BISTRITA
Mai visto in vita mia un posto così desolante. A distanza di sette anni dalla “mitica” trasferta di Kiev, tornavamo all’Est, ma che differenza! Le ragazze che scaricarono davanti al nostro albergo non profumavano affatto di erotismo, ma solo di tristezza. Una tristezza senza vie d’uscita. Bistrita è una piccola piazza, due alberghi più o meno fatiscenti, una povertà impossibile da riscattare. In soli due giorni di permanenza, e nonostante tutte le precauzioni alimentari prese, riuscirono ad intossicare metà dei giornalisti. Io cominciai a sentirmi male il pomeriggio della partita e conclusi la radiocronaca solo grazie alla mia forza di volontà, che si moltiplica quando si tratta di trasmettere. Poi, nelle due ore di pullman che ci separavano da Bucarest, cominciò il calvario. Stavo sempre peggio e meno male che nel volo di ritorno in Italia venni “liberato” dall’ottimo dottor Manzuoli: se non trovavo la porta del bagno aperta, Batistuta e Rui Costa avrebbero pagato a caro prezzo la loro fissazione di stare sempre nell’ultima fila dell’aereo…

IL PEZZO CON COIS
Sandro Cois è sempre stato un simpatico figlio di buona donna, fino a quando non ha esagerato, o, inevitabilmente, non ha cominciato a cedere sul piano atletico. Aiutato da un fisico straordinario, si è sempre allenato poco, fidando sul fatto che tanto, male che andasse, sarebbe stato almeno alla pari con gli altri. Insomma, un Massaro prima maniera, con la sfortuna di non aver mai incontrato Sacchi sulla propria strada. Ci provò Ranieri a farlo cambiare, prendendolo anche a muso duro, ma alla fine si arrese anche lui. Avrebbe voluto farlo cedere, solo che invece di Cois, uno dei preferiti di Cecchi Gori, se ne andò il tecnico. Straordinarie comunque le sue prestazioni fuori dal terreno di gioco, dove ha sempre dimostrato un’invidiabile continuità di rendimento.
Avevo cominciato a collaborare con La Nazione e spesso si poneva il problema di chi chiamare per un parere o un’intervista al volo che avrebbe dovuto riempire la pagina. «Non c’è problema – rispondevo – provo a sentire Sandrino se mi dice qualcosa», e per anni siamo andati avanti così. Io e Alessandro Rialti eravamo rimasti gli unici a conoscere il suo numero di cellulare (cambiato una volta l’anno), e se vado a rivedere le collezioni del giornale c’è da vergognarsi. Mancava solo che Cois desse il suo parere sullo sexi-scandalo di Clinton e poi sarebbe stato interpellato su tutto. Ogni volta veniva fuori di riffa o di raffa il suo attaccamento alla maglia viola, il suo amore per il popolo viola, eccetera eccetera. Questa melassa di buoni sentimenti era generosamente annaffiata da un contratto folle di cinque miliardi lordi l’anno, voluto espressamente da Luna. Al termine della sua esperienza fiorentina, Cois girava ormai con la guardia del corpo per paura di incontrare qualche tifoso arrabbiato e non completamente convinto delle sue giustificazioni per le continue assenze. Però, proprio alla fine, Sandrino ebbe un guizzo di spirito, come ai vecchi tempi. Fu quando Marzio Brazzini, un geniale esponente della Vecchia Guardia, gli consegnò la “maglia della vergogna”, preparata per lui appositamente a maniche lunghe perché «non prendesse freddo e non si ammalasse». Mentre i suoi compagni scapparono, Cois si presentò subito davanti a Brazzini, prendendo l’omaggio e ringraziando per il pensiero.

LE ILLUSIONI DI COPPA
Eravamo ormai arrivati al termine del ciclo targato Ranieri. Il tecnico romano aveva rotto con parte dei giornalisti, fra cui soprattutto Sandrelli e la Righini, e anch’io sarei stato tutto sommato contento se non avesse onorato il contratto in scadenza l’anno successivo. Mediocre in campionato, la squadra si esaltava in Coppa delle Coppe, una competizione tradizionalmente favorevole ai viola. Superato il primo turno nella desolazione di Bistrita, ci volle un miracolo di Sant’Anselmo da Lecco per eliminare lo Sparta Praga. Poi arrivò il Benfica e fu tutto un tuffarsi nelle splendide nostalgie di Rui Costa, acclamato come un eroe dai suoi vecchi tifosi. E a Lisbona Batistuta fece capire a tutti chi fosse il leader indiscusso dello spogliatoio.

STUPIDI
Così il Corriere dello Sport-Stadio titolò la prova dei viola il 17 febbraio 1997. Il motivo? L’ennesima sconfitta esterna a Verona, con rete presa su punizione all’ultimo minuto. Spinta soprattutto da Bati, la squadra entrò in silenzio stampa, uno dei più “stupidi”, tanto per rimanere in tema, degli ultimi anni. Per oltre un mese si assistette a scene comiche, con giocatori che parlavano e cronisti che riportavano il pensiero illuminato ed illuminante dei nostri eroi senza poter virgolettare niente. La situazione sembrò sbloccarsi a Lisbona, alla vigilia della partita di andata dei quarti di finale di Coppa. Cinquini aveva provato a fare da mediatore, ottenendo che, in caso di successo, i giocatori viola avrebbero ritrovato l’uso della lingua. La Fiorentina si impose per due a zero, giocando fra l’altro un’ottima partita, impreziosita dal gol di Baiano e da quello splendido di Batistuta. Qualche “informatore” dello spogliatoio si era già prenotato per intervenire alla radio, quando arrivò improvviso il contrordine: “ragazzi tutti zitti!”. Era stato Batistuta a decidere così, nessuno ha mai saputo il perché, ma forse lo avrà spiegato almeno a Rui Costa, prenotato invano da una decina di colleghi portoghesi.

BARCELLONA
Quella fu anche la stagione viola peggiore di Bati, che però si tolse la straordinaria soddisfazione di zittire il Camp Nou. La postazione che mi avevano dato a Barcellona era da grande inviato, avevo addirittura il monitor e fu solo grazie al replay che vidi il gesto del dito al naso di Gabriel. «Vi ho lasciato senza parole», sembrava volesse urlare il capitano, dopo che per giorni i quotidiani spagnoli si erano divertiti a sottolineare la presunta superiorità di Ronaldo nei suoi confronti. Di quella partiva vanno ricordati altri due episodi: l’ammonizione troppo severa proprio a Batistuta, che lo costrinse a saltare la gara di ritorno, e il fischio finale che fermò Robbiati lanciato da solo verso Vitor Baia.
Il ritorno fu preparato male e giocato peggio, come è purtroppo nella tradizione della Fiorentina quando incontra le grandi squadre in scontri decisivi. Prima Couto e poi Guardiola infransero il sogno della finale e qualcuno cominciò a prendersela assurdamente con Toldo. Francesco avrà sbagliato sì e no dieci partite in otto anni, solo che tre di queste capitarono una di fila all’altra. Nel volo di ritorno dalla trasferta di Napoli, a maggio, Robbiati mi prese da una parte e mi disse: «non ti sembra il caso di fare qualcosa per aiutare Toldo, che è il miglior portiere d’Italia?». Sì, era il caso, ma che potevo fare? Di più e meglio fece Maldini, il Commissario Tecnico azzurro, che lo convocò lo stesso in Nazionale.

LA PAZZIA DI RUI
All’ultima Fiorentina di Ranieri rimaneva ancora un traguardo, la qualificazione in Coppa Uefa. La squadra era stanca, qualcuno voleva andarsene, altri giocavano in condizioni precarie. Come Rui Costa, che da settimane si trascinava un infortunio muscolare. Qualsiasi giocatore dotato di buonsenso non avrebbe giocato a Perugia ed io mi allarmai molto quando lo vidi in campo ad allenarsi da solo. Conoscendolo, temevo che facesse una pazzia. Ed infatti alla fine Rui decise di rischiare. Rimase in campo per 82 minuti, fino a quando non si strappò definitivamente: fuori per due mesi, addio Nazionale portoghese e addio Fiorentina. Sicuramente non ne valeva la pena, ma… that’s amore.

CORI
Fallita la qualificazione Uefa, la Fiorentina si trovò a giocare le ultime partite in un clima di generale disarmo. Fu forse per questo che nel congedo casalingo contro la Reggiana i tifosi della Ferrovia, non sapendo probabilmente più cosa inventare, cominciarono ad intonare un paio di cori in mio onore. Ero imbarazzato, non sapevo più cosa dire in radiocronaca, ma traboccavo d’orgoglio: ero l’unico giornalista a cui veniva riservato un tale trattamento. Solo quattro anni più tardi i tifosi tornarono ad occuparsi di me, ma in modo leggermente diverso…
E Vittorio? Lo avevamo un po’ dimenticato, ma dopo aver bleffato ed essere stato scoperto sulla storia dei diritti televisivi prenotati e mai pagati si prendeva le sue brave soddisfazioni. Si cominciava a parlare di sette sorelle e grazie a Cecchi Gori nel gruppo c’era anche la Fiorentina. Tutte le domeniche in casa voleva parlare solo con me e la società aveva inventato un lasciapassare che mi permetteva di arrivare alla tribuna d’onore, dove raccoglievo il verbo presidenziale. Per questo trattamento privilegiato la mia simpatia fra i colleghi scese ai minimi livelli, ma cercavo di barcamenarmi in qualche modo e lo stesso accadeva con Canale Dieci. Infatti, chissà perché, Vittorio preferiva esternare a Radio Blu piuttosto che alla televisione di famiglia. Tante parole, qualcuna in libertà, ma tutto sommato non peggio di altri padroni del vapore.

SEMPRE COLPA DI GUETTA
A maggio Cinquini ed Antognoni riuscirono a realizzare un ottimo colpo di mercato: la cessione di Amoruso ai Rangers di Glasgow per ben undici miliardi in contanti. Luca Speciale intervistò per Canale Dieci Pasquale Bruno, che aveva giocato un paio di anni in Scozia, proprio per raccontare la differenza fra i due modi di intendere il calcio. Il vecchio picchiatore del Torino sconsigliava Amoruso dal tentare l’avventura scozzese ed io ripresi l’intervista in un pezzo per La Nazione.
La mattina successiva ricevetti le telefonate allarmate ed allarmanti del buon Fanetti e di Sandrelli che mi annunciavano (tanto per cambiare) un Luna imbufalito con me a causa di quell’articolo. Lucianone nostro era stato opportunamente aizzato dal gatto e la volpe (così chiamavamo Cinquini ed Antognoni), che da tempo conducevano una loro battaglia personale contro Sandrelli, e quindi a seguire contro Canale Dieci. Aggiungiamoci pure che non è che io fossi ai primi posti della loro classifica di gradimento ed il gioco era fatto. Venni in pratica accusato di ostacolare la cessione di Amoruso, con tutti i danni economici che ne sarebbero conseguiti. E l’intervista di Speciale mandata in onda la sera prima? Boh, ignorata completamente, come se non fosse mai esistita. Nei due mesi successivi in cui Luna mi tolse il saluto, ebbi dei seri dubbi sui nostri dati d’ascolto televisivi.

ADDIO RANIERI
«Se ne è andato!», mi soffiò felice Sandrelli al telefono in una tarda serata di giugno.
«E chi viene al suo posto?», gli chiesi, sollevato anch’io dell’abbandono del tecnico viola più vincente degli ultimi anni.
«Ancora non si sa, probabilmente Malesani del Chievo».
Accidenti, sapevo pochissimo di lui e facevo un tifo indiavolato per uno di casa nostra, Ulivieri, che però Gazzoni a Bologna non aveva voluto liberare. Pazienza, mi sarei documentato.