
Notai in quei giorni una certa freddezza nei confronti di Chiesa che, orgoglioso di carattere, faceva poco per cercare di inserirsi nell’aristocrazia dello spogliatoio. La trasferta negli Stati Uniti fu un bel successo di immagine per la Fiorentina, che vinse la Gotham Cup. E a New York cominciò la conoscenza di Angelo Di Livio. Al contrario di Chiesa, di cui poi divenne grande amico, sembrava che a Firenze lui ci fosse nato. La sua disponibilità era così ampia, che alla fine veniva quasi da chiedersi se non fosse finito per sbaglio nel calcio. Nemmeno due anni dopo, Di Livio avrebbe spiegato benissimo al popolo viola la differenza che passa tra un giocatore vero ed un mercenario.

CHAMPIONS LEAGUES
Quando la rivedremo? Sapevamo che era un avvenimento unico e per questo tutti noi che l’abbiamo seguita passo per passo ce la siamo goduta fino in fondo. Le stelle, l’inno, la sensazione di stare al centro dell’universo calcistico: tutto contribuisce all’atmosfera davvero magica di quelle notti europee. Eppure la prima trasferta era stata da incubo. Mai infatti come a Barcellona ho avuto la sensazione dell’impotenza, nemmeno quando abbiamo perso per 8 a 2 a Roma contro la Lazio di Zeman. Il 4 a 2 del Camp Nou è un risultato estremamente bugiardo, perché senza un fantastico Toldo saremmo entrati a rovescio nella storia della Champions. Quella competizione fu la consacrazione internazionale per Francesco, che poi a giugno sarebbe salito in cima al mondo con un fantastico Europeo. Il portiere viola fu decisivo a Firenze contro l’Arsenal, quando neutralizzò il rigore di Kanu e ancora contro il nigeriano a Londra, nella più incredibile parata che abbia mai visto in oltre vent’anni di radiocronaca.

CAMILLA
Camilla è stata straordinaria nel tempismo: è infatti nata nell’unica settimana di sosta della Champions Leagues, pochi giorni dopo la trasferta di Stoccolma. Se avesse anticipato i tempi, sarebbe stato uno di quei fardelli da portarsi dietro per tutta la vita: «non c’eri per la nascita di tua figlia. Che babbo!». Stavolta ho avuto molte meno preoccupazioni calcistiche, limitandomi alle sole indicazioni sulla conduzione del Pentasport, date naturalmente tra una pausa e l’altra dei dolori di Letizia. Sono stato molto più coraggioso in sala parto e ne è valsa la pena perché vederla nascere è stata una delle emozioni più forti della mia vita.